Esistono nomi il cui solo suono è evocativo di uno stato mentale di benessere. Miami, comunque lo si voglia pronunciare, è fra quelli. Che sia Miami o Miami Beach (le due sono municipalità diverse), l’assonanza non cambia: tutto discende da Myaamia, i nativi “popolo del fiume” che hanno dato il nome a queste città. Forse negli occhi del viaggiatore rivive più facilmente la seconda, il gruppo insulare stretto e lunghissimo aggettante sull’oceano: una spiaggia bianca infinita, le palme, il mare quasi caraibico, i posticini da insider, l’atmosfera multiculturale. Miami non è solo vacanza, ma un’esperienza a 360 gradi, spesso inebriante.
Non è un caso che l’establishment del sistema globale dell’arte abbia scelto questa città per la sua presenza negli Usa, prima location alternativa dopo la nativa Basilea: a Miami Beach vive infatti Art Basel Miami, l’evento che ogni dicembre dal 2002 è capace di trasformare la città nel crocevia mondiale delle nuove tendenze artistiche e di mercato. Senza intellettualismi. Il 2020 non conta, è un buco nel calendario, riempito con la malinconica versione Ovr (online viewing roooms) di una fiera che, a Miami più che altrove, necessita di essere toccata e annusata. La realtà è che adesso si guarda dritti al dicembre 2021, dal 2 al 5 (con preview l’1 e il 2).
Un fascio di luce su Miami Beach
L’edizione decembrina di Art Basel è la più apprezzata dallo star system internazionale e dalle celebrità, anche per le attività di charity. Per dire:
RED, l’asta-evento benefica di
Bono degli U2 e dell’attivista Bobby Shriver (
nipote dei Kennedy) si tiene ad Art Basel Miami. Nata nel 2006 per la lotta contro il troppo spesso dimenticato Hiv, RED si avvale della collaborazione di Sotheby’s e della galleria Gagosian, trovando nella città floridana la sua cornice ideale. Il successo dell’appuntamento originario ha spinto gli organizzatori della fiera a rafforzarlo con il più settoriale Art Basel Design.
L’art lover, esausto dopo i chilometri macinati nei giorni di pre-opening delle fiere e degli eventi disseminati lungo tutto l’anno, può rigenerarsi nei molti alberghi dal lusso sapiente, non invasivo. Il Como Metropolitan Miami Beach è uno di questi. Con la sua allure deco, calza lo spirito vintage e scanzonato della città, mescolando alle sue radici anni trenta un’anima tech che abita tutti i suoi ambienti, in cui convivono linee geometriche e colori tenui: su tutti, domina un delicatissimo verde acqua, reso più vibrante dalle ampie finestre, che guardano a ulteriori fughe. Dal Como Metropolitan infatti è facile, in giornata, raggiungere le Bahamas. L’arcipelago caraibico di quasi 700 isole e di cui solo trenta sono abitate.
Un tuffo in acque che sono fra le più trasparenti del pianeta per poi la sera tornare “a casa”, dove farsi solleticare il palato al Traymore di Michael Schwartz. Oppure ai bordi della piscina, gustando un “crudo” e un sorso degli eccellenti cocktail artigianali. La filosofia è quella dei cibi di altissima qualità, freschi, del mare e della natura locali, armonici. Al mattino, la colazione può essere quella bio e ultravitaminica Shambhala, magari prima di raggiungere il paradiso tropicale di Virginia Key. O di provare il brivido di vedere un coccodrillo dal vivo in mezzo alle mangrovie, alle Everglades. Entrambe le località sono raggiungibili in giornata. Oppure, ci si può godere una giornata di totale relax, svegliandosi senza fretta, fra i marmi chiari che lasciano respirare gli ottoni lucidi. Dalle grandi finestre, arriverà pur sempre il blu dell’oceano, acceso dal riverbero del sole.
Fa sorridere pensare che, solo una ventina di anni addietro, per il gran numero di anziani che la abitavano Miami era chiamata la “sala di attesa di Dio”. Ma il regno del Sole non poteva restare il buen retiro del primo mondo anziano e stanco. Con l’avanzare del millennio, creativi, jeunesse dorée e immigrati cubani la hanno resa una delle città ispaniche più cool e spensierate degli Usa. E così, la città fondata ufficialmente il 27 luglio del 1896 con una popolazione di 400 abitanti, oggi è arrivata a contarne 471.000 (dati 2018. La sua area metropolitana estesa è a oltre cinque milioni). Numero che contribuisce a renderla una città a misura d’uomo, come la sua temperatura, che raramente scende sotto i 20-25 gradi, incentivando il piacere degli sport all’aria aperta.
Rispetto a Miami Beach, vetrina privilegiata per gli eventi internazionali, la città continentale non manca certo di arte. Anzi. Il suo sapore misto di grattacieli specchiati, spazi luminosi, street art, ville che viaggiano avanti e indietro nel tempo la rende un luogo ideale per le gallerie d’arte. Si pensi alla fondazione Margulies, per esempio. Nel caleidoscopico quartiere di Wynwood, ex distretto industriale e regno della più spettacolare street art, la galleria del tycoon Martin Margulies nel Warehouse vive di colori e ispirazioni contemporanee. Fondata sul finire dello scorso millennio, nel 1999 (tre anni prima dell’approdo di Art Basel), lo spazio fra i primi ha colto che l’humus culturale della città stava cambiando. Isitituzione no-profit, la Margulies ospita nei suoi spazi ad accesso gratuito mostre periodiche ricchissime, che vanno dall’espressionismo astratto all’arte povera.
L’ultima,
Can It Really Be 20 Years Already? Art in Our Times, Contemporary Masters, and Philanthropy, celebrativa del suo ventennale e allestita dalla storica curatrice della
collezione Katherine Hinds, si è chiusa il 25 aprile 2020. Fra le opere di
Willem de Kooning,
Mark di Suvero,
John Chamberlain,
Cindy Sherman e altri, si stagliava la straniante torre-scultura in pietra e acciaio
Die Erdzeitalter, Le età del mondo, del “nostro” Anselm Kiefer (suoi i mistici Sette Palazzi Celesti all’Hangar Bicocca di Milano). L’opera di Kiefer è da sempre una delle pietre miliari della raccolta di Martin Margulies, che conta oltre 4000 opere, acquistate, come dice il magante, “senza pensare al denaro”. Un ottimo modo per seguire il “miglior consiglio” che una persona, moltissimi anni fa gli diede: “Compra arte solo se la ami e se te la puoi permettere”. E senza nessun rimpianto. Margulies dice di non averne: “Sono un collezionista, non un compratore”.
Il neon, una delle forme che la luce assume a Miami
Qualcuno (il comico maledetto Lenny Bruce, 1925-1966) diceva che Miami è il luogo dove il neon va a morire. Forse sarebbe meglio dire, dove va a vivere. I tubolari del gas luminescente e colorato si intrecciano ovunque, campeggiano sulle pareti pastello delle vecchie abitazioni coloniali e sulle insegne dei locali più glamour in mezzo alle palme. Quel turbinio meticcio di architetture art deco e condomini post contemporanei ultra lusso si è arricchito negli ultimi anni di costruzioni-simbolo del gotha dell’architettura, da
Rafael Viñoli (a Downtown Miami) a
Frank Ghery, da Foster + Partners all’archistar danese Bjarke Ingels (nel quaritere di Coconut Grove, dove sorgono anche il municipio e
Villa Vizcaya [1914-1916] ispirata al rinascimento veneto), passando per gli immancabili
Herzog & de Meuron (il complesso residenziale Jade Singature porta la loro firma).
E senza dimenticare Rem “Torre Prada” Koolhaas col suo Faena Forum a Miami Beach. Ma la lista è virtualmente infinita. La città più importante della Florida è ricca come poche di complessi residenziali privati progettati dalle archistar globali, con un imprescindibile stile italiano. Giorgio Armani ha dato vita qui al primo progetto residenziale Armani Casa negli Usa, a fine 2019: gli arredi e i corredi del principe milanese dello stile abitano l’ultima torre progettata da César Pelli prima della sua scomparsa, una struttura a 56 piani sull’oceano, piena di pura eleganza e luce. Quella che a Miami è un po’ più fulgida che altrove.
Esistono nomi il cui solo suono è evocativo di uno stato mentale di benessere. Miami, comunque lo si voglia pronunciare, è fra quelli. Che sia Miami o Miami Beach (le due sono municipalità diverse), l’assonanza non cambia: tutto discende da Myaamia, i nativi “popolo del fiume” che hanno dato il nome…