L’inflazione ha colpito soprattutto l’Austria, dove le retribuzioni reali sono scese del -3,5%, seguita da Germania e Gran Bretagna (-1,5%)
In Italia il fisso è cresciuto dell’11,2% per i dirigenti, del 10,6% per i quadri e del 9,3% per gli impiegati negli ultimi 24 mesi
Secondo un nuovo report annuale condotto da Hays Italia, il 55% dei professionisti crede che il suo stipendio non sia adeguato alle attuali responsabilità
I salari crescono meno dell’inflazione. Secondo l’Osservatorio WTW 2023, che ha analizzato oltre 700 aziende, lo scorso anno le retribuzioni degli italiani sono cresciute mediamente del 3,8%. Lo stesso non si può dire però dei salari reali (ovvero la quantità di beni e servizi che un lavoratore può acquistare sul mercato con quanto effettivamente percepito in busta paga) che, con un’inflazione al 5,7%, risultano mediamente in calo dell’1,9%. E non si tratta del crollo più consistente a livello europeo, anzi.
L’impatto dell’inflazione sui salari
L’inflazione ha colpito soprattutto l’Austria, dove le retribuzioni reali sono scese del -3,5%, seguita da Germania e Gran Bretagna (che incassano entrambe un calo del -1,5%). Per Francia e Portogallo si calcola una contrazione del -1,2%, per l’Irlanda del -0,3% e per la Svizzera del -0,1%. Nei Paesi Bassi e in Spagna hanno invece prevalso gli aumenti, rispettivamente del +0,4% e del +0,2%. Tornando all’Italia, gli esperti di WTW segnalano come il calo dei salari reali dovrebbe essere tuttavia in parte compensato da una previsione di recupero del potere d’acquisto dell’1,5% per il 2024. Accantonando l’inflazione, negli ultimi 24 mesi la dinamica della retribuzione fissa risulta superiore al +5% per tutte le categorie contrattuali. Nel dettaglio, il fisso è salito dell’11,2% per i dirigenti, del 10,6% per i quadri e del 9,3% per gli impiegati. Gli incrementi oscillano dal 4% del settore manifatturiero all’8% dell’engineering & construction.
Lo stipendio medio in Italia e nel mondo
Per il confronto a livello globale, consideriamo l’ultimo rapporto Ocse dal titolo Taxing wages 2023 che evidenzia come l’italiano medio, single senza figli, percepisse nel 2022 una retribuzione annua lorda pari a 33.855 euro. Restando sugli stipendi lordi, l’ultima variazione disponibile è quella tra il 2021 e il 2022 e oscilla dallo 0,7% del Messico (dove un lavoratore medio guadagna 154.646 pesos messicani, pari a 7.746 euro circa) al 57,9% della Turchia (dove un lavoratore medio guadagna 137.339 lire turche, che equivalgono a 6.404 euro). In Italia si parla del +5,7%, meglio dei vicini “cugini” europei, con la Francia al +5,4% e la Spagna al +2,9%. Un italiano guadagna in media 33.855 euro lordi, contro i 41.540 euro dei francesi e i 28.360 euro degli spagnoli. Ben distanti gli statunitensi che, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, vantano uno stipendio lordo pari a 64.889 dollari, ovvero poco più di 58.817 euro; per non parlare degli svizzeri, che guadagnano mediamente 100.884 franchi, pari a 102.729 euro. In questo contesto, l’Italia occupa tra l’altro la quinta posizione per incidenza di tasse e contributi sociali sul costo del lavoro, pari al 45,9% contro una media del 34,6% e in crescita di 0,5 punti percentuali rispetto al 2021.
Aziende pronte ad aumentare gli stipendi
La leva retributiva, nell’attuale momento storico, si conferma un elemento fondamentale nell’influenzare le scelte dei lavoratori. Stando a un nuovo report annuale condotto da Hays Italia su un campione di 1.348 professionisti – prevalentemente middle e top management – e 828 aziende, sebbene il livello di soddisfazione retributiva risulti in aumento (dal 45% del 2022 all’attuale 57%), il 43% dei professionisti resta insoddisfatto della propria situazione economica e il 55% crede che il suo stipendio non sia adeguato alle attuali responsabilità. Nel 2023 il 50% degli intervistati non ha ottenuto alcun aumento retributivo, anzi, il 7% ha subito addirittura una decurtazione dello stipendio. Guardando al futuro, quasi due terzi dei lavoratori crede che non riceverà una promozione e di, conseguenza, un aumento in busta paga. Eppure, il 59% delle aziende contattate dichiara di voler ritoccare verso l’alto i livelli retributivi nei prossimi mesi, anche se lievemente (la maggior parte entro il 5%).
Irpef: come può cambiare la busta paga nel 2025
Qualcosa potrebbe però cambiare nel 2025. Come recentemente dichiarato da Maurizio Leo, viceministro dell’Economia intervenuto nell’ambito di un evento organizzato alla Camera sulla riforma fiscale, chi “guadagna 55mila euro non può essere considerato un super ricco”; eppure, oggi “questi soggetti pagano oltre il 50% di tasse”. Secondo Leo bisogna “cambiare registro” sull’accertamento, non agendo “ex post ma ex ante, con la logica del concordato preventivo biennale, così come sulle sanzioni che ad oggi sono da esproprio, per esempio in materia di Iva”. In altre parole, ciò a cui potremmo assistere è un ampliamento dello scaglione medio (ora tra 28 e 50mila euro) fino a 55mila euro sotto l’aliquota del 35% (attualmente dai 50mila euro in su l’aliquota è del 43%).
Posto che, come chiarito da Leo, bisognerà “reperire le risorse per poter procedere” e che al momento non esiste un reale progetto, il Corriere della Sera con l’aiuto della Fondazione nazionale commercialisti ha elaborato delle ipotesi su come potrebbero cambiare gli stipendi nel 2025. Un’eventuale riduzione dell’aliquota del secondo scaglione di reddito (quello tra 28mila e 50mila euro) dal 35 al 34% innescherebbe una contrazione dell’Irpef fino a un massimo di 220 euro, a parità di ogni altra condizione. Ipotizzando invece una contrazione della terza aliquota Irpef dal 43 al 42%, il vantaggio sarebbe chiaramente nullo per chi ha un reddito pari o inferiore a 50mila euro, mentre sarebbe crescente per chi dichiara più di 50mila euro e potrebbe arrivare a 500 euro per chi ha un reddito di 100mila euro.
Verso nuove regole sulla trasparenza retributiva
Intanto, continua a scorrere il countdown dell’entrata in vigore della Eu pay transparency directive, la nuova direttiva sulla trasparenza retributiva approvata in via definitiva dal Parlamento europeo lo scorso anno. A partire dal 2027 tutte le aziende con oltre 50 dipendenti saranno tenute a fornire informazioni sulle buste paga e a intervenire laddove il divario retributivo di genere superi il 5%. La direttiva include anche risarcimenti per le vittime di discriminazione retributiva e ammende per i datori di lavoro inadempienti. Stando a un’altra analisi di WTW condotta su oltre 500 aziende a livello europeo per un totale di circa 13 milioni di dipendenti, il 66% ha avviato valutazioni sul tema. Una percentuale che sale al 75% per le pmi italiane. Ma non mancano perplessità. Nel Belpaese, infatti, il 18% delle aziende afferma che l’assenza di un sistema di classificazione dei livelli di carriera chiaro e diffuso in tutta l’organizzazione rallenta l’adozione di programmi di trasparenza retributiva. Inoltre, il 33% crede sia necessaria una revisione delle politiche di gestione e progressione retributiva.
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(Articolo aggiornato il 26 giugno 2024)