Certi amori non passano facilmente. Il Btp continua a destare un forte interesse negli italiani, anche se il decennale ha raggiunto il suo picco di rendimento al 5% attorno a metà ottobre, mentre ora, al 1° febbraio 2024, è sceso al 3,7%.
Proprio a inizio ottobre, in concomitanza con l’ultima emissione del Btp Valore, c’era stato il picco storico di ricerche online della parola “Btp” – un record già aggiornato più volte nel corso del 2023.
L’interesse nel Btp non cambia, ma il modo di investire su questi titoli forse potrebbe essere rivisto. Infatti, i Btp si distinguono per scadenze più o meno lunghe, cedole più o meno variabili: quali è meglio scegliere in questa particolare fase? Prima di sentire il parere dell’analista Rocco Probo, un esperto della società di consulenza indipendente Consultique, proviamo a spiegare perché il mercato delle obbligazioni, la classe di attivo cui appartiene il Btp, negli ultimi tre mesi ha cambiato rotta.
Perché siamo tutti incollati alle banche centrali
Le condizioni economiche che avevano portato il Btp a raggiungere i rendimenti più alti da oltre undici anni stanno cambiando.
Innanzitutto, l’inflazione sta scendendo rapidamente. L’indice dei prezzi che misura il costo della vita per gli operai e gli impiegati in Italia, il Foi, ha chiuso dicembre con un incremento dello 0,6%. Anche nel resto d’Europa l’inflazione generale sta gradualmente rientrando. Questo ha spinto la Banca centrale europea a preparare il terreno per il taglio dei tassi, previsto nei prossimi mesi. Quando i tassi di riferimento scendono, anche i rendimenti dei titoli di Stato tendono a scendere e, quando questo si verifica, aumenta il prezzo dei titoli già in circolazione.
Anche se non sappiamo con certezza quando la Bce taglierà i tassi, il calo dell’inflazione e la convinzione che i tassi non potranno che scendere da qui in avanti ha spinto gli investitori ad acquistare titoli di Stato che in quel momento avevano rendimenti storicamente elevati. La ragione è semplice: una remunerazione che era adeguata quando l’inflazione e i tassi sono alti, diventa molto più conveniente quando il costo della vita aumenta di meno. Semplificando un po’: più la cedola del Btp è superiore al tasso d’inflazione, più il guadagno è reale. E’ più il Btp avrà una scadenza lunga, più questo eventuale vantaggio durerà nel tempo. Proprio per questo, sono i Btp a lunga scadenza quelli che sono stati più comprati nel momento in cui è diventato più chiaro che l’inflazione era ormai orientata verso il livello ottimale e che le banche centrali non avrebbero più alzato i tassi. La riduzione del rendimento sui titoli italiani a breve scadenza, come quelli a 1 anno, infatti, è stata molto meno pronunciata da metà ottobre 2023 a inizio febbraio 2024.
Questo è un cambiamento importante. Se nella prima parte del 2023, quando i tassi tendevano a crescere, si privilegiavano obbligazioni a scadenza breve per evitare che un aumento ulteriore dei rendimenti potesse ridurre il prezzo dei titoli a scadenza lunga, adesso avviene soprattutto l’opposto. Ossia, si acquistano più obbligazioni a media e lunga scadenza perché, se i rendimenti scenderanno, il loro prezzo aumenterà in proporzione maggiore.
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Com’è cambiata la strategia sui Btp: il parere dell’esperto
“L’impostazione della componente obbligazionaria del portafoglio in questo momento segue una tripartizione della quota complessiva”, ha affermato a We Wealth Rocco Probo, analista di Consultique, riferendosi alle principali famiglie di Btp.
- “Una prima parte è dedicata ancora a soluzioni di breve termine, intese come obbligazioni governative anche con merito di credito non elevato, quindi anche Btp, preferibilmente con tasso fisso 0% per ragioni fiscali. Eventuali titoli a tasso variabile”, come ad esempio i CctEu, “magari acquistati ad inizio 2023, possono comunque essere parte di questa sezione del portafoglio obbligazionario”.
- “Sulla parte a mediana della curva preferiamo invece soluzioni diversificate emesse da aziende, per non eccedere nei rischi specifici legati ai singoli emittenti”, ha affermato Probo, riferendosi alla tendenza, mai saggia, di acquistare troppi titoli che dipendono dai conti di un solo emittente, che nel caso del Btp è lo Stato italiano.
- “Infine, da dicembre abbiamo allungato la duration dei portafogli”, scegliendo pertanto titoli dalle scadenze più lunghe, “con esposizioni governative con rating AAA”, ossia i più sicuri, denominati “in euro, ma anche in dollari”, ha affermato Probo.
E i titoli indicizzati all’inflazione come il Btp Italia? Non sono utili con il costo della vita che si osserva di questi tempi? Lo sono meno di un tempo: infatti la copertura del Btp Italia è valida per gli aumenti futuri dell’inflazione, ma il grosso dei rincari, pur facendo ancora male al portafoglio, è avvenuto fra il 2021 e il 2022. Di conseguenza, ha osservato Probo, “sui titoli indicizzati all’inflazione la quota è stata ridotta rispetto al passato, preferendo soluzioni a più lunga scadenza”.
La strategia di Consultique, però non elude il problema della concentrazione dei rischi solo sullo Stato Italiano, infatti, i Btp in portafoglio evitano l’esposizione sulle scadenze lunghe. L’elevato debito pubblico italiano e la possibilità di un declassamento delle agenzie di rating rendono potenzialmente volatile il Btp a lunga scadenza – di qui la preferenza per altri titoli di Stato a massimo rating. Il rendimento sarà inferiore, ma ne giova la sicurezza complessiva del portafoglio. Delle obbligazioni acquistate, allora, quanta parte sarebbe opportuno destinare ai Btp? “Le nostre esposizioni dirette si focalizzano solo sul breve termine e in forma mediata e molto limitata attraverso le esposizioni diversificate sul debito societario. A livello di percentuali quindi non si va oltre il 25% della quota obbligazionaria”.