- Powell a Jackson Hole: “La direzione di marcia è chiara e i tempi e il ritmo dei tagli dei tassi dipenderanno dai dati in arrivo”
- La Fed è l’ultima a non aver ancora allentato le condizioni, diversamente dalla Banca centrale europea e da molti altri paesi tra cui Canada, Svizzera e Svezia
- Salcioli: “Le attese scontate dai future sono di 1% circa, forse troppe dato il contesto e considerando la vicinanza della riunione del 7 novembre con le elezioni”
L’intervento di Jerome Powell, a Jackson Hole, ha tenuto i mercati col fiato sospeso in attesa di indizi sulla traiettoria dei tassi di interesse. Poi, le parole del presidente della Federal Reserve: “È giunto il momento di adeguare la politica monetaria. La direzione di marcia è chiara e i tempi e il ritmo dei tagli dei tassi dipenderanno dai dati in arrivo, dalle prospettive in evoluzione e dall’equilibrio dei rischi”. In altre parole, via alla prima sforbiciata al costo del denaro dopo oltre quattro anni. Ma quando?
Facciamo un attimo un passo indietro. Il simposio dei banchieri centrali quest’anno giunge in un contesto particolare, a poco più di due mesi dalle presidenziali e parlamentari americane e dopo qualche settimana da una fase di particolare volatilità sui mercati finanziari. Ciò che mercato e operatori si attendevano dalle parole di Powell non era soltanto se fosse il momento di procedere al primo taglio, ma anche l’intensità dei prossimi mesi. “Siamo ai massimi degli ultimi 22 anni e fermi dall’ultimo ritocco in su del 26 luglio 2022”, dichiara a We Wealth Gian Marco Salcioli, strategist di Assiom Forex. La Fed è in effetti l’ultima a non aver ancora allentato le condizioni, diversamente dalla Banca centrale europea e da molti altri paesi tra cui Canada, Svizzera e Svezia.
Dopo Jackson Hole, Fed verso il primo taglio
“Powell ha senz’altro addolcito i toni”, aggiunge Salcioli riferendosi all’intervento del numero uno della Fed alla riunione dei banchieri centrali nel Wyoming. “Però non ha fornito informazioni così diverse rispetto a quelle contenute nelle minute dell’ultimo Federal open market committee o nelle condizioni di mercato. Di certo, si è aperto a una maggiore tempestività laddove il mercato del lavoro dovesse ulteriormente rallentare, ma non ha detto nulla di particolarmente nuovo”. Powell ha infatti riconosciuto la diminuzione dei rischi per l’inflazione e l’aumento dei rischi per l’occupazione, affermando che è arrivata l’ora per la Fed di adeguare la politica. Ma non si è sbilanciato sulla tempistica o l’entità dei tagli.
“Per quanto riguarda la tempistica, è quasi impossibile per la Fed trovare un punto d’incontro: o tagliare i tassi col rischio che sia troppo presto e rischiare quindi una risposta reflazionistica o aspettare e rischiare un crollo del mercato del lavoro. Questa è la realtà della dipendenza dai dati”, commenta Bret Kenwell, US investment analyst di eToro. “Alcuni investitori avrebbero potuto sperare in una maggiore chiarezza in merito all’entità dei tagli dei tassi, ma si trattava di un’eventualità sempre molto remota. Alla fine, il presidente Powell ha fornito ciò che il mercato desiderava, ossia la certezza della politica monetaria della Fed per il futuro, aprendo la porta al primo taglio dei tassi in più di quattro anni”, sostiene Kenwell.
Tassi Usa: gli scenari da qui a fine anno
A tre riunioni da qui a fine anno – settembre, novembre e dicembre – le attese scontate dai future sono di un taglio dell’1% circa. “Forse troppe dato il contesto e considerando la vicinanza della riunione del 7 novembre con le elezioni di due giorni prima e con il mercato probabilmente alle prese con l’esame dei risultati e potenziale volatilità a cui si aggiungerebbe una decisione che forse conviene non renderla concomitante o quasi”, afferma Salcioli. Inoltre, l’economia americana è a sua volta alle prese con un evidente rallentamento ma non una recessione incipiente, a meno di clamorose sorprese, aggiunge l’esperto. I dubbi restano insomma sostanzialmente due: il primo, che la banca centrale a stelle e strisce possa tagliare di 50 punti base nell’ambito di una stessa riunione; il secondo è che nella riunione di novembre, a ridosso delle presidenziali americane e dunque in un contesto in cui la politica catturerà gran parte dell’attenzione dei mercati, possa aggiungere ulteriori elementi di discontinuità.
“Quest’attenzione smodata a un taglio di 1 punto o 0,75 punti, in alcuni casi, è anche un po’ eccessiva”, afferma Salcioli. “L’aspetto fondamentale è che la Fed si sta avviando verso un processo di allentamento delle condizioni del credito. Il passo potrà essere più o meno lento, ma se non abbassasse adesso, abbasserà comunque”. Per l’esperto, il rischio è che se il mercato si focalizzasse sul fatto che un punto percentuale sia necessario per l’economia, si orienterebbe verso un processo di avversione al rischio, qualora non abbassasse, che alla fine dell’anno potrebbe innescare una correzione tecnica se la Fed intraprendesse una direzione diversa. Tirando le somme, mentre Christine Lagarde già un mese prima aveva sdoganato “salvo imprevisti” il primo taglio della Bce, la Fed ha adottato un approccio comunicativo diverso. Sebbene Powell non abbia inserito alcun riferimento temporale nel suo discorso, secondo Salcioli un taglio a settembre è da considerare scontato. Quanto a dicembre, se le condizioni dell’ormai proverbiale “path dependency” convergeranno verso gli obiettivi, un altro taglio resta probabile. A novembre, invece, sarà tutto da vedere. “Fermo restando che da qui alla fine del 2025 si terranno altri 10 meeting, per cui ci saranno tante opportunità per allentare le condizioni del credito. Questa è ormai la direzione della Fed”, conclude Salcioli.