Di qui, l’interesse a trovare, dapprima degli accorgimenti in sede di formalizzazione delle donazioni, ovvero rimedi successivi, distinguendo necessariamente, due momenti temporali, ben precisi: il primo, entro la morte del donante; il secondo, il momento a essa successivo. Tutti accorgimenti o rimedi, in realtà, che dovrebbero essere risolutivi del contratto stesso, per riuscire a neutralizzare i rischi sinteticamente sopra indicati, per cui particolarmente invasivi perché rivolti a rendere inefficace il contratto.
Fra gli accorgimenti più interessanti proposti dalla dottrina, specie notarile, sono stati indicati quelli in fase di stipula come la donazione con riserva di disporre di cui all’art. 790 c.c., il quale prevede la possibilità per il donante di riservarsi il potere di disporre del bene donato, per cui finché sarà in vita il donante, il donatario per vendere il bene dovrà coinvolgere il donante stesso, con ciò evitando di coinvolgere il terzo acquirente nella problematica sulla futura menomata commerciabilità o circolazione del bene, perché a quel punto il dante causa sarà anche il donante.
L’accorgimento, tuttavia, non pare risolutivo, ma preventivo perché non può essere esercitato dagli eredi del donante, in quanto diritto personale, e poi comunque tale accorgimento controllerà, ma non escluderà, le conseguenze della donazione.
Probabilmente la donazione modale con previsione della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 793 c.c. sembra dare qualche garanzia in più di efficacia, comportando lo scioglimento del contratto in caso di inadempimento dell’onere imposto al donatario stesso.
L’esempio della donazione di un immobile da genitore a figlio, con obbligo di ristrutturazione a carico del donatario, potrebbe essere una valida soluzione per sciogliere il contratto invocando la risoluzione nel momento in cui tale ristrutturazione non viene realizzata od eseguita.
In questo contesto, l’unico inconveniente è che per ottenere tale scioglimento o caducazione del contratto, occorre una statuizione da parte di un giudice e ciò presuppone un procedimento giudiziale volto ad accertare l’inadempimento; ma sicuramente il bene tornerà nella disponibilità del donante e potrà essere venduto a terzi, senza rischi di essere oggetto di un’azione di riduzione da parte dell’erede legittimario leso della propria quota di riserva.
Un rimedio contestuale o successivo alla donazione potrebbe essere quello della rinuncia all’azione di restituzione, confermato da due pronunce della giurisprudenza, seppur di merito.
La prima è stata pronunciata dal tribunale di Torino, del 26 settembre 2014; la seconda, che segue e si riporta alla stessa decisione, è stata pronunciata dal tribunale di Pescara, in data 26 maggio 2017.
Entrambe hanno precisato che la rinuncia all’azione di restituzione da parte degli eredi legittimari può essere annotata a margine della trascrizione della donazione al fine di favorire la commerciabilità dei beni donati durante la vita del donante, ma è poi il tribunale di Pescara ad avvalorarne l’argomentazione sull’efficacia del rimedio, precisando la differenza fra le due azioni (restituzione/riduzione) evidenziando che l’art. 553 c.c. fa riferimento solo all’azione di riduzione.
Quelli che sono pervenuti a una conclusione diversa probabilmente non considerano che, in questa prospettiva, l’azione di riduzione è sempre esperibile, conseguendo soltanto a essa il rischio dell’insolvenza del donatario, ma non escludendo di chiedere al terzo il pagamento del controvalore.
Un’ulteriore conferma della validità della rinuncia all’azione di restituzione (e non di riduzione) risulterebbe confermata alla luce di una nota sentenza della Cassazione (I sez. civ. del 12.5.2010, n. 11496), quando la Suprema Corte ha affermato che nel caso di donazione indiretta il legittimario che agisce in riduzione può conseguire solo il controvalore del bene intestato al beneficiario e non può agire in restituzione nei confronti del terzo.
Passando poi a possibili rimedi, dopo la donazione, ma prima della morte del donante, si può richiamare quella che impropriamente è stata definita la contro-donazione.
Posto che al riguardo la giurisprudenza ha ammesso la risoluzione consensuale del contratto anche con effetti reali (Cass. civ. 2011 n. 20445), ossia per i contratti con effetti traslativi della proprietà, l’argomento si presta a un particolare approfondimento perché si tratta di un rimedio risolutivo e risolutorio, meglio definito come «mutuo dissenso», integrante un contratto «autonomo», con «causa propria», «espressamente riconosciuto dagli artt. 1321 e 1372 cod. civ.».
L’efficacia del rimedio, è, tuttavia, subordinata alla non alienazione del bene al terzo acquirente, poiché in questo caso, quest’ultimo subirebbe il recupero del bene.
Il mutuo dissenso ha infatti efficacia retroattiva, ossia il bene trasferito al donatario ritornerà in capo al dante causa come se non fosse mai uscito dalla sfera di disponibilità.
Che questa impostazione sia ammessa anche in dottrina lo dimostra in parallelo, oltre la richiamata possibilità di risolvere consensualmente i contratti con effetti reali, anche il fatto che nei patti di famiglia i cui trasferimenti potrebbero rivestire una natura donativa «è stato espressamente previsto, all’art. 768-septies, comma 1, n. 1), lo scioglimento del contratto», che «realizza una fattispecie di mutuo dissenso», con il quale l’azienda o le partecipazioni societarie «ritornano nel patrimonio del disponente», anche se risultano già prodotti gli effetti reali, e ciò in virtù di un «contratto» (mutuo dissenso) concluso tra le «medesime persone che hanno concluso il patto».
Occorre poi precisare che il mutuo dissenso «ripristina la situazione precedente», con «effetti eliminativi» e non determina alcun effetto traslativo.
Non comporta quindi un ritrasferimento dell’immobile al donante e ciò quindi assume particolare efficacia pratica, perché contiene i costi dell’operazione invocata.
Anche lo strumento della polizza assicurativa, meglio declinata come “donazione sicura”, va preso in considerazione perché comunque efficace, anche se la liquidazione del danno, per lo più, interviene soltanto dopo che il legittimario pretermesso avrà ottenuto ragione nell’esercizio dell’azione di riduzione e infruttuosamente agito nei confronti del donatario per recuperare la lesione della propria quota di riserva.
Peraltro, chi agisce in riduzione solitamente trascrive la domanda nei registri immobiliari e quindi rende nota l’azione intrapresa anche nei confronti del terzo acquirente, per cui appare difficile pensare che quest’ultimo riuscirebbe ad alienare il bene nelle more di questo procedimento, anche se l’assicurazione viene impostata “per conto di chi spetta” e quindi seguirebbe il bene, a prescindere dalla sua effettiva intestazione/circolazione.
Certo è che le compagnie di assicurazioni hanno trovato delle soluzioni interessanti, laddove non vengano adottati degli accorgimenti, o dei rimedi, di altra natura.
Un altro strumento, sempre da porre in essere prima della morte del donante, e prima della vendita a terzi, potrebbe essere la garanzia per evizione, tipica garanzia a cui è tenuto per legge il venditore di un immobile sul buon fine del trasferimento della proprietà, ma, al riguardo, è stato giustamente osservato che qui lo strumento non può reggere perché la causa viziante deve preesistere all’atto di vendita, mentre queste problematiche, di solito, emergono a vendita avvenuta e oltretutto nei confronti di un donatario che inevitabilmente risulterà insolvente, altrimenti non subirebbe la rivendicazione del bene donato.
In altre parole, offrire una garanzia, come una fideiussione da parte di chi non è solvente, elimina qualsiasi dubbio sulla efficacia del rimedio.
Ad analoga conclusione si potrebbe pervenire con il rilascio di una fideiussione da parte del donante, anche perché in questo caso la garanzia opererebbe alla sua morte, quindi si trasferirebbe in capo ai legittimari, e ciò creerebbe un corto circuito, senza considerare che potrebbe ipotizzarsi un patto successorio.
Un ulteriore rimedio, più efficace potrebbe essere quello di richiamare l’istituto della novazione di cui all’art. 1230 c.c. e segg. che, benché riferibile alle obbligazioni, sarebbe estensibile anche ai contratti.
Si tratterebbe della ridefinizione causale del negozio da donazione a vendita, ma pare soluzione non accettata tecnicamente in quanto possibile solo per i contratti di durata e non anche per i contratti ad effetti istantanei, oltretutto con effetti reali, ossia nei contratti che implicano il trasferimento della proprietà.
In questa logica, tuttavia, estesa al mondo aziendale, è stato proposto come rimedio il contratto modificativo della donazione in patto di famiglia, laddove l’istituto prevalentemente incentrato sulla natura donativa del rapporto disponente-assegnatario permetterebbe ai legittimari, in cambio della liquidazione (o rinuncia in tutto o in parte) alla quota di riserva, di rinunciare all’azione di riduzione in via anticipata rispetto alla morte del donante.
In ultimo, la giurisprudenza di legittimità, invero, avrebbe legittimato il conguaglio fra donatari, con una pronuncia della Cassazione (n. 24291/15) con la quale è stato affermato che la pattuizione fra donatari, beneficiari entrambi di una donazione da parte del genitore, volta a riequilibrare i valori delle due donazioni, non integra patto successorio.
Ebbene, nel caso sottoposto alla Suprema Corte, è stato precisato che l’obbligazione assunta nella scrittura privata da uno dei due donatari nei confronti dell’altro non conterrebbe alcuna rinuncia ai diritti spettanti sulla futura successione del genitore, non facendosi nessun riferimento al patrimonio ereditario nella sua consistenza alla morte del donante, mentre l’accordo riguarderebbe i beni ricevuti in vita.
Viene precisato nella motivazione della sentenza che la rinuncia ai diritti sulla futura eredità deve essere espressa in modo non equivoco anche considerando che ai fini della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al “de cuius” al momento della morte – al netto dei debiti – maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto; pertanto, siffatta lesione intanto può configurarsi in quanto sia verificata con riferimento alla consistenza del patrimonio al momento della morte del de cuius, momento fino al quale esso può incrementarsi per successivi acquisti.
Tale interpretazione è stata confermata con altra sentenza della Cass, civ. n. 23391/2020, la quale, trattando il medesimo caso della pronuncia appena richiamata, non ha fatto altro che confermare il precedente su espresso.
Tale rimedio sembra, tuttavia, non privo di rischi, in quanto difficilmente compatibile sul piano causale con la eventuale futura azione di riduzione.
Se è invece intervenuta la morte del donante, l’unico rimedio è la rinuncia all’azione di riduzione, ma questa presupporrà che il legittimario abbia ottenuto quello che voleva, il che molto spesso è il problema che si deve risolvere.
In conclusione, per neutralizzare gli effetti negativi delle donazioni esistono, da un lato, accorgimenti da adottare in sede di stipula, ricorrendo, laddove possibile, a donazioni particolari come quella modale; esistono, dall’altro, rimedi particolarmente invasivi (risoluzione per mutuo dissenso) da far valere prima della morte del donante, o la rinuncia all’azione di riduzione, dopo la morte del donante, rendendo lo strumento particolarmente insidioso nell’ottica di un’attenta pianificazione patrimoniale successoria.