Nel mercato è infatti possibile individuare, oltre ai contratti di assicurazione tradizionali (Ramo I) aventi in linea di principio finalità previdenziali, anche polizze come le unit linked e index linked (Ramo III) a contenuto finanziario. Se nel primo caso il premio garantito all’assicurato è fisso (e il rischio dell’impiego del capitale ricade sull’assicuratore), nel secondo caso il rendimento può dipendere dall’andamento di asset sottostanti (Oicr, titoli, ecc.) o indici azionari. In aggiunta a prodotti di “puro rischio” – che assicurano solo il cosiddetto rischio demografico (morte, invalidità permanente, non autosufficienza) – vi sono polizze “miste”, che hanno sia una copertura assicurativa del rischio demografico sia un sistema di capitalizzazione in base al quale la prestazione finale è commisurata ai premi versati e ai rendimenti maturati sul capitale.
Il crescente proliferare nel mercato di figure ibride di strumenti nelle quali vi è una componente marcatamente finanziaria, richiede di individuare attentamente la natura dei prodotti assicurativi e le relative caratteristiche al fine di avere certezza delle diverse implicazioni fiscali conseguenti alla loro detenzione.
Ai fini dell’imposizione diretta nella fase di contribuzione l’assicurato può detrarre solo il premio o la porzione di premio versato a copertura del rischio (nei limiti di 1.241,14 euro), ma non anche la componente che costituisce capitale investito. Nella fase in cui le prestazioni sono erogate, parallelamente, spetta l’esenzione Irpef solo per gli importi ricevuti a protezione del rischio, mentre la componente finanziaria concernente i rendimenti è per intero soggetta a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali nella misura del 26% (12,5% per gli investimenti in titoli di Stato). La base imponibile tassata è costituita dalla differenza tra il valore di riscatto (che sarebbe stato riconosciuto in caso di restituzione delle somme versate) e l’ammontare dei premi pagati al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio demografico. All’atto della scadenza della polizza ovvero al suo riscatto l’imposta è applicata sulla differenza tra l’ammontare percepito e i premi pagati. Va in ultimo considerata un’ulteriore differenza tra le polizze vita “ordinarie”, esenti dall’imposta sostitutiva di bollo, e le polizze unit e index-linked e i contratti di capitalizzazione, soggetti all’imposta nella misura del 0,2%.
Le polizze vita “finanziarie” sono soggette allo stesso carico impositivo (26%) generalmente previsto per i rendimenti delle altre attività finanziarie. Tuttavia, dette polizze, al pari dei fondi di investimento, garantiscono una peculiare sospensione della tassazione del rendimento sino al riscatto totale o parziale. Inoltre, oltre a tale tax deferral, ciò che viene tassato è il risultato netto degli investimenti, compensando risultati positivi e perdite. Generalmente, per gli investimenti azionari o obbligazionari, i proventi sono tassati all’incasso e le minusvalenze possono essere compensate solo con plusvalenze realizzate successivamente; le polizze vita, invece, offrono la possibilità di compensare minusvalenze con dividendi, interessi o plusvalenze, anche se emerse dopo aver incassato o realizzato detti proventi. Il regime tributario è completato dall’inapplicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni alle prestazioni erogate e dalla sospensione dell’imposta di bollo (che per gli altri prodotti finanziari è dovuta anno per anno) fino al momento del riscatto.
Paragonate alle attività finanziarie tout court, le polizze con componente finanziaria sono quindi fiscalmente più vantaggiose e, pertanto, non si può escludere che – anche se sul punto non esiste una prassi del Fisco ovvero un consolidato orientamento giurisprudenziale – l’eventuale abuso di tale strumento contrattuale (in assenza, sul piano sostanziale, di alcuna componente assicurativa) possa in ipotesi condurre al disconoscimento del descritto regime di favore. C’è da dire che le fattispecie sinora affrontate dalla giurisprudenza di Cassazione riguardano casi conclamati di strumentalizzazione delle forme negoziali – nelle quali difettava qualsivoglia componente assicurativa – e non hanno ad oggetto il trattamento tributario. Inoltre, l’evoluzione legislativa in materia di polizze linked è approdata a una definizione delle stesse quali “prodotti di investimento assicurativi” che si connotano per la circostanza che “una scadenza o un valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto od indiretto, alle fluttuazioni del mercato” (cfr. D.Lgs. n. 68/2018). Pertanto, almeno in linea di principio, un prodotto che copre eventi quali morte, invalidità permanente, non autosufficienza mantiene la propria natura assicurativa anche se vi è una componente di investimento il cui rischio è sopportato dall’assicurato: la presenza di una componente finanziaria non dovrebbe quindi essere ostativa al godimento dei benefici tributari.
Ciò nondimeno, al di là delle implicazioni nei rapporti con l’amministrazione finanziaria, per godere della polizza quale strumento efficace di protezione da azioni civili da parte di terzi è necessario che il contenuto assicurativo del prodotto non sia “minimo” bensì sufficiente e adeguato e che, conseguentemente, la sua natura assicurativa non possa essere messa in discussione, come dimostra la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 8271/2008).