“Il decennio dell’Onu è stato lanciato in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, lo scorso 5 giugno – dice Ulrik Fugmann, Senior Portfolio Manager di Bnp Paribas Asset Management – e mira a prevenire, arrestare o invertire il degrado degli ecosistemi in atto”.
Biodiversità: a rischio 10 trilioni di dollari
Si tratta di un’azione necessaria per evitare la perdita di biodiversità, che mette a repentaglio il raggiungimento dell’80% dei sotto-obiettivi di sostenibilità relativi alla povertà, alla fame, alla salute, all’acqua, alle città, al clima, agli oceani e alla Terra. E allora, l’Onu è in prima linea per incentivare iniziative pubblico-private atte a frenare questo degrado, o a far sì che esso inverta la rotta. Per farlo si dovranno creare sinergie tra le iniziative e le aziende che insistono su determinati territori o operano nei medesimi ambiti. E sarà necessario in questo percorso migliorare lo scambio di conoscenze su ciò che funziona e perché, quali sono gli aspetti politici, economici e biofisici che lo rendono possibile e su come implementare il restauro su larga scala. “Sarà necessario – continua Frugmann – coinvolgere un più ampio spettro di attori, soprattutto di settori che non sono tradizionalmente coinvolti, perché la salvaguardia degli ecosistemi è qualcosa che crea benefici per tutti, nella società e nell’economia”. Ma è anche un processo che richiede una trasformazione a tutti i livelli. Le Nazioni Unite stimano che i danni agli ecosistemi, tra cui foreste, praterie e barriere coralline — e la relativa perdita di biodiversità — potrebbero drenare quasi 10 trilioni di dollari dall’economia globale entro il 2050. “Le perdite sarebbero il risultato del calo delle rese delle colture e della pesca, nonché di una maggiore esposizione alle inondazioni e ad altre catastrofi naturali, tra gli altri fattori – continua il gestore di Bnp Paribas Am – e un’altra ricerca Onu ha dimostrato che la maggior parte della produzione alimentare mondiale proviene attualmente da meno di 200 specie vegetali, di cui solo nove — tra cui riso, mais e grano —rappresentano i due terzi del totale”.
Proteggere le specie da cui derivano le derrate alimentari
Questo vuol dire che basterebbe una sola epidemia capace di sterminare una di queste specie per mettere a repentaglio le derrate alimentari destinate a una popolazione globale che dovrebbe raggiungere i 9 miliardi nel 2050. Ancora, sono appena 40 i tipi di bestiame che forniscono la stragrande maggioranza della carne, del latte e delle uova consumate nel mondo, con la diversità che diminuisce progressivamente un anno dopo l’altro. Più della metà degli stock ittici, infine, ha raggiunto il limite sostenibile, ponendo a rischio le comunità che si affidano agli oceani per procurarsi il cibo.
“Secondo il Wef – continua Frugmann – frenare la perdita di biodiversità richiederà una trasformazione fondamentale in tre sistemi socioeconomici, che rappresentano oltre un terzo dell’economia globale e forniscono fino a due terzi di tutti i posti di lavoro. Questi sistemi sono quello dell’alimentare, collegato all’uso di terra e oceani; il comparto delle infrastrutture, con la sua proiezione nelle città e infine il settore estrattivo e dell’energia”.
Dal pericolo all’opportunità
Sono i tre ambiti che da cui dipendono le minacce alla biodiversità e dunque quelli che una responsabilità significativa nel guidare il cambiamento, cambiamento che peraltro potrà portare loro anche benefici potenzialmente enormi. Benefici che infine si rifletteranno sugli investitori. “Ci aspettiamo – continua Frugmann – che il ripristino dell’ecosistema sia alimentato da una pioggia di investimenti e crei una serie di opportunità commerciali, che vanno dalla creazione di packaging sostenibili per eliminare la plastica che inquina i mari, alla necessità di fornire sistemi e strumenti efficienti per l’irrigazione, allo sfruttamento dei salti idrici come fonte energetica”. E ancora, l’agricoltura avrà bisogno di efficientarsi e dunque avrà bisogno di macchine e logistica a elevato contenuto di tecnologia; per sopperire ai fabbisogni alimentari della popolazione mondiale dovrà essere in grado di fornire proteine alternative alla carne; fattorie, ma anche piantagioni e foreste dovranno diventare via via più sostenibili. Infine, l’ecosistema urbano è destinato a cambiare drasticamente: ci sarà bisogno di città ed edifici versi, di energia solare, di sistemi efficienti di waste management, di veicoli privati e di trasporto urbano alternativi.
“Molti governi hanno già incluso misure di incentivo alla transizione green nei loro pacchetti di salvataggio post Covid – continua Frugmann – ad esempio, attraverso sovvenzioni, prestiti e sgravi fiscali diretti ai trasporti verdi, all’economia circolare e alla ricerca, allo sviluppo e alla diffusione di energia pulita. Il prossimo passo sarà uno spostamento dell’equilibrio tra spesa verde e non verde, a favore della prima, ed è dunque probabile che siano decisi nuovi finanziamenti e programmi per creare posti di lavoro e stimolare l’attività economica proprio attraverso il ripristino degli ecosistemi, il controllo delle specie esotiche invasive e la conservazione delle foreste. Ci sono oltre mille aziende globali focalizzate su questi temi”.
Secondo le stime le opportunità commerciali per queste aziende hanno un valore complessivo di 6 trilioni di dollari, ma sono richiesti 2 trilioni di dollari all’anno di investimenti fino al 2030. Dunque, 22mila miliardi in totale, di cui oltre 15mila finiranno nella costruzione di edifici sostenibili e smart city e il resto si dividerà equamente tra ristoro degli oceani e della terra coltivabile e delle foreste. Allo stesso modo la metà delle occasioni di business saranno nel settore business e infrastrutture e circa 3,6mila miliardi nell’utilizzo degli ecosistemi terracquei. Un’occasione da non perdere.
(Articolo pubblicato sul numero di luglio/agosto del Magazine We Wealth)