Quest’ultimo è a tutti gli effetti un trust ordinario sia sotto il profilo civilistico, che fiscale. Rimangono validi quindi tutti i vantaggi tipici dell’istituto del trust, quali la segregazione patrimoniale, l’asset protection, l’unitarietà del patrimonio, la gestione professionale e la governance degli asset, ecc. A questi si aggiunge il vantaggio che i beni restano nella disponibilità del disponente fino al momento della sua morte. Rispetto a un trust ordinario, infatti, le differenze risiedono nella modalità di apporto dei beni, che avviene solo in caso di decesso del disponente, ed eventualmente di costituzione, che può avvenire per testamento, come meglio illustrato di seguito.
Per contro, il trust testamentario accentua alcune criticità legate al conflitto fra la legge regolatrice del trust e le leggi domestiche in tema di successioni e testamento. Infatti, la legge regolatrice è solitamente quella di Stati di common law, dove vige la massima libertà in tema di successioni. Gli Stati di civil law, quali l’Italia, presentano invece all’interno del loro ordinamento disposizioni volte a tutelare la figura degli eredi e a regolare le modalità di trasmissione del patrimonio mortis causa.
Come noto, l’ordinamento italiano, pur non avendo una legislazione ad hoc in tema di trust, ammette l’istituto avendo aderito alla Convenzione relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento conclusa all’Aja nel 1985 (di seguito per brevità la “Convenzione”). Si è quindi tenuti a formare un trust ricorrendo alle leggi di uno stato che disciplina tale istituto (es: Isole Jersey, Regno-Unito, Nuova Zelanda).
La Convenzione stessa (art. 2) prevede che sia possibile costituire un trust per testamento, oltre che per atto fra vivi, se la legge regolatrice lo prevede. Inoltre, la Convenzione (art. 4) ammette che i beni possano essere apportati in trust per via testamentaria, fatta salva la validità del testamento.
Si è soliti distinguere il trust testamentario in due tipologie diverse a secondo della modalità di costituzione:
- trust istituito per testamento: il disponente istituisce un trust attraverso il proprio testamento, indicandovi chi debba rivestire il ruolo di trustee, quali beni siano conferiti in trust, quali soggetti ne siano beneficiari e con quali modalità;
- trust dormiente: il disponente istituisce il trust per mezzo di un atto inter vivos, ma si attiva alla sua morte, quando i beni indicati dal disponente nel testamento sono conferiti nel trust preesistente.
A sua volta, il trust istituito per testamento si divide in due sottocategorie:
- costituzione diretta, ovvero il disponente costituisce il trust direttamente in sede di testamento;
- costituzione indiretta, ovvero il testatore obbliga gli eredi o i legatari ad apportare in trust i beni loro devoluti.
La seconda fattispecie, sebbene risolva alcuni aspetti legali critici illustrati di seguito, ne comporta altri e comunque richiede un doppio passaggio: de cuius-eredi/legati ed eredi/legati-trust, che presenta rischi di doppia tassazione e introduce elementi di incertezza sulla effettiva esecuzione delle volontà del de cuius, di conseguenza non sarà trattata oltre.
L’aspetto temporale legato al momento in cui il trust si attiva è cruciale in quanto la situazione personale del disponente può mutare nel corso del tempo.
Sotto questo profilo, il trust istituito per testamento permette di modificare le volontà espresse dal disponente (ad esempio, l’individuazione dei beneficiari o del trustee, la durata, le distribuzioni) direttamente nel testamento con maggiore flessibilità rispetto al trust dormiente, che invece è cristallizzato al momento della costituzione, sebbene possa essere modificato entro i limiti imposti dalla legge regolatrice. Inoltre, possono venire a mancare le ragioni alla base dell’istituzione del trust perché, ad esempio, i figli beneficiari hanno raggiunto la maggiore età.
Come accennato, uno degli aspetti più delicati riguardante il trust testamentario concerne il rapporto con il diritto successorio. Infatti, la Convenzione (art. 15, c. 1, lett. c) è chiara nell’affermare la supremazia della normativa successoria rispetto a quella del trust.
Se i beneficiari del trust non sono gli eredi legittimari, possono quindi sorgere problematiche di violazione di quota di eredità legittima. In tale caso, gli eredi pretermessi potrebbero esercitare una cosiddetta azione di riduzione (ex art. 554 c.c.), volta all’integrazione della loro quota di eredità garantita per legge. Ciò non comporta necessariamente la nullità del trust, ma potrebbe comunque dare luogo a una riduzione della dotazione patrimoniale del trust almeno entro i limiti della quota disponibile.
Una delle prime criticità mosse al trust testamentario riguardava la compatibilità con il divieto di sostituzione fedecommissaria (ex art. 692 c.c.), oramai superato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (cfr. sent. trib. Lucca 23 settembre 1997 confermata in sede di appello a Firenze 9 agosto 2001, in cui i giudici hanno ammesso la validità di un trust testamentario costituito da un cittadino italiano trasferitosi negli Usa, retto dalla legge di quest’ultimo Stato, in cui apportava l’intero suo patrimonio nominando la figlia trustee e beneficiari i di lei figli).
Sotto altro profilo, il trust testamentario potrebbe entrare in conflitto con il divieto dei patti successori sancito dall’articolo 458 del codice civile, ai sensi del quale è fatto divieto di disporre della propria successione per convenzione. Tuttavia, la dottrina ritiene che il conflitto sia solo apparente, posto che il testamento è un atto unilaterale e non un contratto.
Un ultimo aspetto critico del trust testamentario attiene alla potenziale collisione con l’art. 549 del codice civile, in base al quale il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota di eredità spettante ai legittimari. I beneficiari (legittimari) del trust testamentario potrebbero contestare l’attribuzione al trust di beni del de cuius (avvenuta conformemente alle sue disposizioni di ultima volontà), in quanto tale assetto potrebbe pregiudicare il loro diritto di disporre incondizionatamente della loro quota di legittima. In tal caso, si ritiene che gli eredi possano (non debbano) esercitare l’azione di riduzione e il trust resterebbe comunque valido almeno entro il valore della quota disponibile.
A ogni modo, secondo certa dottrina di stampo notarile (C. Romano, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato n. 4/2014, §5.1) tale divieto sarebbe superabile nella misura in cui il trust avesse una funzione divisionale del patrimonio fra i figli. Infatti, l’art. 549 c.c. fa salva l’ipotesi in cui i pesi o le condizioni siano volti a una divisione dell’eredità (art. 713 c.c. e ss.). Per altra dottrina, l’articolo 549 c.c. andrebbe letto nel senso di rendere nullo un trust in cui l’erede legittimario sia nominato trustee e il patrimonio del trust rappresenti la sua quota di legittima, ipotesi non rilevante in questa sede, ma comunque avvallata dalla giurisprudenza italiana (cfr. sent. trib. Lucca 23 settembre 1997 sent. corte d’appello Firenze 9 agosto 2001).
Infine, sotto il profilo fiscale, il trust testamentario non differisce da quello ordinario per la tassazione diretta, sia per i redditi percepiti, che per quelli distribuiti ai beneficiari. Neppure la tassazione indiretta, ovvero l’assoggettamento all’imposta di successione e donazione, dovrebbe differire. Di conseguenza, dovrebbe valere la dicotomia fra la posizione dell’agenzia delle Entrate e quella della giurisprudenza, invero ondivaga. In estrema sintesi, la prima ritiene applicabile l’imposta di donazione al momento dell’apporto dei beni in trust, la seconda invece al momento della distribuzione dei beni ai beneficiari. L’agenzia delle Entrate ha confermato il proprio orientamento recentemente (risp. n. 371 del 10 settembre 2019) in merito a un trust testamentario australiano, in cui l’unico collegamento con l’Italia era dato dai beni ivi esistenti, ovvero un appartamento e dei titoli. Ha, infatti, ritenuto tali beni imponibili ai fini dell’imposta di successione al momento della morte del de cuius. A favore della tesi dell’agenzia delle Entrate con riferimento a un trust testamentario si è pronunciata recentemente anche la giurisprudenza di merito (sentenza della commissione tributaria regionale Veneto del 5 luglio 2017). Si ritiene tuttavia che la circostanza che il trust tragga origine da un atto mortis causa non debba di per sé essere causa dell’anticipazione del momento impositivo.
Sfortunatamente, le varie pronunce hanno mancato di chiarire a chi incombesse l’onere di presentazione della dichiarazione di successione. Il trustee non sembra infatti rientrare nel novero dei soggetti tenuti a presentare la dichiarazione ai sensi dell’articolo 28 del Tusd, salvo includerlo lato sensu fra gli amministratori di eredità. Di fatti, il trustee non ha alcuna parte nella vicenda successoria, ma si limita ad amministrare i beni in trust a favore dei beneficiari. In tal senso, si è espressa anche la giurisprudenza tributaria affermando che “il trustee di un trust testamentario non può essere considerato erede del disponente defunto, ma solo amministratore del patrimonio segregato in trust che è una massa distinta” (sent. commissione trib. prov. Treviso del 22 febbraio 2016). Inoltre, le istruzioni al modello di dichiarazione menzionano esplicitamente il trustee fra i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione. Ciò nonostante non rientri fra i soggetti passivi dell’imposta (art. 5 Tusd).
In conclusione, il trust testamentario ha suscitato nella dottrina dubbi interpretativi causati dalla collisione fra la legge regolatrice del trust e alcuni principi dell’ordinamento italiano in tema successioni. Tuttavia, alcuni di tali contrasti sono confinati all’ambito dottrinale o comunque superabili, almeno in parte, con opportuni accorgimenti. Inoltre, il regime civilistico e fiscale si presenta del tutto analogo a quello di un trust ordinario. Di conseguenza, si presta a essere usato come strumento di pianificazione patrimoniale, con la caratteristica principale di poter essere attivato solo nel caso in cui il disponente venga a mancare.