Arte, se vince l’inattendibilità dell’attribuzione

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Due enti certificatori rivali delle opere dell’artista, l’Associazione Archivio Gino De Dominicis e la fondazione che pure porta il suo nome, presieduta da Vittorio Sgarbi. Un conflitto di attribuzione. Il tribunale che sceglie di optare per la “presunzione di innocenza” (l’autenticità delle opere) pur se in assenza di prove, o forse proprio per questo. Una soluzione amara, ma che una volta di più indica la strada da seguire in casi come questo

Prologo

Una recente sentenza del tribunale penale di Bolzano ha trattato un importante tema spesso al centro di animate discussioni tra gli esperti, soprattutto con riferimento a opere di artisti moderni o contemporanei. Il tribunale è stato chiamato a giudicare se una persona fosse o meno responsabile del reato di contraffazione di opere d’arte attribuite all’artista Gino De Dominicis per averle poste in commercio e vendute tramite una casa d’aste di Bolzano, conoscendone la falsità (art. 178 del Codice dei beni culturali, sostituito dall’art. 518-quatordecies del codice penale). Il reato di contraffazione di opera d’arte è attualmente punito con la pena della reclusione fino a cinque anni di reclusione e prevede la confisca obbligatoria. La persona imputata aveva svolto un ruolo nella Fondazione Gino De Dominicis, presieduta da Vittorio Sgarbi e costituita a seguito di un conflitto sorto all’interno dell’Associazione Archivio De Dominicis, istituita nel 1999 poco dopo la morte prematura dell’artista, a opera di Italo Tomassoni, suo avvocato ed amico, Duccio Trombadori, alcuni parenti di De Dominicis, a cui si aggiunsero successivamente, tra gli altri, Maurizio Calvesi e Vittorio Sgarbi. Il conflitto tra i due enti certificatori dell’autenticità delle opere dell’artista è esploso quando risultò l’avvenuta autenticazione da parte della Fondazione presieduta da Sgarbi di un numero assai elevato di opere De Dominicis non riconosciute, né registrate nell’Archivio dell’Associazione concorrente e acquistate da un noto collezionista milanese. La sentenza ha prosciolto l’imputata dopo un’amplia ed articolata istruttoria nella quale sono stati esaminati numerosi testimoni, tra cui lo stesso Sgarbi, e consulenti tecnici sia dell’accusa, sia della difesa. Secondo la sentenza non sussistendo la prova, in base all’art.533 del codice di procedura penale “al di là di ogni ragionevole dubbio” della non autenticità dei quadri commerciati dall’imputata, la stessa deve essere assolta e le opere devono essere restituite ai rispettivi proprietari.

Giuseppe Calabi, avvocato

Il caso si inserisce in un contesto di elevata polemica e litigiosità tra i due archivi di De Dominicis, spesso esacerbata da reciproche accuse su stampa e social media. La sentenza merita tuttavia una particolare attenzione, in quanto il tribunale, dopo avere effettuato una sintetica, ma esaustiva illustrazione della “regolazione assai scarna” del mercato dell’arte in Italia, ha affrontato in modo preciso alcuni aspetti relativi all’accertamento dell’attribuzione di un’opera d’arte contemporanea, sgombrando il campo da un equivoco: si deve escludere che nell’ipotesi di discordanza tra pareri, ovvero nella loro incertezza, l’autenticità di un’opera possa essere ottenuta giudizialmente, anche perché ogni parere nel mondo accademico e dell’arte può essere messo in discussione da un parere di segno diverso.

Nel caso in esame, il tribunale ha recepito in larga misura le conclusioni dei consulenti tecnici della difesa, che avevano evidenziato la disomogeneità del lavoro di De Dominicis, artista eclettico che continuativamente sperimentava forme espressive diverse” e l’impossibilità di avere come riferimento un idoneo campione di opere rispetto alle quali le opere in questione potessero essere paragonate al fine di valutarne l’autenticità. Ma soprattutto, il giudice penale ha ritenuto vaghe e prive di un chiaro riferimento fattuale le affermazioni del consulente tecnico dell’accusa circa la dimensione qualitativa del lavoro dell’artista, descritto con tratti quasi maniacali rispetto alla precisione, quali criteri per escludere l’autenticità delle opere in esame. Secondo il giudice, un’ipotesi accusatoria fondata su una presunta inconciliabilità tra le opere in esame e alcuni ipotizzati tratti caratteriali distintivi di un artista che era restio a qualsiasi catalogazione e omologazione, non può trovare accoglimento.   

Il tribunale conclude il proprio ragionamento con una amara considerazione: se è vero che i testimoni esaminati sono gravati da profili di inattendibilità, sono gli unici soggetti ad avere conosciuto e frequentato il De Dominicis e possono quindi fornire un minimo e fragile contributo per comprendere le modalità di lavoro dell’artista “in maniera non mediata dalla personale rielaborazione degli studiosi di arte contemporanea o degli interessi economici degli archivi concorrenti”.

Sharon Hecker, storica dell’arte

Il punto di intersezione tra la storia dell’arte e il diritto dell’arte sono le prove. Il ctu della difesa dice: “Siamo in un’aula in cui si celebra la presunzione di innocenza, lo stesso principio vale per l’opera. Così come la dichiarazione di autenticità ha bisogno di prove, altrettanto la dichiarazione di non autenticità ha bisogno di prove oggettive”. Per il giudice erano le prove che mancavano per convincerlo. Da tempo consiglio un metodo per la due diligence delle opere d’arte basato sulle prove piuttosto che su vaghe affermazioni soggettive. 

Metodologicamente, per valutare l’autenticità di un’opera problematica si deve procedere in modo comparativo, creando quella che il ctu ha definito una “carta d’identità” delle caratteristiche tipiche delle opere di un artista. Concordo che in artisti sperimentali come De Dominicis si tratta di un compito difficile. Ma non concordo sull’affermazione che sia impossibile. Anche gli artisti sperimentali sono metodici. Spesso utilizzano solo determinati pigmenti, una certa patina, tela o colla. Un recente studio su Modigliani ha evidenziato un metodo di lavoro, di materiali, di tecniche. Da anni svolgo una ricerca simile su Medardo Rosso. Questi possono essere indizi essenziali per capire opere gold standard e permettono di vedere quanto le opere problematiche siano vicine a questo standard. 

Il ctu ha affermato che gli artisti concettuali non sono interessati all’esecuzione materiale. È vero il contrario. Donald Judd faceva eseguire le opere in ferro solo in un negozio vicino al suo studio. Utilizzava solo compensato di abete Douglas americano e uno stile preciso di falegnameria e fissaggio. Maurizio Cattelan faceva realizzare le sue opere in cera da un artigiano a Parigi. Gli artisti che hanno sperimentato molti media, da Luciano Fabro a Jenny Holzer a Jeff Koons, sono molto precisi riguardo ai materiali e alle tecniche. Se si affidano ad artigiani per la realizzazione rimangono coinvolti nel processo, ispezionando i prototipi e le opere finite. Afferma Judd: “La tecnologia e il manufatto del mio lavoro fanno parte dell’arte. Il lavoro realizzato senza la mia supervisione non è il mio lavoro”. Senza una comprensione della natura materiale delle opere di De Dominicis, basata su prove, sarà difficile proteggere la sua eredità dai falsi.

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In copertina: Gino De Dominicis, Teschio con lungo naso (dettaglio)

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