La riforma fiscale incorniciata nella Legge Delega n. 111 del 9 agosto 2023 sta sempre più prendendo forma. Come annunciato dal relativo comunicato stampa (il n. 76, per la precisione), il 9 aprile scorso il consiglio dei Ministri ha, infatti, approvato il testo del decreto legislativo recante disposizioni “per la razionalizzazione dell’imposta di registro, dell’imposta sulle successioni e donazioni, dell’imposta di bollo e degli altri tributi indiretti diversi dall’Iva”.
Tra le diverse previsioni contenute nel decreto di prossima pubblicazione, alcune hanno catturato maggiormente la nostra attenzione.
Trasferimenti di aziende o partecipazioni a coniuge o discenti: più chiarezza nella riforma fiscale
In tema di imposta sulle successioni e donazioni, uno dei principali punti di interesse riguarda l’esenzione riservata al trasferimento di aziende o partecipazioni al fine del passaggio generazionale tra familiari.
La norma, contenuta nel comma 4-ter dell’articolo 3 del D.lgs. n. 346/1990 è stata sostituita da un nuovo dettato che, in sostanza, replica il significato del precedente, specificandone tuttavia i termini, alla luce delle più recenti espressioni di prassi e giurisprudenza.
Il legislatore fa chiarezza sul concetto di “integrazione del controllo”
In primo luogo, il legislatore intende far chiarezza in merito al concetto di “integrazione del controllo”. Il testo a oggi in vigore dispone che il trasferimento di aziende o quote sociali a favore dei discendenti e del coniuge “spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile”.
La formulazione così presentata aveva indotto l’Amministrazione finanziaria (cfr. risposta n. 72 del 18 marzo 2024) a ritenere preclusa l’applicazione dell’agevolazione di cui all’articolo 3, comma 4-ter, “nel caso in cui il beneficiario della donazione sia già titolare ex ante di una percentuale di partecipazione maggiore del 50% delle quote o azioni della società, con diritto di voto nell’assemblea ordinaria”.
L’autentica volontà del legislatore è stata pertanto ribadita, specificando l’intenzione di includere nell’agevolazione anche la fattispecie in cui il beneficiario, grazie alle partecipazioni ricevute, possa integrare “in controllo già esistente”.
Sicuramente un punto da accogliere positivamente in ottica di chiarezza legislativa.
Il nuovo testo inoltre, riporta, specificandoli i vincoli di permanenza nel beneficio fiscale:
- (i) proseguimento dell’attività d’impresa per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data del trasferimento di aziende o rami di esse;
- (ii) mantenimento del controllo (sempre da intendersi in chiave civilistica, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1, del Codice civile) per un periodo non inferiore a 5 anni dalla data di trasferimento in caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lettera a), Tuir;
- (iii) mantenimento della titolarità della partecipazione per un periodo non inferiore a 5 anni dalla date di trasferimento di altre quote sociali.
Le novità della riforma fiscale in merito ai trasferimenti di azioni e di quote sociali
Un’ulteriore nota positiva è racchiusa nell’ultimo periodo del nuovo disposto di cui al comma 4-ter: “Il beneficio si applica anche ai trasferimenti di azioni e di quote sociali di società residenti in Paesi appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo o in Paesi che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, alle medesime condizioni previste per i trasferimenti di quote sociali e azioni di soggetti residenti”.
La norma, infatti, amplia il suo ambito oggettivo, mostrandosi attenta alle aziende situate al di fuori dal territorio italiano e controllate da soggetti residenti in Italia. Anche stavolta, però, non si tratta proprio di un passaggio innovativo: l’adeguamento normativo in ottica di libertà di stabilimento e di iniziativa economica nel territorio dell’Ue era già stato suggerito dagli Ermellini (si vedano, al riguardo, le sentenze n. 5674 e n. 5692 del 23 febbraio 2023).
L’istituto del trust e il riconoscimento del suo ruolo nei passaggi successori
Il crescente coinvolgimento dell’istituto del trust nei passaggi successori (trattato, in ultimo, nella risposta a interpello n. 90 dell’11 aprile scorso) ha portato il legislatore a disciplinare in maniera più accurata il trattamento fiscale in materia di imposta di donazione e successione dei trasferimenti derivanti da trust, i quali vengono esplicitamente ricompresi nell’ambito applicato delle citate imposte.
Le novità della riforma fiscale sui trust
Più nello specifico, l’imposta sui trasferimenti mediante trust è computata, in via generale, in autoliquidazione, al momento del trasferimento dei beni e diritti a favore dei beneficiari, in base alle franchigie e alle aliquote variabili in relazione al rapporto tra disponente e beneficiario e al valore dei beni trasferiti. L’ambito di questi ultimi, inoltre, varia in relazione alla residenza del disponente (o settlor, ossia colui che trasferisce i beni nella disponibilità del trustee): qualora il disponente sia residente, l’imposta è dovuta in relazione alla totalità dei beni e diritti trasferiti ai beneficiari; in caso contrario, ovvero di disponente non residente, verranno considerati solo i beni e diritti esistenti nel territorio dello Stato al momento del relativo trasferimento.
La principale novità (questa sì che si può ritenere davvero tale) è la facoltà introdotta dal terzo comma del nuovo art. 4-bis del D.lgs. n. 346/1990 il quale consente l’applicazione dell’imposta in via volontaria e anticipata al momento di ciascun conferimento dei beni nel trust o dell’apertura della successione, in base alle condizioni in tal momento applicabili. In tal caso l’imposta è pagata a titolo definitivo e senza rimborso d’imposta. Tale facoltà, da accogliere con favore in ottica di certezza di prelievo, è valevole anche per i trust già ad oggi istituiti.