Di Annapaola Negri-Clementi e Valeria Tommasi
Un tema particolarmente sentito e delicato, che abbiamo più volte trattato proprio sulle pagine della presente rivista seguendone gli sviluppi, e che ormai da qualche anno accende gli animi del pubblico e degli operatori del settore e non fa dormire sonni tranquilli al legislatore italiano.
Da una parte coloro che ritengono che liberalizzare l’uso delle immagini del patrimonio culturale italiano contribuisca alla sua valorizzazione e alla diffusione della cultura, soprattutto in un contesto digitale, dall’altra chi rimane fermamente convinto che una tale liberalizzazione potrebbe nuocere gravemente al “decoro” dei beni cultuali e alle casse dello stato.
Proprio nel vivo di tale discussione interna, inserita in un contesto europeo che ormai da tempo promuove una politica di open access volta al libero accesso e riutilizzo di dati, informazioni e materiali, ritenendo che il loro libero riutilizzo – anche per fini commerciali – possa essere strategico per lo sviluppo socio-culturale dell’UE e dei singoli Stati Membri, un anno fa, in data 11 aprile 2023, il Ministero della Cultura emanava il DM n. 161/2023. Il Decreto Ministeriale, in controtendenza rispetto ai menzionati principi comunitari, introduceva nel quadro normativo nazionale relativo alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano le “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali”, con un “Allegato” volto a determinare gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la riproduzione di beni culturali statali.
Tale testo, molto snello, andava idealmente a completare, senza modificarla, la disciplina del Codice dei Beni Culturali in materia di riproduzione e utilizzo delle immagini e degli spazi dei beni culturali (articoli 107 e 108 CBC), che già voleva che tutti coloro che intendono utilizzare e/o riprodurre l’immagine di un bene culturale per finalità a scopo di lucro chiedessero un’apposita autorizzazione all’autorità competente e pagassero il corrispettivo determinato da quest’ultima. Nessuna indicazione veniva data circa l’ammontare del corrispettivo, così lasciando intendere che il singolo ente avesse una certa libertà nel determinare se e quanto chiedere al soggetto interessato.
Tre concetti fondamentali per la riproduzione (legale) dell’immagine dei beni culturali
E proprio su tale “vuoto” si inseriva il Decreto Ministeriale che fissava (o ribadiva) almeno tre concetti rilevanti per la riproduzione delle immagini dei beni culturali:
- tutti coloro che hanno interesse ad utilizzare e/o riprodurre l’immagine di un bene culturale per finalità che hanno uno scopo di lucro devono preventivamente chiedere l’autorizzazione all’autorità che ha in consegna il bene culturale e pagare un corrispettivo;
- i canoni e i corrispettivi di concessione indicati nelle Linee Guida costituiscono gli “importi minimi” obbligatori che i richiedenti devono versare per l’utilizzo e la riproduzione delle immagini dei beni culturali, con la possibilità per i singoli enti di prevedere canoni e corrispettivi superiori rispetto ai “minimi” indicati nelle Linee Guida;
- indipendentemente dal canone o dal corrispettivo individuato, il rilascio dell’autorizzazione per la riproduzione e l’uso dei beni culturali è subordinato alla previa verifica di compatibilità della destinazione d’uso della riproduzione con il carattere storico-artistico del bene. Così fissando il principio secondo cui i singoli enti possono discrezionalmente decidere di negare l’autorizzazione per tutte quelle riproduzioni o quegli usi che gli stessi ritengono non “consoni” o non “opportuni”.
- La norma veniva accompagnata da un Allegato che delineava un complesso schema finalizzato a determinare il quantum dovuto dagli utenti per la riproduzione delle immagini dei beni culturali “a scopo di lucro” e/o l’uso di spazi parte del patrimonio culturale italiano.
- Il Decreto Ministeriale veniva fin da subito aspramente criticato da molti cultori della materia, accademici, organizzazioni e professionisti del mondo della cultura, sia in quanto espressione dell’approccio garantista e proprietario tenuto dallo Stato nei confronti di beni che dovrebbero costituire quel bagaglio culturale liberamente accessibile e utilizzabile dalla collettività, sia per le molteplici zone d’ombra e incertezza che rendevano la norma di non immediata comprensione e applicazione.
- A seguito delle molte perplessità del mondo per così dire “civile”, nell’autunno del 2023 anche la Corte dei Conti interveniva dichiarando in modo aperto e diretto che il Decreto Ministeriale costituiva uno strumento del tutto anacronistico, non adeguato rispetto al contesto tecnologico e digitale in cui viviamo, e che rischia di limitarne fortemente la valorizzazione, lo studio, la diffusione e la conoscenza del nostro patrimonio culturale e artistico.
- “L’introduzione di un “tariffario” siffatto pare non tener conto né delle peculiarità operative del web, né del potenziale danno alla collettività da misurarsi anche in termini di rinunce e di occasioni perdute; ponendosi, così, in evidente contrasto anche con le chiare indicazioni che provengono dal Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del patrimonio culturale. L’obiettivo da perseguire appare, ancora una volta, quello di sviluppare appieno il potenziale che la digitalizzazione del patrimonio culturale ha non solo in termini scientifici e di conoscenza, ma anche come potente fattore di crescita culturale; le cui positive ricadute, ad esempio sul piano della valorizzazione turistica dei territori, non sono che uno dei possibili ed auspicabili sviluppi”.
- Proprio questo intervento della Corte dei Conti alimentava le speranze di coloro che sollecitavano una rapida modifica del Decreto Ministeriale.
- La modifica è recentemente arrivata, ma probabilmente non nei termini auspicati dall’organo costituzionale.
- In data 21.03.2024, infatti, il Ministero della Cultura ha emanato il nuovo DM n. 108/2024 che sostituisce il contenuto del precedente Allegato e ridefinisce le Linee Guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura del Ministero della Cultura.
- Attraverso il nuovo Allegato – che intende semplificare e chiarire il precedente – il Ministero della Cultura stabilisce gli importi dovuti dal soggetto interessato a riprodurre l’immagine di un bene culturale differenziando:
- i casi in cui il soggetto ha già a sua disposizione le immagini che intende utilizzare, dai casi in cui lo stesso ha necessità di rivolgersi al luogo della cultura competente per richiedere l’immagine del bene sul supporto e nel formato d’interesse (es. stampe fotografiche di diverse misure, immagini digitali, fotocopie, etc.),
- i casi in cui la riproduzione e/o l’utilizzo dell’immagine siano ritenuti a scopo di lucro e per i quali sarà dovuto un corrispettivo, dai casi ritenuti privi di finalità commerciale e per i quali le riproduzioni sono da intendersi gratuite (fatto salvo il rimborso delle spese eventualmente sostenute dall’Amministrazione per eseguire le riproduzioni di cui al precedente punto a).
- In particolare, il Ministero elenca (ampliandole) tutte le circostanze in cui le riproduzioni devono essere considerate sempre gratuite: da quelle destinate alle pubblicazioni scientifiche e accademiche alle riviste divulgative e didattiche, dai cataloghi delle mostre (con tiratura fino a 4.000 copie) al diritto di cronaca, dalle pubblicazioni c.d. “open access” all’uso personale e, più in generale, tutte le attività senza scopo di lucro (con l’importante precisazione che la presenza di un biglietto di ingresso non è di per sé sufficiente a caratterizzare una iniziativa di valorizzazione come “a fine di lucro”).
- Al contrario, qualora le riproduzioni dei beni culturali e/o il riuso delle relative copie o immagini avvenga a scopo di lucro, il soggetto interessato è tenuto al pagamento di un corrispettivo da calcolarsi secondo le tabelle riportate nell’Allegato, che viene determinato moltiplicando una tariffa unitaria per dei coefficienti differenziati in base alla destinazione, alla quantità o alla tiratura delle riproduzioni (seppure il calcolo non risulti sempre immediato, gli esempi presenti nel testo del documento aiutano a comprendere il meccanismo applicato).
- Se il nuovo Decreto Ministeriale – emanato senza alcuna audizione, incontro o confronto con quei soggetti attivi (a più livelli) nel mondo dei beni culturali – da una parte può sicuramente considerarsi un passo in avanti rispetto al precedente testo normativo, permettendo quantomeno al mondo accademico e divulgativo di tirare un sospiro di sollievo, dall’altra difficilmente può essere considerata una “vittoria” per i tanti che auspicavano l’adozione di un approccio più open access, così come suggerito dalla stessa Corte dei Conti.
- Rimane infatti immutato il cuore del dibattito, ovvero l’esistenza di un approccio proprietario dello Stato italiano non solo rispetto al patrimonio culturale nazionale, ma anche alla sua immagine.
- Rimangono, inoltre, una serie di dubbi rispetto al testo della norma, legati principalmente alla discrezionalità che gli uffici del Ministero hanno nel determinare cosa debba intendersi per contenuto “divulgativo” e “didattico”, nonché all’incertezza circa quali utilizzi debbano essere considerati a “scopo di lucro” e quali no (specialmente in ambiti per loro natura borderline quali ad esempio quelli artistici), oppure quali debbano essere considerati “consoni” e quali no (per chi inoltre?).
Riproduzione immagini beni culturali: l’Uomo Vitruviano e la pronuncia della Corte di Stoccarda
Il nuovo DM n. 108/2024, peraltro, arriva a ridosso del provvedimento con cui il Tribunale di Stoccarda ha scritto il nuovo (ultimo?) capitolo della saga, iniziata su suolo italiano, che da circa due anni vede contrapposti il Ministero della Cultura e delle Gallerie dell’Accademia di Venezia (in qualità di museo custode del disegno dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci) da una parte, e la nota società tedesca Ravensburger dall’altra, quest’ultima “rea” di aver commercializzato un puzzle raffigurante il celebre disegno dell’ “Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci senza aver chiesto alcuna autorizzazione né aver pagato alcun corrispettivo.
Nell’autunno 2022, interpellato sul caso, il Tribunale di Venezia dava atto che non esiste alcuna norma che limita l’efficacia del Codice dei Beni Culturali al territorio italiano, con conseguente applicabilità dello stesso anche rispetto a quelle condotte avvenute al di fuori dei confini nazionali; quindi, applicando gli artt. 107-108 CBC, il Giudice lagunare dichiarava che l’utilizzo dell’immagine del disegno dell’”Uomo Vitruviano” per la realizzazione e la commercializzazione di un puzzle costituisse un atto illecito idoneo a svilire l’immagine del bene culturale e condannava la società tedesca a risarcire all’Istituto museale i danni patiti.
Di diverso avviso è, però, la Corte tedesca, che pochi giorni fa si è pronunciata affermando che “ogni sistema giuridico nazionale è limitato al rispettivo territorio nazionale. Questo cosiddetto principio di territorialità è un principio generalmente riconosciuto a livello internazionale diritto nazionale ed è il risultato della sovranità di ciascuno Stato“, di fatto sancendo che il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio non può trovare applicazione al di fuori del territorio italiano, con conseguente inapplicabilità dell’obbligo di richiedere un’autorizzazione per riprodurre l’immagine dei beni culturali italiani e di pagare un corrispettivo pecuniario.
Se così fosse, il quadro normativo italiano a tutela del patrimonio culturale nazionale – anche come modificato dall’ultimo DM n. 108/2024 – porterebbe alla paradossale situazione in cui le immagini della Venere di Botticelli, del David di Michelangelo, del Colosseo o dell’Arco della Pace potrebbero essere liberamente utilizzabili, anche per fini commerciali, in tutti i Paesi fuorché in Italia.