Ne abbiamo parlato con Giuliano Foglia, socio fondatore dello Studio Foglia & Partners, commercialista e revisore contabile, esperto in particolare di diritto tributario internazionale, fiscalità d’impresa e fiscalità dei grandi patrimoni.
Allora, dottor Foglia, partiamo dalla notizia. Secondo le più recenti interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate il pagamento delle imposte sul trasferimento di beni attraverso un trust è differito al momento del passaggio effettivo: è una rivoluzione. Ci spiega perché?
L’Amministrazione Finanziaria, negli anni e in particolare con le Circolari 48/E/2007 e 61/E/ 2010 oltre che con varie risposte a istanze di interpello, aveva sempre considerato (a determinate condizioni) quale “momento rilevante” ai fini dell’imposta di successione e donazione, l’atto di dotazione del trust effettuato dal disponente. Tale circostanza, almeno nella gran parte dei casi, si discostava dal presupposto dell’imposta in questione, che è invece l’arricchimento del beneficiario. Si tratta di una necessaria presa d’atto di un principio consolidatosi negli ultimi anni nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (che riteneva rilevante proprio il momento di “uscita” dei beni dal trust) volta a dirimere il contrasto ormai persistente tra la prassi amministrativa e i giudizi di legittimità.
Questo apre il mercato: quali sono le prospettive generate da questa semplificazione? Ritiene che in Italia aumenterà l’utilizzo di questo strumento e perché?
Si tratta di un passo rilevante, in particolare con riguardo alla certezza del contribuente sull’unicità dell’interpretazione della disciplina dell’imposta di donazione e successione. In questo senso, l’allineamento di due posizioni prima contrastanti può incentivare l’utilizzo del trust e rappresentare l’eliminazione di una circostanza che era deterrente, ossia la consapevolezza del conflitto interpretativo tra ente accertatore e organi giudicanti. Per formulare una previsione sull’utilizzo dello strumento, oltre i chiarimenti recentemente forniti, a mio avviso, dovrebbe essere effettuata una valutazione più ad ampio spettro, non dimenticandoci che il trust vede nella trasmissione del patrimonio soltanto uno dei suoi utilizzi. Un ruolo fondamentale, per restare in ambito tributario, è giocato anche dalla disciplina delle imposte sui redditi, modificata da un recente intervento normativo, così come dagli obblighi in termini di monitoraggio fiscale: entrambi gli aspetti sono stati oggetto di chiarimenti (per alcuni versi rivedibili) nella Bozza di Circolare dell’Agenzia offerta in consultazione lo scorso agosto.
Quali sono i vantaggi aggiuntivi per tutti i soggetti coinvolti nel trust, con le nuove regole?
Osserviamo come, con la più recente interpretazione, all’atto di costituzione e dotazione del trust si abbia un carico fiscale sostanzialmente neutrale, rimandando poi a un momento successivo – ossia quello della attribuzione ai beneficiari – l’applicazione delle imposte in misura proporzionale (con l’eventuale fruizione delle franchigie previste dalla legge). Ciò sicuramente consente una maggiore prefigurazione di quello che potrà essere l’onere fiscale, il quale, peraltro, potrà essere sopportato confidando anche sulla sostanza del patrimonio attribuito. In questo caso, l’intervento di soggetti specializzati, quali trustee professionali e consulenti legali e fiscali esperti della materia, giocherà un ruolo fondamentale.
Ci sono ancora elementi di dubbio dal punto di vista giuridico sul parere dell’Agenzia? Quali?
Per quanto concerne le imposte indirette sui trasferimenti, pare che l’Agenzia abbia sposato – a beneficio della semplificazione – una soluzione forse troppo “piatta”, soprattutto relativamente ad alcune casistiche che, in concreto, potrebbero risultare disallineate rispetto ai principi espressi dall’Amministrazione Finanziaria. D’altra parte, non deve essere dimenticato come il trust sia di per sé caratterizzato da una grande flessibilità, dovuta alla sua genesi nelle Corti di “Equity” Inglesi, ove il giudice mitigava con strumenti discrezionali (tra cui il trust) la rigidità della Common Law, e sia stato poi “importato” in Italia mediante il riconoscimento convenzionale di trust esteri, ma senza prevedere una disciplina civilistica domestica ad hoc (fatta eccezione per quanto regolamentato con riguardo al “Dopo di Noi”). Inoltre, a mio avviso, alcune incertezze interpretative restano su taluni profili dell’imposizione diretta, in particolare per la determinazione dei redditi prodotti da trust esteri (soprattutto off-shore) rilevanti per i beneficiari residenti, così come in merito alle indicazioni fornite in termini di monitoraggio fiscale. In tutti questi ambiti, però, sarà importante la Circolare dell’Agenzia delle Entrate nella sua formulazione definitiva di prossima pubblicazione, che confido prenderà in considerazione i numerosi spunti offerti in sede di consultazione da parte di professionisti del settore e associazioni di categoria.