La ripresa dell’economia cinese ha mantenuto le promesse che si erano già intraviste dagli indici Pmi e ha messo a segno una produzione industriale in crescita del 2,4% nei primi due mesi dell’anno, in accelerazione rispetto al +1,3% segnato a dicembre. Il dato è un po’ più basso delle attese degli analisti (2,6%), ma dimostra che la Cina sta allungando il passo con l’uscita dalle politiche restrittive nella gestione dell’economia. Allo stesso tempo le vendite al dettaglio, che indicano lo stato di salute dei consumi sulla cui ripresa il partito comunista cinese intende puntare per sostenere la crescita, sono aumentate del 3,5% nel periodo, contro il +1,8% osservato a dicembre e in linea con le attese.
Alcuni altri dati non sono stati altrettanto incoraggianti, in particolare gli investimenti immobiliari sono scesi del 5,7% rispetto ai primi due mesi del 2022, pur in miglioramento dal -12,2% segnato a dicembre. La disoccupazione giovanile, un’altra sfida di politica economica per il partito comunista cinese è passata dal 16,7% di dicembre al 18,1%. Fra i fattori critici da monitorare, secondo gli analisti della banca giapponese Nomura, ci sono il rallentamento delle esportazioni cinesi e la debolezza del settore immobiliare (che rappresenta una quota assai rilevante del Pil cinese, pari circa al 30% secondo le ultime stime pubblicate su Statista).
Pil, un target ufficiale a “basso profilo”
Nel frattempo, la prima riunione dell’Assemblea nazionale che ha sancito sabato scorso l’entrata in carica del nuovo premier Li Qiang, ha fissato un obiettivo di crescita particolarmente cauto al 5% per quest’anno, inferiore al 5,2% che lo scorso gennaio il Fondo monetario internazionale aveva attribuito al Dragone. I toni utilizzati da Li Qiang nella sua prima conferenza da premier sono stati particolarmente prudenti, sottolineando come il target del 5% “non sarà facile e richiederà un raddoppio degli sforzi”.
Confermando le attese attorno alla sua figura, ritenuta la più favorevole al business fra gli uomini di fiducia di Xi Jinping, il nuovo premier ha affermato che “aprirsi è alla base della politica della Cina”, riferendosi agli investitori provenienti dall’estero, “la Cina resterà aperta a questa politica a prescindere dalla situazione esterna”, ha detto lo scorso 13 marzo, citato dall’agenzia Xinhua. Gli investimenti diretti in entrata sono stati oltre 189 miliardi di dollari nel 2022, un nuovo record, ha aggiunto Li.
Cosa c’è dietro alla prudenza del nuovo governo cinese sulle prospettive di crescita? Resta un buon momento per accrescere le posizioni del proprio portafoglio sul mercato cinese?
“Dovremo abituarci a tassi di crescita in Cina meno esplosivi rispetto al passato, in Plenisfer riteniamo che il target sia stato fissato in modo prudenziale”, ha dichiarato a We Wealth Marco Mencini, head of research di Plenisfer Sgr, da tempo sostenitore delle opportunità del mercato cinese, “il target del 2023 è, infatti, sostanzialmente in linea con quello fissato un anno fa al 5,5%”, in seguito rivisto al ribasso a causa dei lockdown.
“La crescita economica cinese, sebbene rivista al ribasso (sui valori del 1991), resta comunque decisamente maggiore delle principali economie mondiali, riportando all’attenzione un’economia matura, la quale non ha più bisogno di una crescita vertiginosa, classica di un mercato emergente, che rischia di essere meno efficace nel lungo termine”, ha dichiarato a questo giornale il market analyst di eToro, Gabriel Debach, aggiungendo che il target moderato potrebbe rappresentare “una scelta politica” finalizzata eventualmente a sorprendere il mercato con numeri migliori.
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Il punto sull’azionario cinese
Nella prima parte dell’anno gli investimenti finanziari nel Paese sono stati particolarmente sostenuti, ma da fine gennaio l’indice Csi 300 ha ritracciato, con un calo del 2,60% negli ultimi 30 giorni (al 15 marzo) e un risultato da inizio anno positivo che si è ridotto al +2,55%.
Dopo una importante corsa del mercato azionario cinese, avviata dallo scorso novembre, “pensiamo che si sia conclusa una prima fase di correzione dei multipli, tornati vicini alla media storica di 12/13 volte gli utili”, ha dichiarato Mencini, citando come principale causa la fine della politica Zero covid, adesso “si apre ora una nuova fase in cui, a fronte di multipli attesi stabili, dovremmo assistere alla crescita degli utili societari sostenuti dalla piena riapertura del Paese la cui economia potrà contare anche sul supporto del backlog di consumi e investimenti accumulato nel 2022”.
Una crescita dei consumi? Su quali settori investire
I settori che da qui in avanti potrebbero avere maggiore slancio nel mercato azionario cinese, ha affermato Debach, potrebbero essere quelli legati ai consumi dicrezionali “che potrebbero rappresentare un interessante settore da monitorare, in un contesto che vede ancora una tendenza negativa, con l’indice SSE sul settore in calo del 32% dai massimi di febbraio 2021”. Un’altra scommessa, ha aggiunto l’analista di eToro, potrebbe essere il “settore tecnologico, con i suoi multipli decisamente più interessanti rispetto a quelli americani ma che rimarcano soprattutto un maggiore rischio politico, sia interno che internazionale il quale ha inciso sui tassi di crescita di molte aziende – si prenda per esempio il 9,5x P/E forward di Alibaba”.
Anche per Mencini, i consumi interni traineranno l’economia e, di conseguenza, “i settori che recupereranno più velocemente” potrebbero essere “proprio quelli legati al retail, oltre a quelli connessi alle priorità strategiche dell’agenda politica cinese, quali la transizione energetica, ma anche l’indipendenza tecnologica e produttiva”.
Un’ulteriore considerazione favorevole al settore tecnologico cinese può essere ricavata dalle linee guida emerse dall’ultima riunione dell’Assemblea nazionale. “Tra le priorità strategiche del Paese”, emerse “spicca la volontà di perseguire l’indipendenza sul fronte tecnologico e di accelerare sul fronte dell’innovazione”, ha ricordato Mencini, “poiché l’innovazione è tradizionalmente trainata dalle big tech del Paese, è sempre più lecito ipotizzare che, anche se la guardia resterà sempre alta, la fase acuta della stretta regolatoria sul settore tech possa ormai essere alle spalle. E questa è una buona notizia per gli investitori”.
Attenzione, invece, sul settore bancario cinese, sul quale Moody’s ha deciso di attribuire un outlook negativo in rapporto pubblicato il 15 marzo. “L’evoluzione del settore bancario rappresenta ancora un importante fattore di preoccupazione, visto i legami del comparto con l’economia”, ha dichiarato Debach, “ad ogni modo, il supporto statale potrebbe rappresentare una possibile valvola di sfogo”.
L’influenza delle tensioni internazionali
Oltre ai numeri dell’economia, le scelte politiche di Washington, rivolte da tempo a un contenimento dello sviluppo cinese, stanno contribuendo a deteriorare i rapporti con la Cina – finora cauta nel suo supporto alla Russia per evitare sanzioni. “Senza ombra di dubbio i rapporti tra le due principali economie mondiali si fanno sempre più tese, tanto che molte importanti aziende hanno deciso di investire proprio sul supporto di importanti ex uomini chiave americani per meglio interpretare l’evoluzione del rischio politico”, ha ricordato l’analista di eToro, “purtroppo, il pericolo deve essere altamente preso in considerazione nell’esposizione complessiva sui titoli cinesi”.
“Penso che la Guerra economica tra Cina e Usa rappresenti soprattutto un fattore da monitorare non tanto sull’esposizione al Paese, quanto nella selezione delle opportunità, che resta cruciale in quest’area”, ha concluso l’esperto di Plenisfer Sgr, “servirà un’attenta selezione, è questa la grande sfida da affrontare oggi sul mercato cinese”.