Dopo le vittorie in quasi tutti gli stati chiamati alle primarie del Super Tuesday, Donald Trump non avrà più alcun ostacolo di fronte alla sua nomination per il partito Repubblicano: Nikki Haley, unica sfidante dell’ex presidente rimasta finora in partita, si è ritirata dalla corsa. “Ora spetta a Donald Trump guadagnare i voti di coloro che, nel nostro partito e non solo, non lo hanno sostenuto, e spero che lo faccia”, ha detto Haley in un breve discorso.
Lunedì Trump aveva ottenuto un’altra importante vittoria sul terreno legale: la Corte Suprema federale, infatti, ha sancito la candidabilità di Trump, dopo che gli era stata negata dai giudici del Colorado, per la sua partecipazione all’insurrezione del 6 gennaio 2021. La decisione della Corte Suprema è stata unanime, anche per i membri di nomina democratica, uniti nell’affermare che la disposizione costituzionale invocata dai giudici del Colorado non poteva essere applicata alle incitazioni di Trump in occasione dell’attacco al Campidoglio.
Rimossi gli ostacoli legali più immediati sulla sua candidatura e l’ultimo rivale alle primarie, Trump si affaccia alle elezioni presidenziali con un vantaggio nei consensi rispetto al presidente in carica, Joe Biden.
A che punto è il testa a testa Trump-Biden
Secondo un sondaggio realizzato da Cbs alla vigilia del Super Tuesday, il confronto diretto fra Trump e Biden vede in vantaggio l’ex presidente con il 52% delle preferenze. In prospettiva, gli ultimi mesi hanno visto un progressivo deterioramento del consenso attorno all’operato di Biden, stando alla media dei sondaggi del sito specializzato Fivethirtyeight: se il 23 gennaio scorso l’approvazione media del presidente era del 53,1%, in circa un mese e mezzo il dato è crollato al 38,2%.
In parallelo, la quota di americani che esprimono un’opinione favorevole di Donald Trump è andata gradualmente a rafforzarsi, passando dal 38,7 al 43,3% nel periodo compreso fra il 1° febbraio e il 5 marzo.
Per quanto la strada verso l’Election day del 5 novembre sia ancora molto lunga, le probabilità di un’elezione di Donald Trump appaiono oggi più solide rispetto alle chance che gli venivano attribuite dai sondaggisti nel 2016 – i cui errori di valutazione sono poi diventati oggetto di approfondite analisi.
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Se vince Trump: le conseguenze attese dagli analisti
Molte ipotesi sono state formulate nelle scorse settimane, per comprendere quali conseguenze potrebbe avere una seconda presidenza Trump, anche se posizionare i portafogli sulla base di queste considerazioni potrebbe essere una mossa precoce. “Crediamo che sia troppo presto fare affidamento sui sondaggi di popolarità nazionali per fare una previsione definitiva sulle elezioni negli Stati Uniti, poiché molto può cambiare nei prossimi otto mesi”, hanno dichiarato gli analisti di Ubs in una nota del 6 marzo, “riteniamo che i pregiudizi politici possano essere controproducenti per i portafogli di investimento e raccomandiamo agli investitori di mantenere un focus a lungo termine nella posizionamento del loro portafoglio”.
Fra gli aspetti più comunemente attesi dalle politiche di Donald Trump c’è la minaccia di nuove barriere commerciali: al momento si parla di un dazio universale al 10% che sarebbe applicato a tutti i beni importati.
La realizzazione di questo piano colpirebbe, fra gli altri, i settori dell’economia europea più esposti alle esportazioni verso gli Stati Uniti e, in generale, danneggerebbe il confronto fra le azioni europee e quelle americane. Inoltre, secondo quanto affermato le scorse settimane dagli analisti di Goldman Sachs, l’impostazione protezionista delle politiche di Trump potrebbe sostenere il cambio del dollaro.
Un altro elemento sul quale l’Unione europea sta sollecitando maggiore attenzione è il possibile disimpegno americano nell’alleanza Nato, in caso di aggressioni militari. Lo scorso 11 febbraio Trump ha affermato che “non proteggerebbe” gli stati che non hanno raggiunto il target di spesa militare Nato al 2% del Pil, aggiungendo che incoraggerebbe i russi “a fare quello che diavolo vogliono” dei Paesi che non hanno investito quanto pattuito sulla difesa. Il 5 marzo la stessa Commissione europea ha presentato un piano per l’industria della difesa che prevede lo stanziamento di 1,5 miliardi di euro per l’acquisto e il potenziamento della produzione di armamenti da qui al 2025.
Dopo una forte sovraperformance delle azioni europee attive nel settore della difesa nel 2023, il copione sembra essersi ripetuto all’inizio di quest’anno: dall’inizio dell’anno al 6 marzo l’indice Stoxx Europe Total Market Aerospace & Defense ha realizzato una performance del 19,4% contro il 4% dell’indice europeo di riferimento Stoxx 600. Il confronto è ancora più chiaro se si allarga l’orizzonte di osservazione agli ultimi 12 mesi, con performance del 41,9% e 7%, rispettivamente.