Sono tra quelli che ritengono che in Italia si producano grandi vini bianchi e credo che il Trebbiano bianco d’Abruzzo di Valentini faccia parte di questa categoria. L’interpretazione che Francesco Paolo Valentini fa di questo vitigno tradizionalmente coltivato in Abruzzo è spesso formidabile.
La storia della famiglia Valentini
La famiglia Valentini è proprietaria dell’omonima tenuta fin dal 1600, e per quanto si sia dedicata sin da allora alla produzione di vino, olio e grano, la produzione di vini di straordinaria qualità si deve alla passione e competenza di Edoardo, che agli inizi degli anni ‘50 inizia ad occuparsi della gestione della cantina: il suo primo vino risale al 1956. Oggi è Francesco Paolo, figlio di Edoardo, a guidare la cantina Valentini, coadiuvato dalla moglie Elèna, e dal figlio Gabriele.
Il territorio del Trebbiano bianco d’Abruzzo
La vasta tenuta include 65 ettari vitati, da cui si ricavano solo 50.000 bottiglie l’anno (il vino prodotto che non raggiunge gli standard qualitativi desiderati viene venduto sfuso), ripartite fra trebbiano, che esiste in queste zone da più di 1000 anni, cerasuolo e montepulciano d’Abruzzo. Francesco Paolo, esattamente come suo padre Edoardo, non è uomo a cui piace apparire. Per lui parlano i suoi vini, che insieme alla eccezionale finezza godono anche di una straordinaria longevità.
I vini della tenuta
Sono vini che hanno bisogno di affinarsi in bottiglia per molto tempo, vini che vale la pena di attendere. Siamo di fronte a un produttore che procede controcorrente nella scelta di porre in commercio i propri vini soltanto quando rispecchino gli altissimi standard qualitativi che lui stesso si è prefissato, capace di non far comparire alcune etichette per diverse annate, considerando poco etico non denunciare con franchezza la mediocrità di certe annate in cui le cui uve sono seriamente compromesse da gelo, pioggia, o siccità.
I vini di Valentini
È un produttore “laico” Valentini, poiché, pur avendo molto di biologico, non si lascia inquadrare nella categoria dei produttori biologici, biodinamici o naturali. A suo avviso il vino “naturale” non esiste, in quanto il prodotto naturale della fermentazione delle uve è l’aceto. I vini di Valentini, tutti quanti, sono un’opera di alto e rigoroso artigianato, e in verità Francesco Paolo si definisce un artigiano del vino.
Artigiano del vino
Nella sua accezione essere artigiani implica un impegno verso il vigneto che non escluda lo svolgimento di trattamenti con i prodotti tradizionali a base di rame e zolfo, quando necessari. Essere artigiani significa, ad esempio, ricorrere a pratiche come il sovescio – concimazione vegetale che consiste nell’interrare una o più specie erbacee, sia spontanee che coltivate a tal fine – senza demonizzare il supporto di sostanze chimiche, nei casi in cui questo dovesse essere assolutamente necessario, dal momento che l’obiettivo è quello di riuscire a produrre uve sane. Essere artigiani assume significato anche in cantina, dove avviene una fermentazione spontanea senza l’ausilio di lieviti selezionati e senza il controllo della temperatura. Tali pratiche sono possibili solo in presenza di un’uva perfettamente in salute, consentendo così di ridurre al minimo l’uso dell’anidride solforosa. In fondo, significa fare un vino che piaccia a chi lo fa, indipendentemente dalle tendenze del mercato.
L’assaggio del Trebbiano bianco d’Abruzzo
Ho avuto il piacere di assaggiare nel tempo molti vini di Valentini, non solo il trebbiano, ed è difficile non notare in ciascuno di essi un’assoluta unicità. L’ultimo assaggiato è il trebbiano 2018, che prima di essere messo in commercio ha fatto quattro anni di affinamento in bottiglia. Una vendemmia non semplice, caratterizzata da piogge che hanno portato malattie come oidio e peronospora con conseguente importante selezione al momento della vendemmia. Questo non ha impedito a Francesco Paolo di tirare fuori un vero capolavoro.
Colore e profumi del Trebbiano bianco d’Abruzzo 2018
È un vino che si presenta nel bicchiere con un colore giallo paglierino carico e luminoso, dai riflessi appena verdognoli, anche se nel centro si intravede una tendenza dorata. Il profumo è complesso, con eleganti note floreali, tra cui si riconosce la ginestra e il fiore della camomilla, ed erbe aromatiche, che si fondono con una nota fruttata di agrumi e mela renetta, insieme ad accenni di pietra focaia. Ma è in bocca il luogo in cui si consuma il miracolo: il sorso è avvincente e corposo, ma agile, più elegante che grasso, di intrigante tensione gustativa, in cui la dolcezza del frutto è perfettamente bilanciata da un’immediata freschezza, allungato da un’evidente sapidità che dona al vino una grande persistenza. Impossibile resistere alla tentazione di provare il sorso successivo. È già un gran vino, destinato a migliorare se si ha la pazienza di farlo maturare ancora, a cui il tempo donerà complessità, densità e finezza. Bisogna impegnarsi un po’ per trovarlo ad un prezzo intorno ai 130 euro. È già disponibile anche l’annata 2019.
Articolo pubblicato nel numero 64 del magazine We Wealth