Con i recentissimi orientamenti da A.B.1 ad A.B.5, il Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie ha affermato la legittimità delle clausole cosiddette di sostenibilità inserite nello statuto di una società, ritenute non contrastanti con lo scopo di lucro che intrinsecamente connota e definisce l’attività sociale, e ciò anche qualora non si tratti di “società benefit”.
Tale conclusione muove dal presupposto che l’ordinamento non prevede disposizioni che impongano agli amministratori di società lucrative di operare avendo riguardo al solo interesse dei soci alla massimizzazione dei profitti, limitandosi l’art. 41, comma 2, della Costituzione a disporre che l’esercizio di qualsivoglia attività economica non possa “svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Cosa sono le clausole di sostenibilità
Nel documento vengono definite clausole di sostenibilità “tutte le clausole statutarie che costituiscono espressione di ideali collettivi, valori sociali e principi etici, quali la protezione dell’ambiente, la promozione del lavoro, la cura e il benessere dei dipendenti e della collettività, e in generale di un impegno di salvaguardia dei diversi interessi non economici implicati nell’attività di impresa, potendosi le medesime declinare non solo sul piano della perimetrazione dell’attività che costituisce l’oggetto sociale, ma anche sul piano delle modalità di conseguimento dello stesso, con funzione di definizione delle linee di condotta degli amministratori sia in forma impositiva di strategie o categorie di operazioni, che in forma preclusiva delle stesse”.
Cosa prevedevano gli orientamenti superati
In precedenza, con l’orientamento A.A.15 (ora abrogato, ma solo per motivi sistematici), lo stesso Comitato aveva già ritenuto legittime le clausole statutarie che prevedono lo svolgimento di un’attività economica con criteri diversi da quello del massimo profitto.
Ancor prima, la giurisprudenza aveva ritenuto legittima la clausola statutaria che prevedeva la devoluzione di una parte degli utili in beneficenza, rimettendo all’assemblea la quantificazione dello stanziamento, fermo restando che la relativa entità non potrebbe essere tale da arrecare sostanziale pregiudizio alla finalità lucrativa (Cass. civ., sez. I, 11/12/2000, n. 15599).
Cosa prevedono i nuovi orientamenti
I nuovi orientamenti del Comitato Interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie, tuttavia, propongono ora anche una serie di clausole che, sotto la spinta dei principi Esg, possono trovare ingresso negli statuti delle società, rivendicandone la compatibilità con lo scopo lucrativo imposto dall’art. 2247 c.c.
Sono, dunque, da considerarsi pienamente valide le clausole statutarie che:
- a) dettino specifiche regole etiche e/o di sostenibilità da osservare nella gestione della società, anche a scapito della massimizzazione dei profitti e dell’efficienza produttiva (orientamento A.B.1);
- b) prevedano la destinazione parziale di utili alla cura di interessi correlati alla natura dell’attività di impresa esercitata, purché non sia pregiudicato lo “scopo lucrativo”, e la destinazione e il relativo importo non siano predeterminati (orientamento A.B.2);
- c) impongano – con necessaria analiticità e specificità – all’organo amministrativo di considerare, nella delineazione e nell’attuazione delle politiche di impresa, gli interessi degli stakeholders (orientamento A.B.3);
- d) obblighino gli amministratori a consultarsi con comitati esterni o stakeholders (orientamento A.B.4);
- e) attribuiscano a esperti indipendenti la valutazione periodica della performance ambientale o sociale dell’impresa e/o commisurino una parte del compenso degli amministratori a parametri di sostenibilità (orientamento A.B.5);
- f) introducano requisiti di carattere etico per l’acquisizione delle partecipazioni sociali, a condizione che tali requisiti non siano determinati in maniera eccessivamente generica (orientamento A.B.6).
Perché sono importanti i nuovi orientamenti?
Tali orientamenti sono particolarmente importanti non solo per le aziende industriali, in ottica di compliance ai criteri Esg, ma anche per le società deputate alla gestione dei patrimoni familiari e ai family office, ove – oltre agli aspetti economico-finanziari – devono sovente trovare adeguata tutela e protezione i valori morali ed etico-sociali della famiglia, nella prospettiva del perseguimento di un purpose condiviso.
La detenzione di patrimoni rilevanti, infatti, reca spesso con sé la percezione di una responsabilità sociale che induce a individuare uno “scopo” in funzione del quale orientare la gestione e la trasmissione della ricchezza, oltre che del “capitale immateriale” e valoriale della famiglia, nel quadro di una stewardship responsabile del patrimonio di cui benefici non solo la famiglia stessa, ma anche – quantomeno in parte – la collettività.
Ecco quindi che la riconosciuta possibilità di inserire nello statuto di una società commerciale (com’è tipicamente una holding di famiglia) il riferimento a valori sociali e principi etici, che trascendano il mero fine lucrativo a tutela di interessi più ampi, non solo economici, e che siano destinati a conformare stabilmente l’attività dell’organo amministrativo, apre scenari di massimo interesse.
Potranno così, ad esempio, essere recepiti statutariamente i valori fondanti la legacy della famiglia e il suo rapporto con la collettività ed il bene comune, ovvero essere previsti criteri di attuazione dell’investimento in ottica di sostenibilità e di impatto, privilegiando determinate social enterprises o escludendo specifici settori industriali in quanto ritenuti incompatibili con i principi valoriali della famiglia, o ancora vedere destinata una quota degli utili prodotti a finalità sociali o filantropiche, e molto altro.
In tal modo, lo statuto societario della “cassaforte” familiare può attivamente interagire, con la vincolatività e stabilità tipica dello strumento, con gli altri strumenti di wealth planning (accordi di famiglia / family constitution, trust, fondazioni etc.), regolamentando il rapporto con il patrimonio (e, ove presente, con il family business) e così perpetuando, nel corso delle generazioni, la tradizione valoriale, culturale e sociale della famiglia.