Digitalizzare l’esperienza di sottoscrizione e selezione delle polizze da investimento, in particolare quelle rivolte alla clientela altamente patrimonializzata: è una sfida ancora aperta, perché nella trasformazione digitale dei processi, forse, le priorità sono state altre. Ma i tempi stanno cambiando anche per le assicurazioni vita, ha raccontato a We Wealth Massimiliano Merlo, co-fondatore e ceo di First Advisory, che dal 17 gennaio 2023 ha cambiato nome in Firstance. La sua è una voce direttamente coinvolta in questa trasformazione, in quanto Firstance si occupa proprio di offrire agli intermediari una piattaforma dedicata ai prodotti di private insurance, ossia quelle polizze d’investimento pensate per la protezione dei grandi patrimoni. In altre parole, è uno degli attori coinvolti nella digitalizzazione di un settore rimasto in parte “ancora agli anni Duemila”, dove regnano ancora relazioni personali faccia a faccia e, aspetto più problematico, molte scartoffie da firmare quando si vuole sottoscrivere un contratto. Il lancio della piattaforma dei prodotti private insurance, per la distribuzione B2B2C, e l’ingresso nel capitale di Nextalia Sgr nel 2022 (con una quota del 60%) hanno aperto la strada al recente rebranding e a nuove prospettive di crescita per Firstance.
Che cosa si porta dietro per voi questo cambio di nome in Firstance?
Dietro ci sono dieci anni di storia, durante i quali un’industria abbastanza statica come quella assicurativa, non abituata a gestire un’evoluzione dei processi, adesso vuole spingere di più nel mondo del digitale. Questo cambio di nome è legato a questa missione, perché abbiamo lanciato una piattaforma proprietaria che digitalizzerà tutto il processo di sottoscrizione. Inizieremo con le unità di private banking con le quali abbiamo già instaurato un rapporto negli anni. L’obiettivo è quello di integrare ogni aspetto in un’esperienza di utilizzo che sia il più possibile digitale. L’aspetto paradossale è che magari un cliente da 5mila euro, oggi, potrebbe avere processi molto più digitalizzati rispetto a quelli di un investitore ad alto patrimonio. Noi vogliamo che il private banker, che è il soggetto cui si rivolge la nostra piattaforma, possa gestire questi processi di selezione e sottoscrizione in modo più dinamico. In sintesi, noi permettiamo alla banca di avere, con un unico accordo distributivo, l’accesso a una pluralità di prodotti assicurativi.
Nella pratica, questo in cosa si potrebbe tradurre?
Il banker, dopo aver presentato al cliente le caratteristiche dei prodotti non deve più sottoporre al cliente delle carte per la sua sottoscrizione, ma tramite firma digitale può identificare rapidamente il cliente e completare l’operazioni in modo più facile.
Quale impulso imprimerà sul vostro percorso l’ingresso di Nextalia?
La crescita di un’impresa è legata a ciò che questa è in grado di sostenere finanziariamente. Ora che nel nostro capitale c’è una delle maggiori realtà del private equity italiano le possibilità degli investimenti che si aprono in modo molto più ampio. L’orizzonte del lockup period [durante il quale Nextalia non potrà vendere le sue quote] è di cinque anni: non certo un orizzonte di breve periodo. L’obiettivo di questi cinque anni è diventare disruptive nel nostro ambito. Come broker ci siamo già riusciti diventando il primo attore in Italia nell’intermediazione del private insurance. Ci espanderemo anche in altri Paesi europei, a partire dal mercato lussemburghese che è per sua natura un crocevia di diverse clientele: dalla Francia, dalla Germania, dal Belgio, dalla Spagna.
Le compagnie assicurative italiane come rispondono alla “chiamata del digitale” ed è vero che esiste un ritardo nell’esperienza di utilizzo digitale fra assicurazioni e altro prodotto finanziari?
Le compagnie italiane, nella nostra esperienza, si sono rivelate le più reattive. Il ritardo nella user experience digitale indubbiamente c’è. Ma il nostro piano di assunzioni, i nostri investimenti muove verso l’obiettivo di colmare questo gap, anche se l’ultimo tratto di strada dipende dalle compagnie e dalle banche che si occupano della distribuzione — e dalla loro disponibilità a spendere risorse su questo. Da quello che noi osserviamo, anche quest’ultimo aspetto si sta sbloccando sempre di più.
Quale potrebbe essere un punto d’arrivo nella trasformazione digitale dei processi che voi portate avanti?
Firstance potrà aiutare l’industria assicurativa a diventare più competitiva rispetto ad altri prodotti che oggi sono molto più semplici nell’ambito del processo di vendita. Una verità è che, alla fine, non sempre al cliente finale viene venduto il prodotto migliore per le sue esigenze. Molto spesso il banker preferisce proporre quello più semplice da vendere. Mi spiego: se il banker per vendere un fondo comune deve solo schiacciare un pulsante e per vendere un polizza da investimento deve far firmare un plico di carte io comprendo che la comodità della prima opzione possa influenzare anche il processo di scelto. Il nostro punto d’arrivo, digitalizzando anche la componente dei prodotti assicurativi da investimento, è mettere il banker nelle condizioni poter scegliere solo sulla base delle reali necessità del cliente e non dalla facilità d’esecuzione.
Quanto è difficile far passare questo messaggio ai vostri potenziali clienti?
C’è la consapevolezza da parte dell’industria che il modo con il quale attualmente sta lavorando non è più in linea con i tempi. D’altra parte, c’è la consapevolezza che questa trasformazione richiede investimenti da parte delle banche, i cui budget non sono infiniti e i due elementi possono essere in contrasto. Qualcosa però si muove. La rete di uno dei maggiori gruppi bancari italiani, ad esempio, ha previsto fra gli investimenti in tecnologie informatiche di quest’anno proprio l’integrazione con la nostra piattaforma. Questo per far capire quanto è importante questa trasformazione digitale anche nel mondo cui ci rivolgiamo.