Prologo
Immaginate di essere un imprenditore immobiliare, di aver acquistato un complesso industriale dismesso e, in attesa di decidere cosa farne, lo abbiate
concesso in uso (non importa se gratuitamente o con un canone di locazione di favore) ad un gruppo di artisti di strada che, sotto la guida di un curatore, abbiano realizzato sulle pareti dell’edificio opere, in parte destinate a rimanere ed in parte destinate ad essere sostituite da altre più recenti create sopra quelle preesistenti.
Il tutto con grande successo di pubblico e notevole risonanza mediatica. Immaginate che ad un certo punto abbiate trovato un partner finanziario che vi abbia proposto di fare un’operazione di sviluppo dell’area e di trasformarla in un complesso residenziale di lusso. Malgrado le preoccupazioni e le proteste accorate degli artisti e del pubblico rispetto all’operazione (le notizie viaggiano velocemente sulla rete), nel corso di una notte avete deciso di imbiancare tutte le pareti del sito, compromettendo irrimediabilmente le opere in quel momento esistenti: in fondo siete voi i proprietari e sarete ben liberi di fare quello che volete dell’immobile di vostra proprietà. Oppure no? Un recentissima sentenza della corte d’appello federale americana per il Second Circuit (Castillo v. G&M Realty)
ha confermato la condanna di un noto imprenditore immobiliare di New York a risarcire il danno subito da numerosi street artists, quantificato in complessivi 6 milioni e 750mila dollari, a seguito della distruzione di 45 opere murali realizzate in un sito di proprietà dell’imprenditore.
Sugli investimenti immobiliari e la graffiti art, Giuseppe Calabi
Il giudice americano ha dovuto affrontare una serie di delicati problemi giuridici, il primo dei quali era se imbiancando l’immobile il proprietario dell’immobile avesse violato il diritto morale d’autore previsto dal Visual Arts Rights Act (Vara) del 1990, 17 U.S.C. § 107. Quelle norme attribuiscono agli artisti, oltre al diritto di essere riconosciuti come autori di un’opera o di disconoscere un’opera che altri abbiano a loro attribuito, il diritto di prevenire la distruzione di un’opera di “riconosciuta levatura” (“recognized stature”) o qualsiasi modica, deformazione o mutilazione che possano recare pregiudizio al loro onore o reputazione, anche a prescindere dalla “riconosciuta levatura”.
Negli Stati Uniti i diritti morali, introdotti nel 1990 a seguito dell’adesione alla Convenzione di Berna, non possono essere ceduti, ma l’artista può rinunciarvi. Il giudice federale ha riconosciuto che ben 45 opere avessero raggiunto un livello di “riconosciuta levatura” e poiché l’imprenditore le aveva volontariamente imbiancate, lo ha condannato al massimo dei danni consentiti (anche in assenza di prova: 150mila dollari per ciascun opera). Nel ragionamento del giudice, ciò che rende un’opera di “riconosciuta levatura” è la sua qualità che deve essere valutata dalla comunità artistica, costituita dagli storici dell’arte, dai critici, dai curatori di musei, dalle gallerie e dai più rilevanti artisti, al giudizio dei quali il giudice si deve affidare.
Nel caso in esame, gli artisti che hanno promosso la causa hanno prodotto una pletora di testimonianze in primo grado a favore della “riconosciuta levatura” delle proprie opere. La discussione si è soprattutto focalizzata sul fatto che un’opera “temporanea”, quale è tipicamente quella riconducibile all’arte di strada o “aerosol art”, possa superare la soglia della riconosciuta levatura richiesta dalla legge e la conclusione è stata molto chiara: un’opera temporanea (ad esempio, I Cancelli di Christo che hanno coperto i cancelli di Central Park a New York per due settimane) o effimera (si pensi a The girl with a balloon di Banksy, autodistrutta al momento della sua vendita) può sicuramente superare quella soglia.
E con riferimento all’arte di strada, partita come gesto giovanile di ribellione delle periferie urbane limitato a sigle spruzzate sui muri, la sentenza ha riconosciuto che tali gesti sono successivamente sbocciati in “forme elevate di creazione artistica”. Infine, la riconosciuta levatura di un’opera può anche essere riconducibile al luogo dove si trova: in un interessante passaggio della sentenza si afferma che la circostanza che l’opera sia esposta in un luogo, che sia un museo, come il Prado o il Louvre, o un sito industriale dismesso, sotto la guida di un curatore rispettato e riconosciuto, è sicuramente indice di “riconosciuta levatura”.
Graffiti art e investimenti immobiliari nelle parole di Sharon Hecker
I graffiti sono un genere d’arte riconosciuto: la storia dell’arte ripercorre il gesto umano di disegnare sui muri dalle grotte di Lascaux alle iscrizioni greche e romane, fino alla nascita del fenomeno urbano negli anni ‘70. Ciò non significa, tuttavia, che il recente fenomeno della graffiti art si stia ora esclusivamente affermando nel mondo dell’arte istituzionale e nel mercato dell’arte, o che riceva la sua affermazione e la sua “riconosciuta levatura” solo dal pubblico del mondo dell’arte.
L’identità della graffiti art è la sua fluidità: si muove costantemente tra la strada e la galleria/museo/casa d’aste e torna poi in strada. Questa fluidità è sia estetica che concettuale, perché la graffiti art si appropria e rimescola stili artistici e immagini conosciute. Il gesto può essere una performance effimera, ma può anche avere un’importanza duratura.
Il suo impatto si muove all’interno e all’esterno del mondo dell’arte istituzionale: Picasso disse: “Ho sempre prestato molta attenzione a ciò che accade sui muri. Da giovane ho anche copiato spesso i graffiti.” Nonostante la sua fluidità, il progetto 5Pointz ha stabilito alcune regole che vanno al di là del tag di un artista o di un rapido throw-up, come viene chiamato. Il progetto è stato organizzato da un curatore, Meres One (nome d’arte di Jonathan Cohen), che ha presentato una proposta al proprietario dell’edificio e ha dato un nome al progetto: 5Pointz, che rappresenta i cinque quartieri di New York che si riuniscono qui simbolicamente in un unico punto focale.
Ogni immagine doveva essere approvata prima di essere dipinta, non erano ammessi simboli di gang, e se nel quartiere veniva trovato il tag di un artista, l’opera dell’artista in questione veniva immediatamente rimossa dall’edificio. L’idea del curatore era quella di sollevare il velo dell’illegalità e della criminalità da questa forma d’arte e di darle legittimità, fornendo ai graffitari lo spazio per lavorare. Il sogno di Meres One era quello di trasformare l’edificio in un museo dedicato ai graffiti. Il progetto ha ottenuto un riconoscimento mondiale e ha avuto un grande impatto di pubblico. Per nove anni ha accolto turisti, è stato utilizzato come set per serie televisive, film, hiphop e video musicali R&B.
Artisti provenienti da tutto il mondo, dal Canada alla Svizzera, dall’Olanda al Brasile e da tutte le parti degli Stati Uniti sono venuti a spruzzare le loro immagini sulle pareti dell’edificio. 5Pointz divenne più di una semplice zona di graffiti. Come ha detto Lexi Bella, una delle artiste, “era un museo vivente, che respirava”. Così, al di là della questione legale della “riconosciuta levatura”, possiamo vedere come un gesto creativo sia diventato opera d’arte e la conferma definitiva di ciò è arrivata dal mondo intero. L’edificio decorato è entrato a far parte della storia e del tessuto urbano della cultura newyorkese, di cui godeva chiunque passasse di lì in treno o venisse a visitarlo. La decisione legale ed economica a favore degli artisti compensa davvero il dolore per la distruzione permanente dell’arte stessa?