Sono passati quattro mesi dalla conclusione della bella mostra “Contrapposto Studies” di Bruce Nauman a Punta della Dogana, Venezia. Oggi nello stesso luogo se ne è aperta un’altra, “Icônes” a cura di Emma La Vigne, direttrice della Pinault Collection, e Bruno Racine, direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi – Punta della Dogana. La mostra invita a una riflessione sul tema dell’icona e dello stato dell’immagine nella contemporaneità. Il termine “icona” ha del resto due accezioni: la sua etimologia rimanda ai concetti di “immagine” e “somiglianza”, mentre il suo utilizzo generalmente si riferisce alla pittura religiosa, generalmente del cristianesimo orientale. Più recentemente, il termine è stato associato all’idea di modello, figura emblematica. L’immagine – la sua capacità di rappresentare una presenza, tra apparizione e sparizione, ombra e luce, e di generare un’emozione – è al centro di questa mostra concepita per gli spazi espositivi di Punta della Dogana e il contesto veneziano, caratterizzato da un forte legame con l’Oriente bizantino.
from left to right) Rudolf Stingel, Untitled, 2010, Pinault Collection © Rudolf Stingel. Courtesy of Gagosian Gallery; Danh Vo, Christmas (Rome), 2012, 2013, Pinault Collection; Rudolf Stingel, Untitled, 2009, Pinault Collection, Courtesy of the artist. Installation view, Icônes, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection
Nelle parole dei curatori, «la mostra dedica particolare attenzione alla relazione tra la città di Venezia e l’icona. Dalla fine del Medioevo, l’arte veneziana si è formata grazie alla sintesi di influenze diverse – in particolare bizantine, gotiche e fiamminghe – che traducono il ruolo di collegamento tra Oriente e Occidente, tipicamente tenuto dalla Serenissima. Ancora oggi Venezia è un incrocio in cui orizzonti molteplici si intersecano e si ibridano, fornendo un terreno fertile
per la creazione».
Guardando alle opere che abitano i suggestivi spazi della Punta, si capisce come la città costituisca anche una fonte di ispirazione ricorrente per l’artista danese di origine vietnamita Danh Vo, o James Lee Byars.
Alcune opere sono profondamente radicate nel contesto, facendo rivivere il ricordo delle opere esposte nelle precedenti edizioni della Esposizione Internazionale d´Arte – La Biennale di Venezia. Si pensi alla Ttéia di fili d´oro di Lygia Pape o alle miniature testuali e concettuali di Joseph Kosuth nel 2007 a San Lazzaro degli Armeni di Venezia.
Joseph Kosuth, Un oggetto chiuso in se stesso? (Adieux), Un objet fermé sur soi ? (Adieux) / An Object Closed Upon Itself? (Adieux), 2022, © Joseph Kosuth, by SIAE 2023. Courtesy of the artist Installation view, Icônes, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection
L’arte della Russia ortodossa (il riferimento è alla poetica del film Andrej Rublëv, dedicato al pittore di icone del XV secolo) viene analizzata da Andrej Tarkovskij attraverso la capacità delle immagini di incarnare, al di là dei secoli e delle vicissitudini della storia, «l’idea della libertà assoluta del potenziale spirituale dell’uomo». L’arte dell’icona esprime secondo l’artista «la necessità di uno sguardo particolare su alcune questioni spirituali», rendendo sensibile ciò che resta nell’incommensurabile oscurità di un mondo invisibile. Radicandosi nel substrato delle immagini, la poetica del regista russo rimette in discussione la questione del divenire dell’invisibile e dello spirituale nel mondo contemporaneo.
Lygia Pape, Tteia 1, C,2001-2017, Golden thread, wood, nails, light. Dimensions variable (site-specific, approx. 600H x 700 x 600 cm), Pinault Collection. Installation view of the work Ttéia 1,C in the Venice Biennale, Arsenale, Venice, 2009 Photo: Paula Pape. © Projeto Lygia Pape. Courtesy Projeto Lygia Pape
Anche l’influenza sugli artisti esposti di altre spiritualità, provenienti da Asia, Africa, Brasile e Stati Uniti, viene indagata.
La mostra intende rivelare l’essenza dell’icona come vettore del passaggio verso una possibile trascendenza, invitando a stati di coscienza altri, alla contemplazione, meditazione, raccoglimento, attraverso un percorso complessivo di oltre 80 opere. Si tratta di alcuni fra i capolavori della Pinault Collection, opere di David Hammons e Agnes Martin, Kimsooja e Chen Zhen, Danh Vo e Rudolf Stingel, Sherrie Levine e On Kawara.
Pezzi mai esposti prima di quest’occasione nonché di installazioni site-specific create da 30 artisti di diverse generazioni, tutti nati tra il 1888 e il 1981. Le opere generano spazi come fossero luoghi di culto «nell’era della saturazione delle immagini e della loro appropriazione indebita». Tra figurazione e astrazione, la mostra chiama tutte le dimensioni dell’immagine (pittura, video, suono, istallazione, performance) nel contesto artistico contemporaneo, sostanziando dialoghi inediti tra artisti che nella Pinault Collection sono emblematici.