Nel contesto di tale tematica, è ad esempio divenuta di attualità – e oggetto di un recentissimo chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate – la questione concernente la classificazione fiscale dei titoli “ibridi”, aventi cioè caratteristiche che li accomunano sia ai titoli di equity sia ai titoli di debito. In questo ambito, in particolare, nella prassi di mercato assumono rilevanza i titoli cosiddetti “perpetui”. Si tratta di titoli che garantiscono ai sottoscrittori un rendimento a tasso fisso; tuttavia, il pagamento del capitale e degli interessi, oltre a essere subordinato rispetto a quello degli altri finanziamenti, non ha data prefissata ma può essere differito a totale discrezione dell’emittente (fermo restando il rimborso obbligatorio qualora questi sia posto in stato di liquidazione). Sul piano contabile, per le descritte caratteristiche contrattuali, i titoli sono classificati in bilancio secondo lo Ias 32 come strumenti rappresentativi di capitale: pertanto, le somme corrisposte dai possessori all’emittente sono rilevate a incremento del patrimonio netto della società, mentre gli interessi loro dovuti a decremento delle riserve di patrimonio netto (come per i dividendi).
Alla luce del descritto trattamento contabile, elementi potenzialmente controversi, sul versante fiscale, sono sempre stati (i) se detti titoli siano qualificabili agli effetti delle imposte dirette come “obbligazioni”, sebbene iscritti in bilancio come strumenti di equity e (ii) se le somme corrisposte ai possessori dei titoli siano deducibili dall’imponibile Ires della società emittente, sebbene siano iscritte contabilmente a decremento del suo patrimonio netto.
La questione non è di semplice soluzione, tenuto conto che in base al principio di “derivazione rafforzata” per i soggetti Ias-adopter rilevano, anche fiscalmente, le qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni effettuate in bilancio. Atteso che, tuttavia, tale principio è derogato (oltre che per i titoli similari alle azioni) per i titoli similari alle obbligazioni, occorre indagare se sussistano o meno i requisiti per tale assimilazione e se quindi il trattamento fiscale debba basarsi sulla natura giuridica dei titoli ovvero dipenda esclusivamente dalla rappresentazione contabile.
Nell’ambito di tale dubbio interpretativo, l’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello n. 291 del 31 agosto 2020, ha da ultimo chiarito che nel caso in esame il trattamento fiscale deve avvenire esclusivamente in base alla normativa tributaria (art. 44 del Tuir), “disattivando” quindi il principio di derivazione rafforzata.
Nella risposta, l’Agenzia esclude preliminarmente, sul piano sostanziale, la qualificazione degli strumenti come “similari alle azioni”, atteso che la remunerazione dei titoli non è in nessun modo commisurata ai risultati economici dell’emittente, essendo previsto il tasso fisso; d’altra parte, la possibilità per l’emittente di rinviarne a sua discrezione il pagamento non comporta una partecipazione indiretta al risultato della gestione da parte del sottoscrittore, che conserva – seppure in via differita – il diritto all’incasso della remunerazione spettante.
Ciò premesso, la riconducibilità dei titoli perpetui in oggetto alla categoria dei titoli “similari alle obbligazioni” deriva:
(i) dall’esistenza di un’obbligazione incondizionata in capo all’emittente di pagare alla scadenza il valore nominale dei titoli maggiorato degli interessi maturati, che resta ferma nonostante la “scadenza” non sia riferibile a una data precisa, ma sia legata alla durata della società;
(ii) dalla circostanza che i titoli garantiscono ai sottoscrittori tutti i diritti riconosciuti dal codice civile agli obbligazionisti (ad es. di partecipare all’assemblea degli obbligazionisti o nominare un rappresentante comune), mentre non conferiscono loro alcun diritto di partecipazione alla gestione dell’impresa.
L’Agenzia precisa inoltre che la subordinazione prevista nel regolamento di emissione è ininfluente rispetto alla qualificazione fiscale loro attribuita, purché sia fermo il diritto prioritario al rimborso degli obbligazionisti rispetto ai soci.
Nella risposta sono richiamati precedenti documenti di prassi (ris. 30/E del 2019) nei quali l’Agenzia aveva già classificato tra i titoli “similari alle obbligazioni” anche gli strumenti ibridi di adeguatezza patrimoniale emessi dalle banche, i cosiddetti “Additional Tier 1” o “AT1”, anch’essi irredimibili e dunque iscritti in bilancio quali strumenti di equity in base agli Ias.
La risposta dell’Agenzia – che chiarisce la deducibilità dei rendimenti dal reddito dell’emittente – riveste un’importanza particolare soprattutto nel settore finanziario, ove il ricorso a detti strumenti – che hanno la caratteristica di partecipare all’assorbimento delle perdite dell’istituto finanziario nel caso in cui gli indici patrimoniali scendano sotto un certo livello – consente di rafforzare patrimonialmente l’emittente e migliorarne i ratio.
Dal lato dei sottoscrittori, la remunerazione dei titoli è soggetta a imposta sostitutiva nella misura del 26% in capo ai percipienti residenti cosiddetti “nettisti” (persone fisiche non imprenditori, società di persone, enti non commerciali, ecc.) e concorre alla formazione dell’imponibile per i soggetti Ires per i quali la sostitutiva è scomputabile quale acconto dell’imposta complessivamente dovuta. Regole specifiche si applicano poi nel caso in cui lo strumento finanziario sia ricompreso in un Pir, ovvero qualora il detentore sia un Oicr o un fondo pensione, ovvero un soggetto non residente (solitamente esente se residente in uno Stato “collaborativo”).
Nella risposta in commento, tuttavia, non si affronta tuttavia il tema della deducibilità della remunerazione dei titoli dall’imponibile Irap dell’emittente. Tale deducibilità, peraltro, era stata negata dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione (la 91/E del 2019), riguardante strumenti AT1, ove era stato evidenziato che per la determinazione della base imponibile del tributo regionale vige il principio di “presa diretta” dal bilancio delle voci rilevanti di conto economico e sono invece irrilevanti, a tale scopo, le regole valide per l’Ires. È evidente, a mio parere, l’irrazionalità insita in questa interpretazione, che determina su basi meramente formalistiche un diverso trattamento dello stesso strumento finanziario ai fini dell’Ires e dell’Irap. Essa si pone peraltro in contrasto con le disposizioni di coordinamento della normativa fiscale con i principi Ias/Ifrs, ove prevedono che la concorrenza alla base imponibile delle componenti fiscalmente rilevanti per cui non è mai prevista l’imputazione a conto economico è stabilita secondo le disposizioni applicabili ai componenti imputati al conto economico aventi la medesima natura. L’intervento di prassi in commento, dunque, poteva essere l’occasione propizia per chiarire anche tale aspetto, rendendo il trattamento Irap del titolo in oggetto coerente con gli elementi sostanziali che lo caratterizzano.