Finora mancava una conferma ‘ufficiale’ che l’usufrutto potesse essere imposto anche su un portafoglio finanziario. La criticità risiede infatti nella circostanza che l’usufrutto si estingue sui titoli ceduti. Nel caso di reimpiego della liquidità per l’acquisto di un nuovo titolo è necessario un ulteriore atto per poter imprimere nuovamente l’usufrutto.
Il patto di rotatività permette di ovviare a tale criticità, trasferendo sistematicamente l’usufrutto dai titoli venduti a quelli acquistati senza la necessità di ulteriori adempimenti.
La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 384 del 17 settembre affronta il regime fiscale dell’usufrutto rotativo su portafoglio, sebbene la fattispecie oggetto dell’interpello fosse regolata dal diritto svizzero. Di fatti, il portafoglio era depositato presso un istituto elvetico lasciato in eredità da un residente svizzero. Secondo le volontà testamentarie del de cuius, la nuda proprietà del portafoglio viene attribuita in parti uguali alle sue tre figlie, di cui una (l’istante) residente in Italia, mentre l’usufrutto viene attribuito alla seconda moglie.
I proventi del portafoglio, tipicamente dividendi, interessi e cedole dei fondi, vengono accreditati presso un sotto conto intestato alla seconda moglie. I titoli sono invece depositati presso un conto della stessa banca intestato alle tre figlie.
L’incertezza relativa al regime fiscale del portafoglio riguarda in particolare i capital gain generati dalla vendita dei titoli. L’Agenzia delle Entrate afferma che il momento realizzativo si verifica con la cessione e non può essere differito ad libitum in conseguenza della clausola di rotatività.
L’Amministrazione, confermando alcuni orientamenti espressi in passato, ha individuato le modalità di calcolo del capital gain. Il costo fiscale del titolo va diviso fra nudo proprietario ed usufruttuario secondo il valore dell’usufrutto determinato in base all’età dell’usufruttuario per i coefficienti stabiliti ai fini dell’imposta di registro (art. 46 e 48 TUR) alla data dell’acquisto. Il prezzo di cessione va invece diviso sulla base del valore dell’usufrutto al momento della vendita. Posto che il valore dell’usufrutto decresce al trascorrere del tempo perché si riduce l’aspettativa di vita dell’usufruttuario, si genera un disallineamento nella ripartizione della plusvalenza che alla lunga può avvantaggiare l’usufruttuario a scapito del nudo proprietario.
Un esempio numerico può aiutare a capire meglio il fenomeno. Partendo dall’esempio della risoluzione, si assuma che l’usufruttuaria abbia 68 anni al momento in cui il de cuius viene a mancare. Di conseguenza, l’usufrutto e la nuda proprietà valgono ciascuno il 50% della piena proprietà. Dopo 4 anni, un titolo del portafoglio ereditato a un costo di 100 viene ceduto a 100. L’usufruttuario subisce una minusvalenza di 10 e il nudo proprietario una plusvalenza di 10 nonostante il titolo sia stato venduto alla pari. Ciò è dovuto interamente all’effetto tempo che ha ridotto il valore dell’usufrutto dal 50% al 40%.
Tale effetto è accentuato dalla circostanza che al momento della morte dell’usufruttuario, l’usufrutto e la nuda proprietà si ricongiungono senza tuttavia dare luogo a uno step up del costo fiscale dei titoli in capo al proprietario. In altre parole, il costo fiscale dei titoli in capo all’usufruttuario non si trasferisce al pieno proprietario, ma va di fatto perso. Riprendendo l’esempio sopra, si assuma che l’usufruttuario venga a mancare all’età di 78 anni. Il nudo proprietario (nel frattempo divenuto pieno proprietario) vende a 100 il titolo ereditato. La plusvalenza sarà pari a 50 posto che il ricongiungimento dell’usufrutto alla nuda proprietà non genera un maggior costo fiscale in capo al nudo proprietario.
I due effetti sopra combinati limitano l’attrattività dello strumento in esame ai casi in cui il nudo proprietario è in grado di compensare i capital gain (con minusvalenze riportabili generate in passato o durante la gestione del portafoglio) e l’usufruttuario le minusvalenze. In alternativa è ipotizzabile una qualche forma di indennizzo da parte dell’usufruttuario al nudo proprietario.
Conciliare la gestione fra i due soggetti è reso ulteriormente difficile dal conflitto di interesse congenito fra usufruttuario e nudo proprietario. Infatti, il primo ha interesse a massimizzare i profitti della gestione, posto che è beneficiario dei redditi (dividendi, interessi, proventi dei fondi, ecc.). Il secondo invece ha interesse a massimizzare il valore dei titoli, di cui otterrà la piena proprietà al termine della durata dell’usufrutto. Si pensi ad esempio alla scelta di un fondo di investimento azionario. L’usufruttuario ha interesse all’acquisto di un fondo di distribuzione (c.d. income fund), il nudo proprietario a un fondo ad accumulo (c.d. growth fund). Tale conflitto può essere risolto affidando la gestione a un asset manager terzo, che segua le direttive impartite da entrambe le parti, conciliandone gli interessi.
Al fine di evitare l’effetto distorsivo sui capital gain dell’usufrutto rotativo, una valida alternativa è il conferimento del portafoglio in una società semplice seguito dalla donazione della nuda proprietà delle quote.
In entrambi casi, la donazione della nuda proprietà sconta un’imposta ridotta in proporzione ai coefficienti illustrati e al contempo il ricongiungimento dell’usufrutto con la nuda proprietà (sia del portafoglio che delle quote della società) al momento della morte dell’usufruttuario non è soggetto a imposta di successione.
Infine, la risoluzione ha chiarito che il nudo proprietario è tenuto al monitoraggio fiscale (c.d. Quadro RW del modello UNICO Persone Fisiche) e al pagamento dell’IVAFE, l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere dovuta nella misura del 2 per mille.
Posto che le attività finanziarie vanno valorizzate al fair market value in sede di Quadro RW, il valore dell’usufrutto e della nuda proprietà dovrebbe essere adeguato alla fine di ogni periodo di imposta.