Un nuovo comitato per sanare le ingiustizie e le spoliazioni della storia
In Svizzera, il Consiglio Federale ha recentemente istituito un nuovo comitato per fornire pareri sulle controversie relative alle opere d’arte trafugate durante il periodo nazista, nonché sulle richieste di rimpatrio per gli oggetti culturali entrati nel Paese con il colonialismo. La commissione, che sarà composta da nove o dodici esperti non ancora nominati, si chiamerà “Independent Commission for Historically Contaminated Cultural Heritage”. Questa nuova commissione svizzera arriva sulla scia di altri tentativi di affrontare tali opere problematiche. Nel 1998, sono stati dichiarati i Washington Principles sull’arte trafugata durante l’epoca nazista. Nello stesso anno, l’Austria ha creato una Commission for Provenance Research. In Germania, la Limbach Commission è stata istituita nel 2003 e recentemente sono state attuate delle riforme per migliorare la sua efficacia. Anche la Francia ha una commissione indipendente, così come l’Olanda e il Regno Unito. Purtroppo, l’Italia non ha una commissione di questo tipo e manca di un quadro per la restituzione di opere d’arte con provenienze problematiche. Potrebbe essere un modello per l’Italia in futuro?
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Le macchie del nazismo e dello schiavismo sulla collezione d’arte di Bührle
Perché la Svizzera ha istituito una commissione federale indipendente? Questo passo è stato probabilmente compiuto a causa della controversia in corso intorno alla Kunsthaus di Zurigo, che ha accettato delle opere d’arte provenienti da una collezione del produttore di armi svizzero di origine tedesca Emile Bührle. Oltre a fornire armi ai nazisti durante la seconda guerra mondiale, pare che Bührle abbia impiegato nelle sue fabbriche centinaia di giovani ragazze in condizioni di lavoro schiavistico fino agli anni ’50. Si ritiene che la collezione d’arte di Bührle sia stata creata da opere trafugate vendute sotto costrizione quando i proprietari delle opere fuggirono dai nazisti. Ancora oggi, sul sito della Fondazione Bürhle non viene fatta alcuna menzione delle provenienze problematiche. Ad esempio, per un’opera di Cezanne del 1879, Paysage, il sito della fondazione trascura di rivelare che i proprietari di prima della guerra, Martha e Berthold Nothmann, dovettero fuggire dalla Germania nel 1939. Si limita a dire che la coppia “lasciò la Germania nel 1939”. Allo stesso modo, la Kunsthaus trascura di fornire informazioni al pubblico su questa collezione.
Da Bührle a Sackler
Il fatto che Bührle abbia fatto parte del consiglio di amministrazione del museo e abbia finanziato un ampliamento del museo è di per sé problematico. Ma il problema si è intensificato quando, dopo la sua morte, la sua fondazione ha dato un sostanziale gruppo di opere in prestito permanente al museo, che le ha accolte nei suoi spazi pubblici senza alcuna verifica della loro provenienza. Il museo arrivò persino a costruire un’estensione speciale da 220 milioni di dollari per esporre le opere. Continuare a chiudere un occhio è sconcertante, dal momento che oggi molti musei in tutto il mondo hanno riconosciuto e ripensato seriamente l’accettazione del sostegno finanziario e delle opere d’arte da parte di mecenati potenzialmente problematici. Ad esempio, nel caso di donatori di musei come Sackler, il magnate farmaceutico che ha creato un’epidemia di oppiacei, il nome della famiglia è stato rimosso dalle pareti dei musei. Questa responsabilità sociale sta rapidamente diventando normativa.
L’inazione del Kunstaus di Zurigo ha portato un collettivo artistico a prendere in mano la situazione. Infiltrandosi nel Kunsthaus, hanno sostituito i codici QR del museo per le opere di Cezanne, Rouault, Monet, Manet, Van Gogh, Renoir e Picasso. Un link portava lo spettatore alla vera storia del signor Bührle e ha messo il pubblico a conoscenza delle provenienze delle opere.
Sebbene il museo non ritenesse opportuno divulgare le storie problematiche sulla proprietà delle opere d’arte, le ulteriori pressioni del pubblico lo hanno indotto a cambiare rotta—ma solo parzialmente. Per fornire un contesto alle opere, il museo ora ha aperto una nuova mostra sulla collezione Bührle intitolata “Arte, contesto, guerra e conflitto”. Ma anche questo è stato criticato come non sufficiente. Inoltre, molte opere controverse non sono ancora state indagate o restituite dalla Fondazione Bührle. Tutto questo è sorprendente, perché molti musei oggi hanno creato mostre pionieristiche con etichette a parete che spiegano in modo veritiero come le opere sono entrate nelle loro collezioni. Alcuni musei si sono spinti fino a chiedere allo spettatore di contattare il museo se vede un’opera acquisita illecitamente. Altri hanno creato mostre che chiedono allo spettatore di mettersi nei panni del direttore, utilizzando le mostre per far comprendere i dilemmi che queste opere pongono senza offrire soluzioni semplicistiche.
Quali le novità della commissione svizzera?
Il modello della Commissione svizzera presenta alcune novità. A differenza della Limbach Commission della Germania, che media solo quando due parti non riescono a risolvere una controversia, la commissione svizzera procederà anche se solo una parte presenta un reclamo. Questo promette di dare maggiore libertà alle singole parti di presentare richieste di risarcimento senza che il museo debba essere d’accordo. La commissione svizzera prenderà in considerazione anche tutti i tipi di patrimonio trafugato, non solo quello trafugato dai nazisti. Ma come altre commissioni finora, la commissione svizzera può solo formulare raccomandazioni non vincolanti, e questo potrebbe portare ad un impatto minore delle loro scoperte, come è avvenuto in Germania. La speranza è che i governi intervengano per dare peso alle loro scoperte.
Secondo Katharina Hüls-Valenti, storica dell’arte specializzata nella ricerca sulla provenienza e che ha recentemente organizzato una conferenza per studiosi a Venezia per affrontare i problemi dell’Italia e della provenienza, “la decisione svizzera di costituire una commissione per la restituzione di beni artistici sottratti in maniera illegittima durante il Nazifascismo è un importante segnale di esplicita assunzione di responsabilità. Inoltre, il modello di allargare la competenza della commissione anche a questioni relativi ad oggetti di provenienza coloniale è attualmente un unicum al livello europeo, la quale adozione si presterebbe bene anche per l’Italia visto il suo quadro storico. Sarebbe quindi auspicabile che le strade intraprese dalla Svizzera, e già prima in quest’anno dalla Francia, possano favorire un simile sviluppo in Italia, che, come gli altri paesi, fa parte dei 44 paesi firmatari dei Washington Principles nel 1998.”
La ricerca sulle provenienze: un lavoro che richiede elevatissima competenza
La chiave per valutare le origini e la catena di proprietà di un’opera d’arte è sempre la stessa: la ricerca sulle provenienze. Questo lavoro può essere svolto solo da storici dell’arte preparati, altamente specializzati nel campo. A mio avviso, la ricerca dovrebbe essere svolta o almeno controllata in modo indipendente dal mercato. I ricercatori di provenienza sono spesso esperti in diversi settori: opere trafugate durante il nazismo, o dell’epoca coloniale, o antichità acquisite illecitamente…Ma in Italia, la formazione nella ricerca di provenienza non è considerata di primaria importanza in un curriculum o in un contesto accademico. Né un’adeguata formazione in materia di due diligence sulla provenienza, condotta secondo un metodo condiviso, è una priorità per i musei italiani. Molti musei in altri paesi hanno ricercatori specializzati nella provenienza e dipartimenti dedicati. Al di fuori dell’Italia, gli studi legali specializzati in arte spesso impiegano specialisti indipendenti altamente specializzati per questo lavoro delicato. Infine, le provenienze problematiche sono a volte trascurate, offuscate o omesse nelle transazioni del mercato dell’arte. Di conseguenza, le etichette da parete, i cataloghi delle mostre e le vendite a volte finiscono per essere privi di informazioni cruciali, lasciando i collezionisti e il pubblico all’oscuro. A mio avviso, come preannunciato nel nome della nuova commissione, l’indipendenza sarà fondamentale, e si spera che il modello svizzero consideri l’indipendenza dai conflitti di interesse come elemento determinante anche nella nomina dei suoi membri.