Andando oltre le leggi, le norme e i regolamenti, la città di Amsterdam ha deciso di restituire un dipinto di Kandinsky intitolato Bild mit Häusern (1909) alla famiglia dei suoi proprietari. L’opera, acquistata in buona fede, era esposta allo Stedelijk Museum di Amsterdam fin dal 1940, data del suo acquisto. Ora verrà restituita agli eredi dei proprietari, Robert Lewenstein e Irma Klein, costretti a venderla per sfuggire all’invasione nazista dei Paesi Bassi.
In passato, la Commissione olandese per le Restituzioni, incaricata di valutare le richieste di restituzione, aveva permesso al museo di trattenere il dipinto, in virtù di una norma secondo cui gli interessi delle istituzioni culturali potevano avere un peso maggiore rispetto a quelli di coloro ai quali l’opera era stata sottratta. La Conferenza per le rivendicazioni materiali degli ebrei nei confronti della Germania riteneva (e ritiene) che il dipinto sia stato rubato. Nonostante fosse d’accordo, la Commissione stabilì che la famiglia «non ha un legame speciale» con il dipinto. Tuttavia, l’opera era molto importante per lo Stedelijk Museum in quanto parte della sua collezione.
Il diniego provocò pubblica indignazione e forti pressioni internazionali, comprese le proteste dei funzionari olandesi preposti alle richieste di restituzione. Alla fine, è stata istituita una commissione che ha contestato la tesi addotta per il rifiuto, portando il sindaco di Amsterdam a rivedere la posizione e a scrivere che il processo di restituzione deve essere improntato a una maggiore empatia e che la città di Amsterdam ha l’obbligo «morale» di restituire l’opera.
Mentre molti paesi e musei si rifiutano di rendere le opere razziate o di riconsiderare le loro posizioni sulla restituzione, questo caso dimostra l’apertura del governo olandese a rivalutare le proprie opinioni. In questo senso, la decisione olandese è pionieristica. Molti altri paesi non hanno seguito lo stesso approccio.
Ad esempio, il dipinto di Pissarro, Rue St.Honoré, Apres-Midi, Effet de Pluie (1897), è ancora esposto al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid nonostante le numerose battaglie legali internazionali da parte degli eredi di Lily Cassirer. Le autorità spagnole non hanno scelto di adottare una posizione empatica altrettanto umana o di credere nell’obbligo morale della restituzione. Alcuni paesi, come l’Italia, non possono restituire le opere rubate o sottratte che si trovano nelle collezioni pubbliche a causa delle norme sulla deaccessioning del patrimonio nazionale. Recentemente il Regno Unito ha abolito questa regola, consentendo ai musei di prendere in considerazione la restituzione di opere rubate o razziate se esiste un obbligo morale inderogabile.
È indiscutibile che un museo non dovrebbe trattenere un’opera d’arte rubata o razziata, mantenendo il suo stesso diritto di proprietà. Si spera che quadri come il Pissarro vengano restituiti ai loro proprietari per sanare vecchie ferite e chiudere una tragedia storica. Ma una volta che l’obbligo morale è stato rispettato e un’opera d’arte è stata restituita, è necessariamente la fine della storia? La restituzione deve per forza finire lì, con il ritorno di un’opera d’arte a una collezione privata e la sua conseguente scomparsa dalla vista del pubblico? Ci devono essere necessariamente un vincitore e un perdente? Oppure potrebbe esserci un ulteriore passo, ad esempio, in cui la famiglia, pur mantenendo la proprietà, accetta di prestare a lungo termine le sue opere d’arte al museo?
Se l’opera restituita venisse prestata al museo, forse potrebbe essere accompagnata dalla promessa che il museo racconterà la tragica storia del dipinto, in modo che il pubblico possa conoscerla e allo stesso tempo godersi l’opera d’arte? La questione delle descrizioni trasparenti è stata al centro di una nuova legge a New York che ora richiede ai musei di etichettare chiaramente le opere saccheggiate dai nazisti nelle loro collezioni (anche se resta da vedere se la legge verrà applicata).
Questo e altri possibili modi di condivisione sono ciò che ho definito «matrimonio» culturale piuttosto che «patrimonio» culturale, un modo per trovare soluzioni armoniose. Soluzioni di questo tipo sono state adottate con successo da alcune parti in conflitto, come la famiglia Cezanne e il Museo di Belle Arti di Berna in Svizzera, che nel 2019 hanno deciso di condividere l’esposizione di un’opera saccheggiata, La Montagne Saint-Victoire (1897), sia nel Museo di Berna che nel Musée Granet di Aix-en-Provence, luogo di nascita dell’artista.
Come hanno notato gli eredi di Cezanne, alla fine hanno deciso di condividere il dipinto «per il beneficio e il godimento di un pubblico più vasto». Un’ultima proposta: con l’avvento della scansione digitale, forse dopo una restituzione i proprietari potrebbero prendere in considerazione la possibilità di concedere i diritti al museo per esporre una scansione 3D ad alta risoluzione al posto dell’opera d’arte stessa, consentendo al pubblico del museo di avere una «esperienza» dell’opera e della sua storia senza possedere effettivamente l’opera d’arte. Questo potrebbe essere una visione del nostro futuro.