“La parola è pietra, la parola è bloccata, la parola non è più viva, la parola non ha più anima.”
Ad avere “anima”, per Irma Blank – artista tedesca pioniera dell’arte concettuale, recentemente scomparsa all’età di 89 anni – è il segno. Caratteristica distintiva della sua ricerca artistica, attorno a cui ruota tutto il suo universo creativo fatto di grandi cicli di opere dalla forte tensione introspettiva, animati da una silenziosa maestosità.
Una ricerca ossessiva e ostinata di salvazione nel vuoto semantico, però scrivendo. Ma è possibile scrivere un testo senza parole? Per Blank certamente sì. “Libero la scrittura dal senso e metto in evidenza la struttura, l’ossatura, il segno nudo, il segno come tale che non rimanda ad altro che a sé stesso”, affermava. “Rimanda al serbatoio energetico, alla spinta iniziale, la spinta sorgiva, al desiderio di rivelarsi, di uscire dal luogo della notte, segreto, chiuso. Traccia di pura energia. È la parte portante, la parte perenne, universale, non più legata a nessuna lingua in particolare. Scrittura non verbale, scrittura che rimane in silenzio, verità originaria. La scrittura diventa immagine, manifestazione dell’essere, dell’esserci, nell’assolutezza senza forma. Un testo aperto. Un testo per tutti. Per coloro che sanno leggere e per quelli che non sanno leggere.”
Alla ricerca di un testo senza parole, l’artista italo-tedesca dà forma a un linguaggio molto personale e al contempo universale, perché in grado di parlare a tutti, inseguendo però un paradosso. Nel corso della sua lunga indagine, che abbraccia più di cinquant’anni di carriera, si dedica alle forme e al senso della scrittura e, in particolar modo, al rapporto tra segno e significato. La paradossale ambizione risiede nel voler anticipare la scrittura, collocandosi poco prima che il segno diventi codice, per creare un testo senza parole e, dunque, codificabile e comprensibile da tutti, colmo di plurimi significati.
Irma Blank, Della Letteratura I, 1975,
china su carta pergamenata (composto da 36 pagine), cm 90×57.
Courtesy Il Ponte, 2023
La parola, che viene dopo il segno, per Blank ha ormai perso di significato. Tutto è stato detto e ridetto, non vi è più nulla di nuovo, “noi dobbiamo inventare un nuovo spazio, una nuova realtà, che troviamo dentro di noi, attraverso lo sguardo verso dentro. Un’apertura verso il non detto e forse anche l’indicibile. Il significato del mio lavoro è il non significato.” L’intento è quello di recuperare i simboli e i segni primordiali della comunicazione. Eliminando la parola ciò che rimane è il respiro che si manifesta in segno – in matita, penna, pennello, china, inchiostro, pastello, acquerello, olio o acrilico – che occupa uno spazio – la pagina di un foglio, di una tela o di un libro. Un lavoro intimo che nasce dall’isolamento e risponde a un bisogno interiore e urgente di espressione.
Con un’approfondita e coerente indagine sulle forme e sul senso della scrittura, Blank ritrae un mondo dove ogni cosa è fatta di piccole sfumature che si fanno silenzi.
L’artista
Irma Blank nasce a Celle in Germania nel 1934. Poco più che ventenne si trasferisce in Italia, prima a Siracusa e, negli anni ’70, a Milano, città in cui si stabilisce e che non lascerà più. Un cambiamento geografico ma, soprattutto, culturale e linguistico che influenzerà molto il suo lavoro.
La distanza tra i due Paesi e la profonda diversità tra le due lingue, la portano a interrogarsi sull’adeguatezza, o piuttosto sull’inadeguatezza, di qualunque lingua. Realizzando che “non esiste al mondo la parola giusta” per trasmettere ciò che si vuole esprimere, Blank inizia a lavorare su una prima serie di opere introspettive a stretto contatto con i libri, svuotati del loro significato o riempiti con una nuova forma di scrittura definita – dal critico d’arte Gillo Dorfles – “asemica” o “asemantica”.
L’ambiente in cui sviluppa ed evolve la sua poetica è quello della seconda metà degli anni ’60 e i primi anni ’70 del XX secolo, quando l’arte concettuale irrompe come corrente trainante del periodo. Un terreno fertile su cui può mettere in atto la propria sperimentazione linguistica del “segno autonomo” con opere che creano una corrispondenza fra la scrittura e il gesto che il corpo compie per scrivere, giungendo a una scrittura dipinta che non ha più bisogno di parole, testimonianza di presenza e di comunicazione con il mondo.
Irma Blank nel suo studio di Milano, anni Settanta
A partire dal 1975 tra Milano, Berlino, New York e Parigi, sono numerose le personali a lei dedicate. È stata esposta al Centre Pompidou di Parigi, al MoMA di New York e al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, oltre ad aver partecipato a note manifestazioni di settore come Documenta a Kassel (1977), la Biennale di Venezia (1978, 2017) e a tre edizioni della Quadriennale d’Arte di Roma. Le sue opere trovano casa in importanti collezioni private e pubbliche, tra cui il Museo del Novecento di Milano, il MART di Rovereto e Museion di Bolzano. Rappresentata dal 2011 dalla Galleria P420 di Bologna, Blank ha avuto negli ultimi anni una rinnovata risonanza in tutta Europa.
L’opera
La rappresentazione linguistica si interseca per la prima volta in quella visiva nelle Eigenschriften (scritture di sé o scritti-personali, 1968-1973), una serie di disegni dai colori pastello “frutto di un processo di autoanalisi incentrato sulla ripetizione, un ritrovamento di sé che parte da una coercizione predeterminata, offrendo una liberazione proprio nell’esercizio”, commenta Blank in un’intervista. Considerati il punto di partenza dell’Opera matura dell’artista, suddetti cicli nascono dall’esperienza di trasferimento in Italia quando – lontana dalla sua lingua madre e, quindi, in difficoltà a esprimersi a parole – questa forma di scrittura diviene un rifugio sicuro e un tentativo di salvare le proprie origini. La pagina viene completamente riempita da “scritture asemantiche”, dove il segno grafico non è più riconducibile a un’unità alfabetica. Le linee sottili che compongono le opere di questa serie ricordano una scrittura ma sono incomprensibili. Senza alcun significato specifico, l’opera è pura sensazione trasmessa dalla mano alla superficie della pagina, un segno ripetuto e “potenziato che riporta allo stesso concetto, ciò che è stato e ciò che potrà essere.”
Irma Blank, Eigenschriften, Pagina 53-A, 1970.
Courtesy Christie’s NY, 2017
Con la serie Trascrizioni il segno grafico si fa ancora più concettuale ed esistenzialista, mostrando con evidenza il travaglio interiore dell’artista. Si tratta di “una scrittura purificata dal senso, un segno autonomo che dà voce al silenzio.” Blank prende i libri che più ha amato, ne mantiene lo scheletro e le impostazioni tipografiche ma svuota le pagine, riempiendole in maniera metodica di segni che non hanno alcun significato linguistico. Così facendo, ciò che all’apparenza sembra incomprensibile diventa comprensibile a tutti, universale, arrivando a demolire le barriere linguistiche.
Troviamo poi i Radical Writings, un’evoluzione delle Trascrizioni. Se con quest’ultime si poteva vedere l’interiorità dell’artista, ora la ricerca si spinge oltre. Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 i pastelli, gli inchiostri e le chine sono sostituiti dai colori acrilici e dagli oli creando una nuova scrittura pittorica. Il rosa e il blu sono le tinte predominanti; la prima rimanda alla fase dell’individuazione, dell’orientamento, dell’analisi e dell’attesa, mentre la seconda – anche in ordine temporale – simboleggia l’utopia, l’infinito e rinvia “a tutto l’inchiostro versato nei secoli, aprendo all’immensità degli spazi.” Sono serie in cui si può entrare e, come in un vero e proprio libro, l’occhio si concentra inizialmente sulla parte centrale, quella più scura che corrisponderebbe alla piega di unione dei fogli. Qui vi è una linea demarcata che segna l’origine, l’inizio del segno, che viene successivamente moltiplicato a ritmo di respiro per creare un’unione sempre maggiore tra la scrittura, l’essere e la vita.
Irma Blank, Radical Writings, Lonesome story, pagina destra, D-1, 1986.
Courtesy Il Ponte Casa d’Aste, 2021
Il pieno raggiungimento dell’astrazione avviene, infine, con i cicli Avant-testi, grovigli colorati tracciati grazie al movimento rotatorio di alcune penne biro fino alla saturazione della superficie, composta da un supporto in poliestere posto sul telaio; e Hyper-Text, una scrittura semantica in tre diverse lingue sovrapposte le une sulle altre con la tecnica serigrafica, allo scopo ultimo di impedirne la leggibilità. Se i primi sono l’espressione del proprio ‘io’ più nascosto, gli altri rappresentano lo sguardo sulla società attuale con segni più incerti e oscillanti. Mai, come in questi ultimi lavori, lo spettatore è invitato e ha il compito di proiettare dentro il proprio testo, rispecchiandosi nei lavori di Blank.
Irma Blank, Ur-schrift ovvero Avant-testo, 19-3-01, 2001,
tecnica mista, cm 35×35. Courtesy Il Ponte Milano, 2020
Note di mercato
Il mercato di Irma Blank è per lo più locale e le opere più desiderate dai collezionisti appartengono alla serie Radical Writings, in particolare quelle di colore blu. La casa d’asta che la promuove maggiormente è la milanese Il Ponte Casa d’Aste che il prossimo 23 maggio esiterà la china “Della Letteratura I” (1975), stima €6.000 – €8.000. Anno d’oro dell’artista è il 2018 quando ha registrato un fatturato complessivo di quasi €190.000, generato da 11 lotti, tra cui il suo top lot “Abecedarium 17-8-90” (1990), un monumentale olio venduto dalla maison a €137.500 (commissioni d’asta incluse, fonte: Artprice).
Irma Blank, Abecedarium 17-8-90, 1990,
olio su tela, cm 250×106. Courtesy Il Ponte Casa d’Aste, 2018