Nell’ultimo secolo l’inflazione dei Paesi emergenti è finalmente crollata e anche considerando il picco più recente, durante gli anni del Covid, la situazione sembra molto luminosa. Anzi, le banche centrali di questi Paesi, già abituate a convivere e combattere quotidianamente con tassi di inflazione impensabili per i mercati sviluppati, si sono orientate subito verso politiche monetarie molto rigide. Ma, proprio in linea con questo, hanno anche iniziato a tagliare i tassi molto prima, appena la situazione è tornata sotto controllo. Anche se, chiaramente, non tutti i Paesi sono uguali.
Un modo diviso a metà
Ormai la divisione tra economie emergenti e mercati sviluppati potrebbe non essere più abbastanza. Infatti, mentre i Paesi caratterizzati da economie avanzate e redditi elevati si trovano tutti in una situazione più o meno simile, con un mercato di base poco volatile e stabile, lo stesso non si può dire per quanto riguarda i mercati emergenti. Le differenze interne tra questi Paesi iniziano ad essere molto profonde. Da una parte le economie asiatiche stanno ancora faticando ad abbassare l’inflazione, quindi continuano a mantenere una politica fiscale rigida e anzi, l’Indonesia li ha aumentati al 6,25% ad aprile, contro ogni aspettativa. Al contrario, diversi paesi dell’America Latina e dell’Europa orientale sono già a buon punto nei loro cicli di rallentamento come il Brasile e l’Ungheria.
Mercati emergenti vs Paesi sviluppati: più vicini che mai
Guardando alle prospettive di crescita globale, la situazione sta migliorando e sono proprio i Paesi emergenti che stanno spingendo in questa direzione. I tassi di crescita economica di diverse economie in via di sviluppo continuano infatti a superare quelli delle loro controparti dei mercati sviluppati, con deficit fiscali simili e livello di debito sovrano per lo più inferiori. Ad esempio l’India è entrata in una nuova età dell’oro con una crescita dell’8,2%, un deficit fiscale al 5,8% del Pil e un debito che, pur restando elevato, diminuisce di anno in anno, mentre per la Germania, che dovrebbe essere la locomotiva d’Europa, è prevista una crescita dello 0,1%, un deficit di 76miliardi e un debito di quasi il 65%.

È proprio in quest’ottica che Kirstie Spence, gestore di portafoglio di Capital Group, mantiene una visione costruttiva sul debito dei mercati emergenti per il prossimo futuro. Per la precisione, “le valutazioni sono ragionevolmente interessanti nei mercati in valuta locale con tassi reali elevati. Per quanto riguarda invece il debito denominato in dollari, ci sono opportunità in alcuni crediti a più alto rendimento, dove gli spread più ampi offrono un cuscinetto di valutazione. Anche le obbligazioni societarie EM selezionate aggiungono diversificazione”.