Nel 2023 la verità dei numeri ha ricordato con particolare franchezza che le probabilità di battere il mercato investendo nei fondi a gestione attiva, la scelta più diffusa in Italia, restano molto basse. Chi avesse scelto un fondo azionario attivo focalizzato sul mercato italiano all’inizio dello scorso anno avrebbe avuto appena una possibilità su 50 di ottenere un risultato superiore a quello dell’indice di riferimento.
Infatti, il 98% dei fondi attivi azionari italiani ha realizzato una perfomance inferiore all’indice S&P Italy BMI, ha affermato S&P Global nel suo ultimo rapporto dedicato al confronto fra fondi attivi e passivi, Spiva Scorecard. L’anno scorso il mercato azionario italiano è stato fra i più performanti a livello globale: questo ha reso particolarmente complicato battere l’indice per i gestori.
Perché il confronto attivi-passivi conta
Ma cosa si intende per fondi attivi e passivi? Un fondo attivo è uno strumento nel quale un team di gestori agisce sul portafoglio, comprando e vendendo titoli, nel tentativo di ottenere performance superiori alla media: se ci riesce il cliente guadagna un extra rispetto al fondo che si limita a replicare l’indice (tipicamente Etf), se fallisce, l’investitore pagherà comunque le commissioni più elevate che caratterizzano questi fondi. Dal momento che solo una stretta minoranza dei fondi attivi riesce a battere in modo regolare i mercati azionari, i loro costi più elevati finiscono col danneggiare le performance a lungo termine.
Il confronto sugli altri mercati
A livello europeo, nel 2023 i fondi azionari attivi hanno avuto la peggio rispetto all’indice di riferimento nell’84% dei casi, secondo l’analisi Spiva realizzata da S&P. Il problema della sottoperformance, però, diventa più evidente se si allarga l’orizzonte di osservazione a cinque o dieci anni: ad aver sottoperformato in questi lassi temporali più lunghi sono stati, rispettivamente, il 90% e il 92% dei fondi azionari attivi basati sull’azionario europeo.
I fondi domiciliati in Europa, ma focalizzati sull’azionario statunitense non hanno fatto molto meglio: nel 2023 la percentuale di sottoperformance rispetto all’indice è stata del 71%, ma sale al 93 e al 98% in un arco temporale a cinque e dieci anni. Scorrendo fra le varie categorie azionarie, solo i fondi focalizzati sulle azioni britanniche large-mid cap sono riusciti a battere in maggioranza l’indice nel 2023, con una forte percentuale del 62%.
I fondi obbligazionari attivi hanno offerto più chance di sovraperformance agli investitori che li avessero scelti a inizio 2023, anche se le probabilità sono state avverse anche in questo visto che il 53% dei fondi attivi hanno reso meno dell’indice iBoxx Eur Corporates. Nel comparto dei bond ad alto profilo di rischio (High yield) e nei governativi, le percentuali dei fondi battuti dall’indice sono ancora più severe, rispettivamente al 67 e all’82%.
Fondi attivi, ancora il piatto forte in Europa
Anche se in particolari circostanze risulta più facile per i gestori attivi riuscire a battere gli indici nell’arco di un anno, questo compito si conferma altamente improbabile sulla lunga distanza, il che dovrebbe deporre statisticamente a favore di una allocazione di portafoglio prevalentemente passiva. La migrazione dei capitali sui fondi gestiti passivamente, che presentano costi inferiori e migliori probabilità di successo nel confronto di lungo periodo, è in atto a livello globale: tuttavia, l’Europa e l’Italia stanno seguendo con un certo ritardo la conversione del risparmio alla gestione passiva rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti.
Come testimoniato dall’impulso normativo avviato dalla Commissione europea nel maggio 2023, e attualmente in corso, il legislatore ritiene che alla base della preferenza per i fondi attivi in Europa ci siano le caratteristiche della distribuzione commerciale dei fondi. Infatti, l’acquisto dei fondi attivi al dettaglio può incorporare i costi della consulenza finanziaria attraverso il meccanismo delle retrocessioni e incentivare, in questo modo, la raccomandazione dei fondi attivi ai risparmiatori finali. L’industria finanziaria ha difeso questo meccanismo, ritenendolo adeguato a fornire un servizio di consulenza a un largo numero di investitori – nonostante questi ultimi non ricevano raccomandazioni sui prodotti meno costosi e statisticamente più performanti.