Cosa succede all’interno di un museo quando si sospetta che un’opera d’arte inclusa in una sua mostra o della sua collezione sia stata attribuita in modo errato? Quali sono le procedure e le strategie standard per esaminare l’attribuzione delle opere che entrano nei suoi spazi? I musei come possono emanciparsi dall’opinione di un singolo esperto o curatore, coinvolgendo diversi tipi di specialisti imparziali? In che modo possono mettere il pubblico al corrente dei loro processi di ricerca, e, infine, dei risultati?
Oggi non esistono ancora standard condivisi per i musei sulla conduzione della due diligence sull’arte o su come comunicare i risultati al pubblico. Con la crescente tendenza alla trasparenza istituzionale, alcuni musei internazionali – pionieristici – stanno iniziando a cercare nuovi modi per riesaminare e porsi domande serie sulle proprie collezioni e sulle opere esposte nei loro spazi.
Tre casi recenti mostrano diverse modalità con cui i musei possono condurre la due diligence sulle opere d’arte.
Il caso Vermeer
Il primo è l’esempio della National Gallery di Washington, D.C., che ha recentemente cercato di verificare un’opera della propria collezione permanente attribuita a Vermeer, la Ragazza con il flauto. Il museo ha quindi condiviso e reso disponibili online i risultati della sua analisi tecnica per la lettura degli studiosi e per la pubblica trasparenza, concludendo che l’opera non era di mano dell’artista.
Il museo ha poi compiuto un ulteriore passo avanti creando una mostra che ha permesso agli spettatori di esaminare l’opera insieme a un’altra della collezione con un’attribuzione sicura, spiegando al pubblico le conclusioni del museo e permettendo a chi visita la mostra di formarsi una propria opinione. Lasciare l’attribuzione come una domanda aperta è un approccio eccellente per i casi in cui non esiste una risposta definitiva. Ci insegna ad accettare la possibilità di un’attribuzione dubbia piuttosto che cercare una risposta risolutiva, spesso falsamente rassicurante. Inoltre, permette ad altri di formarsi opinioni diverse: quando la stessa opera è stata recentemente prestata al Rijksmuseum di Amsterdam per la mostra monografica su Vermeer, il Rijskmuseum ha interpretato i risultati della National Gallery in modo diverso e ha scelto di esporre con cautela il dipinto al pubblico come “attribuito qui a Johannes Vermeer”.
Donatello
Un secondo esempio innovativo è la recente mostra di Donatello al Victoria & Albert Museum di Londra, che ha incluso una sezione finale sui falsi e le copie. La mostra era completata da un saggio in catalogo della curatrice Whitney Kerr-Lewis su “Imitatori, copisti, falsari”. Il museo ha messo apertamente in guardia il pubblico sui molti artisti che hanno copiato Donatello per quattro secoli dopo la sua morte e sulla difficoltà odierna di attribuire con sicurezza molte opere a lui. Il catalogo, che inserisce l’incertezza nel tessuto stesso dell’esposizione, segnala che un pannello di marmo è molto probabilmente la creazione di un “devoto del XVI secolo”. Questo approccio dimostra che, nonostante la nostra fame di opere d’arte attribuite in modo sicuro a un singolo artista, la realtà delle attribuzioni è molto più complessa: esiste ancora una grande difficoltà nel separare le opere dell’artista, i veri omaggi a lui da parte dei seguaci e i falsi ben fatti che sono stati realizzati per ingannare.
Tiziano
Il terzo esempio è la Kunsthaus di Zurigo. Nel 2018, il museo ha accolto nella sua collezione un dipinto attribuito a Tiziano intitolato Paesaggio serale con coppia (1518-1520 circa). Si trattava dell’unico Tiziano presente in Svizzera e come tale aveva acquisito un certo status intorno alla sua attribuzione. In questo caso, non è stato il museo stesso a mettere in dubbio la propria attribuzione. Secondo Artnet News, l’affermazione è apparsa per la prima volta sulla stampa. È stata fatta dopo che l’opera è stata sottoposta a un’analisi digitale dell’intelligenza artificiale. Questa nuova forma di analisi non è stata effettuata dal museo o con il suo permesso.
La Kunsthaus di Zurigo ha dichiarato che: “L’analisi digitale dell’IA è stata applicata senza che noi avessimo inviato una foto ad alta risoluzione, senza il nostro ordine e senza il nostro consenso”. Ci si potrebbe chiedere se questo approccio alla de-attribuzione di un dipinto della collezione di un museo sia etico, responsabile o addirittura legale. A prescindere dal giudizio legale, un approccio del genere rischia di danneggiare la reputazione del museo.
L’azienda di IA ha riferito di aver testato il lavoro contro le immagini digitali di 300 dipinti di Tiziano, tra cui Diana e Callisto, conservato presso la National Gallery di Scotland, e La Maddalena penitente, presso il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. Il risultato è stato che c’era l’80% di possibilità che l’opera fosse attribuita in modo errato. Il Kunsthaus di Zurigo ha giustamente commentato che, oltre a non aver autorizzato questo esame dell’opera, “non abbiamo sufficiente familiarità con il metodo, le sue possibilità e i suoi limiti, né con le argomentazioni relative al nostro dipinto”.
Secondo l’azienda di IA, il metodo “è molto accessibile, cioè veloce, senza problemi (nessun trasporto, nessuna assicurazione), economico, ma anche oggettivo…
A nostro avviso, l’oggettività è uno dei nostri punti di forza più importanti, e potenzialmente quello che fa davvero la differenza, dato che ci troviamo di fronte a un mercato ancora dominato dalla soggettività”.
A mio parere, eliminare l’umano dall’equazione sembra controproducente: è risaputo che l’IA è ancora uno strumento agli albori che richiede l’intervento e l’esperienza umana di specialisti per interpretarne i risultati. Lo studio dell’opera dal vivo, in tutte le sue sfaccettature materiali, non è incluso nell’IA, che è uno strumento che deve essere ancora incorporato negli altri attrezzi dell’attribuzione, come la connoisseurship, la ricerca sulla provenienza e l’analisi forense.
Secondo Artnet.com, il Kunsthaus ha ora acquisito un altro dipinto molto simile a quello già in suo possesso, intitolato Amanti con liuto in un paesaggio romantico, con un’attribuzione all’artista francese Nicolas Poussin “o alla sua cerchia”. La prima opera è un olio su carta, mentre la seconda è un olio su tela, le dimensioni sono quasi le stesse così come i soggetti e il paesaggio. Il museo ha creato un progetto di autenticazione della durata di due anni per esaminare entrambe le opere. Ha anche deciso di appendere le due opere una accanto all’altra al Kunsthaus, in modo che gli spettatori possano partecipare al processo e garantire che rimanga aperto e trasparente. Si spera che il museo pubblichi i suoi risultati, generando ulteriori discussioni in modo da poter arrivare ad un consenso generale tra gli studiosi su entrambe le opere.