Peraltro, seppur da vari anni la legislazione fiscale italiana abbia introdotto norme specifiche in materia di trust, permangono tuttora talune incertezze sia in ambito di imposizione indiretta (con riferimento particolare al momento di assoggettamento all’imposta di donazione), che in ambito di imposte dirette, in specie per quanto concerne l’imposizione fiscale sull’atto devolutivo dei beni ai beneficiari del trust.
La bozza della legge di bilancio, attualmente in circolazione, sembra voler introdurre una norma di chiusura in relazione al secondo aspetto (i.e. imposte dirette), che avrebbe un impatto sicuramente di rilievo sui trust esteri extra-comunitari (con beneficiari fiscalmente residenti in Italia).
Infatti, da tempo si discuteva in ambito tributario se le somme percepite da un beneficiario, fiscalmente residente in Italia, di un trust estero “opaco” – i cui redditi non siano da imputare, per trasparenza, ai suoi beneficiari (assimilando il trust ad una sorta di “fiduciaria”) – fossero, o meno, tassabili in Italia.
La miglior dottrina era giunta a concludere che, non trattandosi di una tipologia di reddito annoverata tra quelle oggetto di tassazione, e in assenza di una norma ad hoc, tali somme dovessero considerarsi esenti da imposizione (salvo il caso in cui si concretizzassero in una rendita periodica).
Vediamo nel seguito come, e a quali condizioni, questo vuoto normativo verrebbe colmato dalla bozza di normativa in oggetto (salvo sue modifiche lungo l’iter parlamentare).
L’articolo 14 del provvedimento (rubricato “trust esteri”) prevede una nuova fattispecie di reddito di capitale, rappresentato dai “redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’articolo 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possano essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’articolo 73”.
Da una prima lettura, sembra quindi potersi desumere come, in caso di trust esteri extra-comunitari, che localmente non paghino imposte (o ne paghino troppo poche rispetto all’Italia), i percipienti (residenti fiscalmente in Italia) passino da tassazione zero a tassazione con aliquote Irpef progressive, trovandosi a incassare somme qualificabili come redditi di capitale (anche laddove siano portatori di una “mera aspettativa” di ottenere benefici dal trust, e non titolari di un diritto ad averli – così può essere esplicata la condizione di “beneficiario non individuato” menzionata dalla norma).
La novità non è da poco, e permette di evitare possibili salti di imposta, configurabili laddove il trust extra-comunitario sia caratterizzato da una fiscalità privilegiata.
La buona notizia è che, assumendo una portata innovativa, e non interpretativa della norma (insomma, disponendo la stessa solo per il futuro), e ragionando a contrariis, le somme incassate fino a fine anno dai suddetti beneficiari dovrebbero ritenersi esenti da tassazione.
Per concludere, una presunzione assoluta (che non ammette quindi prova contraria): le attribuzioni di trust esteri (anche comunitari) a beneficiari fiscalmente residenti in Italia, quando non ne sia certa la natura di patrimonio (oggetto di restituzione), si considerano sempre distribuzioni di redditi: così dispone il comma 2 dell’articolo 14 in oggetto.