Se amate l’arte contemporanea e compulsate spesso Instagram, vi sarete probabilmente imbattuti in almeno uno dei milioni di post dedicati a un luogo tanto onirico da sembrare collocato in un’altra dimensione: il Mori Building di Tokyo. Sorge in una delle due isole artificiali di Odaiba, a Toyosu, zona portuale dedicata al divertimento della municipalità Koto, una delle 23 della megalopoli (37 milioni di abitanti, 39 se si considerano i pendolari che ogni giorno ne accrescono la densità). Questo museo d’arte digitale (no, non stiamo parlando di nft, per una volta) accoglie un progetto artistico rivoluzionario nella concezione e nella filosofia: teamLab Borderless (suddiviso in Borderless World, Athletics World, Forest of Lamps).
Il nome dice tutto, siamo davanti a un collettivo (nessun nome emerge sugli altri) che lavora, sperimenta opere d’arte “senza confini” in un museo “senza una mappa”, come dichiarano gli stessi suoi componenti, aggiungendo che “lo spazio è la nostra tela, la luce i nostri colori. Ogni superficie (calpestabile e non) del palazzo è occupata da filamenti impalpabili, proiezioni di opere d’arte digitali semoventi, in continua evoluzione, mescolanza fra esse stesse, migrazione da uno spazio all’altro per accentuare il concetto di abbattimento dei confini.
Per il visitatore l’esperienza è realmente immersiva e avvolgente, senza necessità di indossare i classici visori per l’arte digitale 3D o il metaverso. I creatori di questa magia fluttuante invitano a lasciarsi andare: “Immergete il vostro corpo in un’arte senza confini, vagate, esplorate, scoprite. Create nuovi mondi con gli altri (visitatori, ndr)”.
Un messaggio realmente pacifista ed ecumenico in un mondo sempre più brutale. Il progetto nasce dalla consapevolezza che gli esseri umani conoscono il mondo attraverso i propri corpi, muovendosi liberamente e creando connessioni con le altre persone. Il corpo possiede il senso del tempo. A livello cognitivo, le persone tendono a separare il mondo in entità indipendenti, stabilendo inevitabilmente dei confini fra di esse. Ma “nella nostra mente i confini fra un pensiero e l’altro sono indefiniti; per questo i pensieri si mescolano e influenzano a vicenda”.
Le opere d’arte di teamLab vogliono “trascendere i confini mentali nella percezione del mondo”. Fondato nel 2001, il collettivo comprende non solo artisti, ma vari gruppi interdisciplinari di specialisti come programmatori, ingegneri, animatori, matematici, architetti. Dall’intersezione delle loro competenze nasce questa installazione ambientale che unisce arte, scienza, tecnologia, mondo naturale. E che regala ai visitatori l’illusione felice di volare, di essere in una realtà fino allora solo sognata.
Dal momento della sua apertura, il primo giorno d’estate del 2018, l’installazione Borderless ha richiamato celebrità da tutto il globo, liete di esibire sui social il proprio scatto irripetibile da chiunque altro, proprio per la natura dinamica delle opere. Un’espressione compiuta e appagante della cultura giapponese e confuciana del tutto armonico, della levigazione delle individualità. Fuori, impazzano Disneyland Tokyo, i robottoni degli anime, i personaggi dei manga, i brulicanti mall dell’elettronica, il Rainbow Bridge. È la meditazione immersa nell’eccesso, quella mescolanza di contrasti che tanto attrae il viaggiatore occidentale, pur non comprendendola. O forse proprio per questo.
Il collettivo ha però deciso che per ora l’esperienza giapponese è conclusa. Dal sito del progetto, si evince che un nuovo teamLab Borderless aprirà i battenti nel 2024, ad Amburgo (Amerigo Vespucci Platz), dove è in costruzione il più grande museo di arte digitale in Europa, l’unico a impatto completamente zero: un altro place to be per ogni patito di Instagram. Il gruppo teamLab è rappresentato da Pace Gallery (la stessa di Jeff Koons), Martin Browne Contemporary, Ikkan Art.
I lavori del collettivo sono presenti nei musei più importanti del mondo: Museum of Contemporary Art, Los Angeles; Art Gallery of New South Wales, Sydney; Art Gallery of South Australia, Adelaide; Asian Art Museum, San Francisco; Asia Society Museum, New York; Borusan Contemporary Art Collection, Istanbul; National Gallery of Victoria, Melbourne; Amos Rex, Helsinki; Moco Museum, Amsterdam e Barcellona.