Uno degli strumenti di pianificazione successoria è quindi rappresentato dal trasferimento di residenza all’estero, soprattutto verso quegli Stati che presentano dei regimi attrattivi sotto il profilo fiscale, quali Regno Unito, Svizzera, Principato di Monaco e ultimamente il Portogallo, per citare i più comuni.
Tuttavia, in questi casi si tende a guardare al carico fiscale sui redditi o sul patrimonio, senza tenere nella giusta considerazione gli aspetti successori (o donativi) sotto il duplice profilo fiscale e civilistico. Non va dimenticato infatti, che il trasferimento di residenza porta con sé anche il cambio del regime successorio.
In epoca di covid-19, si è assistito al fenomeno del trasferimento all’estero per motivi di sicurezza sanitaria verso Stati che garantiscono un elevato servizio di cure mediche, come la Svizzera, o di isolamento, come gli Stati caraibici.
Alcuni di questi Stati offrono opportunità di pianificazione successoria sia sotto il profilo fiscale, che civilistico. Al contrario, possono risultare invece un incredibile boomerang nel caso in cui non si tenga conto di tali aspetti.
Ad esempio, non esistono le quote di eredità legittima nel mondo anglosassone. Per contro, l’imposta di successione inglese è pari al 40% e si applica anche ai resident non domiciled per i beni situati nel Regno Unito oppure sull’intero patrimonio trascorsi 15 anni di residenza.
Ancora, nessun cantone svizzero applica le imposte di successione o donazione fra coniugi o fra parenti in linea retta. Per contro, in alcuni cantoni le aliquote fra non parenti possono risultare molto elevate (quasi al 50%), mentre altri hanno invece abolito l’imposta tout court. Allo stesso tempo, la Svizzera offre flessibilità sulla governance della successione posto che è possibile stipulare patti successori, fondazioni di famiglia, trust, ecc.
In questa sede non è possibile analizzare il regime successorio di tutti i Paesi. È invece utile domandarsi come si comporta l’Italia nei confronti degli eredi nel caso in cui il de cuius sia residente all’estero.
Dalle recenti pronunce dell’Agenzia delle Entrate è infatti emerso un intreccio fra la normativa civilistica e quella fiscale. Fino al 2015, la legge che regolava le successioni era quella della cittadinanza del de cuius (art. 46, L. n. 218/1995). Per le successioni delle persone decedute dal 17 agosto 2015, si applica invece il regolamento Ue n. 650/2012 (di seguito il regolamento), secondo cui la legge applicabile è quella dello Stato in cui il defunto aveva la propria residenza abituale al momento della morte (art. 21). Il regolamento fa salva la facoltà del de cuius di far reggere la propria successione dalla legge dello Stato di cui era cittadino al momento della scelta o della morte (art. 22).
Sebbene il regolamento sia in vigore in tutti gli Stati Ue ad eccezione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca, si rende applicabile anche nei confronti degli Stati extra Ue.
Il regolamento non concerne la materia fiscale (art. 1, c. 1). Tuttavia, è innegabile che abbia dei riflessi tributari, in primis sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta di successione, come emerso da una recente Risposta dell’Agenzia delle Entrate (n. 206 del 9 luglio). Di fatti, la normativa italiana sulle imposte di successione e donazione (D.Lgs. n. 346 del 31 ottobre 1990 Tusd) non fornisce una definizione di erede, ovvero il soggetto passivo dell’imposta, che è quindi rimessa alla legge dello Stato che governa la successione. Nel caso di specie, l’Agenzia ha ammesso che la moglie diveniva erede e, di conseguenza, obbligata al pagamento dell’imposta di successione a seguito della rinuncia alla riserva ereditaria da parte della figlia avvenuta sulla base della legge francese ai sensi dell’articolo 23 del regolamento.
Un altro importante intreccio fra la normativa fiscale e quella civilistica riguarda il concetto di residenza.
Infatti, se il de cuius è residente in Italia al momento della morte, tutti i suoi beni ovunque nel mondo sono colpiti dall’imposta di successione, cosiddetta world wide principle. Se invece il de cuius è residente all’estero, solo i beni e i diritti situati in Italia sono colpiti dal tributo (art. 2.2 Tusd). Questo è tipicamente il caso degli immobili.
Il Tusd non fornisce una definizione di residenza, che può essere quella:
- fiscale ai fini delle imposte sui redditi (art. 2 Tuir);
- civilistica ai sensi del codice civile (art. 43 c.c.), cioè la dimora abituale;
- civilistica ai sensi del regolamento Ue, ovvero la residenza abituale.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate non prende una posizione chiara sul punto. Tuttavia, sembra sposare la tesi secondo cui rilevi la definizione civilistica, in particolare quella del regolamento Ue, avendo accettato la circostanza che il de cuius fosse residente in Francia sulla base della normativa di quel Paese. Sotto il profilo pratico, la definizione di residenza contenuta nel regolamento appare sovrapponibile a quella civilistica italiana.
Anche la dottrina è concorde nel ritenere che la definizione fiscale pensata per un’imposta periodica quale quella sui redditi (le imposte si pagano ogni anno, se il soggetto è stato residente per la maggior parte del periodo di imposta), mal si concilia con un’imposta istantanea legata a un evento puntuale, come il decesso. Ciò comporta che per l’imposta di successione viene meno la presunzione di residenza in Italia ai fini delle imposte sui redditi dei cittadini italiani, che hanno trasferito la residenza in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (art. 2, c. 2-bis Tuir).
Di conseguenza, non si possono escludere casi di sdoppiamento della residenza, con quella fiscale in Italia per presunzione o perché vi è collocato il domicilio, rispetto a quella civilistica collocata all’estero.
Un ultimo aspetto riguarda la validità dei patti successori, vietati dall’ordinamento italiano ex art. 458 c.c., ma fatti salvi dal regolamento (art. 25) nel caso in cui il de cuius abbia applicato la legge dello Stato di cui era residente o di cui aveva la cittadinanza al momento della stipula dei patti (cosiddetta legge successoria anticipata). In Italia sono tuttavia ammessi i patti di famiglia, per i quali, il legislatore italiano ha previsto un’apposita agevolazione fiscale al fine di favorire il passaggio generazionale di aziende e partecipazioni di controllo di società. Qualora il trasferimento avvenga verso un Paese che non riconosce l’istituto dei patti di famiglia, alcuna dottrina (alla quale lo scrivente non aderisce) ha sollevato il timore che l’esenzione dall’imposta di successione o donazione potrebbe essere negata.
In conclusione, il trasferimento di residenza all’estero può rappresentare un efficace strumento di pianificazione successoria, se correttamente ponderato sotto il duplice profilo fiscale e civilistico. Per contro, può portare a un’imposizione molto elevata e alla preclusione ad alcuni istituti tipici del diritto successorio, quali patti successori e quote di eredità legittima. Infine, una chiosa sull’auspicio che il regolamento possa diventare la base di un’imposta di successione europea, posto i riflessi fiscali che porta con sé e la mancanza di un network di trattati contro la doppia imposizione successoria fra gli Stati membri della Ue.