Principato di Monaco, 24 gennaio 1964. È accaduto quello che da qualche anno era nell’aria: un mostriciattolo rosso e bianco sbaraglia la concorrenza e si impone prepotentemente nel prestigioso Rallye di Montecarlo, surclassando titani quali lo squadrone di imponenti Ford Falcon, quattro volte più potenti.
Mini Cooper, l’epopea sui campi di gara
Inizia così l’epopea delle Mini Cooper sui campi di gara, divenuta leggendaria per la sua assoluta imprevedibilità da un lato e per il simbolico messaggio di rivalsa dei deboli sui forti dall’altro. Tutto ciò era appunto inimmaginabile solo pochi anni prima, nel 1959, quando Alexandre Issigonis, ingegnere di origini turco-greche in forza alla BMC (sigla che ha accorpato i marchi Morris e Austin), ideò una delle auto più rivoluzionarie mai costruite, la Mini. Incaricato di progettare una nuova piccola auto per contrastare le micro-vetture allora in auge, mantenendo caratteristiche da vera automobile, sia pure economica e funzionale ed impiegando motori già in produzione, creò un vero capolavoro. Ruote confinate alle estremità, per non ingombrare baule e abitacolo, le ruote più piccole mai viste su un’automobile di serie, angoli smussati e sbalzi quasi inesistenti. Trazione anteriore con motore disposto trasversalmente e radiatore laterale. Cambio sotto al motore con unica coppa dell’olio integrata, sospensioni a ruote indipendenti con elementi in gomma invece delle molle, per assorbire le vibrazioni. Il tutto in soli tre metri, per una linea semplice ed equilibrata, due volumi, cofano cortissimo e grande abitacolo, con quattro veri posti, una capiente mensola portaoggetti al posto del cruscotto e capaci tasche laterali.
La Mini più amata dai vip della Swinging London
Sembra che le misure siano state abbozzate da Issigonis con un gesso sull’asfalto, attorno a quattro cassette di legno sulle quali aveva fatto accomodare quattro corpulenti operai. La parte motore, cambio, trasmissione, occupava appena il 20% del volume totale, dove dominavano grandi vetrature. Aveva una foggia insolita, simpatica e sbarazzina, riuscendo tuttavia a mantenere una certa impronta British, moderna, ma compassata, che contribuì a farla diventare un vero fenomeno di costume. Il suo stile appariva perfetto nella Swinging London creativa anni ‘60, ove si impose come modello innovativo e trasversale. La Londra di Mary Quant, che proprio in quegli anni lanciò la versione “mini” anche della gonna, viaggiava in Mini, la stessa stilista viaggiava in Mini, i Beatles viaggiavano in Mini, e così la super modella Twiggy, i Rolling Stones, David Bowie e tutti i personaggi di tendenza che in quel periodo animavano la capitale inglese. Quanto ai Beatles, il loro manager ne ordinò per loro una a testa, singolarmente personalizzate; Peter Sellers ne customizzò più di una e così Steve McQueen, i Beach Boys, Clint Eastwood e Brigitte Bardot.
Anche Enzo Ferrari non sfuggì a questa tendenza; la sua Cooper, donata da Issigonis e giunta da Londra in colore rosso corsa, fu però da lui fatta subito riverniciare in grigio metallizzato: le rosse a Maranello potevano essere solo le sue purosangue. Era davvero incredibile come ad un corpo vettura così compatto ed essenziale si associassero ottime doti di guidabilità, maneggevolezza e tenuta di strada.
La Mini Cooper, un sodalizio vincente
La posizione di marcia era quantomeno inusuale, con il volante quasi orizzontale, ma la guida era diretta, rapida e precisa, consentendo quel tipico “go-kart feeling” che era uno dei punti di forza della vettura. Inoltre il peso piuma ottimamente ripartito, il baricentro basso, il favorevole rapporto peso potenza e non ultimo il motore brillante, consentirono alla Mini di rivoluzionare anche il mondo delle competizioni, sfatando miti fino ad allora inossidabili. Ciò anche grazie all’intervento di John Cooper, il preparatore inglese che aveva sconvolto la Formula 1, vincendo campionati mondiali grazie alla sua idea di posizionare il motore dietro il pilota, costringendo poi tutti gli altri costruttori a seguirlo.
La Mini del Rallye e le clamorose squalifiche del ’66
La nuova piccola Mini così stabile, maneggevole ed equilibrata costituì per lui un invito a nozze: le Mini sottoposte alle sue cure (prima le Cooper, poi le Cooper S), subito riconoscibili per il tetto in colore contrastante, si rivelarono imbattibili, potendo anche sfruttare le opportunità offerte dai regolamenti delle competizioni, che con il sistema ad handicap premiavano i propulsori più piccoli. La citata vittoria al Rallye di Montecarlo era tutt’altro che un caso. Già nel 1962, la Cooper 997 cc di Aaltonen fu costretta al ritiro a causa di un incidente, mentre era in seconda posizione (Pat Moss, su altra Cooper, vinse comunque la Coppa delle Dame); nel 1963 Aaltonen fu terzo assoluto. Nel 1964, la Mini Cooper 1070 cc numero 37 di Hopkirk-Liddon dominò finalmente la corsa, dopo una cavalcata partita addirittura da Minsk in Russia, contro ogni avversità meteorologica. Le Cooper S si ripeterono nel Rallye monegasco anche nel 1965, 1966 e 1967, imponendo prepotentemente la propria legge, nonostante gli avversari ricorressero ad ogni sotterfugio. Clamorosa fu, nell’edizione del ’66, la squalifica delle dominatrici Mini Cooper classificate al primo, secondo e terzo posto, dopo otto ore di indagini richieste dalla Citroën, che aveva mal tollerato l’ulteriore sconfitta. Al termine della lunga indagine non emerse nient’altro che la presenza di un filamento nei fanali anteriori non previsto sulle auto di serie; per lo stesso motivo fu squalificata anche la quarta classificata, una Ford Cortina e la vittoria fu quindi assegnata a tavolino alla vettura giunta in quinta posizione, la Citroën DS 21 di Toivonen-Mikkander, che peraltro era dotata dello stesso filamento, ma – si disse – comune ad una versione in produzione. Fu una pagina da dimenticare, e tanto fu lo sdegno suscitato che lo stesso pilota Toivonen si rifiutò di ritirare il premio e il Principe Ranieri abbandonò il podio.
Le altre versioni: la Mini Innocenti, l’italiana e la MINI BMW
Ma oltre che nelle versioni sportive, la Mini fu declinata in una serie innumerevole di varianti: dal furgoncino alla station-wagon, dal pick-up alle piccole simil-Rolls Royce (paradossali versioni con abbondanza di radica, pelle, maestosi radiatori verticali etc.), fino alla Cabriolet ed alla Moke, una piccola ed agile spiaggina spartana tutto-terreno. Notevole successo riscosse poi la versione italiana, prodotta su licenza dalla Innocenti, terminata la straordinaria stagione della Lambretta. Libera dai dazi doganali che fino allora l’avevano penalizzata, fu lanciata alla fine del 1965 (dal 1966 anche in versione Cooper), rivista e modificata con oltre 60% dei componenti di produzione italiana. La qualità generale fu notevolmente migliorata e vari componenti tecnici riprogettati. Le Mini Innocenti furono prodotte in circa 300.000 esemplari, un sesto delle Mini complessivamente costruite, poco meno di 6 milioni fino al 5 ottobre 2000, data nella quale uscì dalle catene di montaggio l’ultima Mini tipo ‘59. Come accaduto anche per altre auto icone del ‘900 (il Maggiolino, la 2 CV e la 500), gli appassionati diedero origine a una miriade di fantasiose rielaborazioni artigianali, che videro la Mini diventare mini-camper, roulotte, limousine, auto bifronte, auto anfibie, microvetture accorciate, spider, pulmini. La BMW, nuova proprietaria del marchio, riuscì egregiamente a reinterpretarla, creando la MINI (ora tutta in maiuscolo) versione anni 2000, più lunga, più alta, più larga, ma con innumerevoli citazioni del passato, compresa la stessa aria simpatica, irriverente e anticonformista.
La Mini nella cultura di massa e le quotazioni attuali
Si perpetua quindi il patrimonio evocativo e simbolico che aveva fatto appassionare le Star degli anni ’60 -’70 e che aveva offerto alle Mini un ruolo primario anche nel cinema. Le Mini hanno infatti ricoperto parti di rilievo in decine di film, dalla “Pantera Rosa” a “Blow up”, da “Un uomo, una donna” alle serie “The Prisoner” e “The Avenger”, oltre ai ruoli quasi da protagonista in “The Italian Job” e nella saga “Mr. Bean”.
Com’è ovvio, la notorietà e la fama delle Mini più famose non può che riflettersi sulla loro appetibilità e sulle relative quotazioni. La Mini di Paul Mc Cartney, verde salvia metallizzato, è stata ad esempio venduta ad un’asta nel 2018 per 182.000 sterline, mentre quella di Ringo Starr, rossa e grigia e dotata di portellone per caricare la sua batteria, era già stata acquistata nel 2017 per 102.000 sterline dalla Spice Girl Gery Halliwell. La Cooper di George Harrison, rossa e oro in stile psichedelico ed apparsa nel film della band “Magical Mistery Tour”, si dice sia stata venduta per 171.000 sterline a favore della Fondazione filantropica creata da Harrison, una volta recuperata da Eric Clapton, che l’aveva ottenuta in prestito e trattenuta per ben tre anni. Non si conosce invece la sorte della Mini Cooper di John Lennon, tutta nera vetri compresi, ma pare sia finita al suo maggiordomo.
Altrettanto ambite sono le Mini Cooper con una storia sportiva, che vengono generalmente trattate a non meno di 60-70.000 euro; la Cooper “ex-works” settima classificata, con Aaltonen alla guida al Rallye di Montecarlo del 1964, è stata aggiudicata nel 2023 in un’asta a Goodwood per quasi 150.000 sterline.
Articolo pubblicato nel numero di aprile 2024 del magazine We Wealth. Abbonati qui.