Certamente il Covid è stato un evento straordinario, ma è anche oggi l’occasione per ripartire anche sulla sanità. Senza trascurare che un effetto dirompente della pandemia è stato quello di aver causato anche più morti di tumore.
“Innanzitutto l’esplosione della pandemia ha modificato le priorità assistenziali degli ospedali che si sono dovuti concentrare nella cura delle infezioni da Covid 19, che hanno intasato, come tristemente noto, le terapie intensive”, dice Apolone. C’è stato un effetto combinato dei provvedimenti di contenimento del virus e della paura di cittadini rispetto al nuovo virus sconosciuto che ha portato a rallentamenti anche da parte loro nella richiesta di assistenza in caso di comparsa di sintomi del cancro che “li avrebbero portati in tempi normali dal medico e che invece sono stati spesso ignorati”.
Senza considerare che per molti mesi c’è stato uno stop generalizzato “di tutti i tre programmi di screening nazionale, la mammografia, l’esame del colon retto e il pap test. Si sono ridotte moltissimo le prime visite, sia per paura di accedere al ps o dal proprio medico curante, sia per il fatto che non era possibile per questa chiamata generalizzata alle armi contro il Covid. Istituti come il nostro sono diventati hub di riferimento per gli ospedali che hanno dovuto stoppare gli interventi per alcune categorie di patologie. Tutto questo ha infine portato comunque alla riduzione del numero di interventi o a un ritardo degli stessi, in campo oncologico. E sono state ritardate anche le chemioterapie, nelle prime fasi della pandemia per poi ripendere in base alla priorità”.
I tre fenomeni conseguenti sono stati un evidente ritardo diagnostico, un aumento dei casi di malattia in stadio avanzato (per via dell’assenza di diagnosi precoci) e dunque un calo della qualità e quantità della vita dei pazienti oncologici.
“Sul cancro diversi studi hanno misurato questi effetti tragici – dice Apolone – Per esempio il British Medical Journal ha identificato 34 studi che hanno analizzato l’effetto del ritardo nelle cure in termini di sopravvivenza e mortalità. Ebbene, su 17 diverse indicazioni terapeutiche di tipo chemio o radioterapico e interventi in 7 tumori più diffusi, in 13 è stato trovato aumento della mortalità. Ogni 4 settimane di ritardi si evidenzia un aumento della mortalità del 6-8%, con punte del 13% per alcune indicazione radioterapiche”.
Numeri spaventosi. Ma non sono gli unici. La letteratura scientifica ha misurato anche come i pazienti fragili se incontrano l’infezione hanno un percorso in chiaro peggioramento. “Il paziente oncologico ha una diminuzione della capacità del sistema immunologico di reagire alle infezioni e quindi nuove infezioni aumentano la gravità del suo stato di salute”. Sono tre gli studi che cita Apolone: il primo dell’Associazione italiana degli oncologi medici (Aiom) che hanno evidenziato come l’infezione, sia in pazienti con metastasi sia in pazienti con malattia in stadio meno avanzato, sperimentassero un peggioramento della terapia e dell’esito. “Un secondo studio internazionale su pazienti con tumori del sangue ha stimato un significativo aumento di mortalità nei pazienti che avevano l’infezione anche nei confronti della popolazione generale. Stesso fenomeno è stato documentato anche in pazienti con l’indicazione a interventi chirurgici”. Tutti questi studi sono stati usati dall’Istituto per fare lobby per spingere i decisori politici nazionali a spostare le priorità della campagna vaccinale verso questi soggetti fragili definiti da un documento congiunto dei ministeri interessati: Lazio e Veneto sono state le prime regioni a partire, la Lombardia ha iniziato il 2 aprile e “al nostro istituto è stato assegnato un primo lotto di 1400 vaccini da iniziare a somministrare ai primi 5mila pazienti fragili (e altrettanti caregiver) che avevo individuato. Abbiamo cominciato autonomamente a vaccinare 100 pazienti al giorno con punte di 300 sabato. Abbiamo esaurito i primi 2mila pazienti, con il progetto di arrivare a fine aprile ad aver vaccinato il l’intero gruppo di ultrafragili tra i fragili”. Ma non solo, l’Istituto su invito della Regione ha vaccinato più di 10mila ottantenni e collabora con Ats per vaccinare disabili a domicilio.
“Nel contesto di questa iniziativa – continua Apoloone – i direttori scientifici degli Irccs italiani hanno voluto documentare l’efficacia del vaccino su questi pazienti che non era stati inclusi negli studi di test né da Pfizer né da AstraZeneca per cui non sapevamo se avrebbero prodotto la risposta necessaria. E non si poteva dare per scontato perché il paziente oncologico ha un sistema immunologico potenzialmente meno efficace Abbiamo identificato dunque 12 categorie di pazienti fragili per raccogliere informazione aggiuntive utili allo scopo e abbiamo centralizzato le analisi dei dati allo Spallanzani di Roma. Insomma, la nostra iniziativa nata per proteggere i pazienti oncologici da questa ulteriore minaccia ha assunto un significato pratico, oltre che scientifico”.
La pandemia ha avuto effetti anche sulla ricerca? “Bisogna distinguere tra diverse fasi della pandemia e diversi tipi di ricerca – risponde Apolone – Nella prima fase tra marzo e maggio 2020, il combinato disposto della necessità di spostare risorse dalla ricerca all’assistenza e una certa propensione dei nostri pazienti a non rivolgersi agli ospedali ha comportato uno stop quasi totale della ricerca. Sia pre clinica nei laboratori, con i ricercatori che sono stati messi in smart working, sia clinica perché i medici che se ne occupavano sono stati chiamati sull’assistenza. C’è stata dunque una riduzione dell’attivazione di nuovi studi e la diminuzione del reclutamento degli studi in corso, da parte delle case farmaceutiche che li finanziano”. Insomma l’impatto è stato feroce anche sulla ricerca, ma nel contempo “il tempo perso è stato usato per imparare e prendere precauzioni che ci hanno consentito di riprendere poi tutte le attività in piena sicurezza. Per quanto riguarda la ricerca pre clinica i laboratori ora lavorano e la ricerca clinica anche ha ripreso quota grazie al triage e alle misure di sicurezza che prevedono il tampone per chiunque entri in ospedale e il fatto che abbiamo vaccinato velocemente tutto il personale sanitario, 2000 persone, con una copertura intorno all’85%”. Insomma il 2021 si è aperto con l’attività assistenziale sia quella di ricerca a pieno regime.
Ma non è tempo di fermarsi. E nel futuro, si punta sul rafforzamento della telemedicina. “Tra le varie cose che sono accelerate dalla pressione che abbiamo ricevuto c’è stato un maggior ricorso alla telemedicina. Inizialmente, su base spontanea, avendo dovuto selezionare alcuni pazienti che non potevano muoversi dalle “zone rosse” del primo lockdown. In collaborazione con il San Raffaele e l’ospedale di Cremona abbiamo implementato poi un programma organico di telemedicina dedicato ad alcuni pazienti a cui potevamo poi inviare una terapia orale da poter svolgere a domicilio”.
Inoltre, è ripreso a regime, il progetto di ricerca per misurare l’efficacia di una strategia di prevenzione del tumore al polmone attraverso una tac periodica. Che potrebbe diventare il quarto screening nazionale se si dimostrasse che i test precoci possono avere un vantaggio nelle cure. “Lo studio prevedeva il reclutamento di 2mila pazienti ma a settembre è stato bloccato e abbiamo ripreso da quest’anno”, dice Apolone. Tutti segnali di un lento ma solido ritorno alla normalità.
(articolo pubblicato sul Magazine We Wealth di maggio)