Il caso
La fattispecie sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità nasce dalla richiesta promossa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di firenze al Gip di emissione di un decreto di sequestro preventivo per equivalente per i beni rinvenibili presso un indagato, resosi responsabile della condotta di occultamento e distruzione dei documenti contabili, puntira dall’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000.
Il Gip ha rigettato la richiesta e il Tribunale ha confermato il decreto emesso, ritenendo che il profitto di reato di occultamento o distruzione di scritture contabili obbligatorie sia sì conficabile, ma solo in presenza di evasione penalmente rilevante.
L’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000
Come è noto, la disposizione in parola punisce chi occulta o distrugge, in tutto o in parte, le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.
Il delitto in trattazione è punito a titolo di dolo specifico, essendo necessario che l’agente abbia agito con coscienza e volontà al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di consentire l’evasione a terzi.
Il bene giuridico tutelato è sicuramente la trasparenza fiscale e il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria.
Il principio della Suprema Corte
La pronuncia ha il merito, dunque, di aver chiarito che il delitto di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000, allorquando l’importo dell’evasione sia stato aliunde determinato, è configurabile il profitto del reato, suscettibile di confisca, anche per equivalente, e di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2 bis, c.p.p., con riguardo al tributo evaso e a eventuali sanzioni e interessi maturati sino al momento dell’occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, trattandosi di risparmio di spesa che costituisce vantaggio economico immediato e diretto della condotta illecita tenuta.
In particolare, i giudici di legittimità, dopo aver rilevato il mutamento della disciplina della confisca ad opera del D.Lgs. n. 158/2015 che ha esteso l’applicabilità dell’istituto anche al reato di cui all’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000, hanno inteso dare continuità a un precedente orientamento.
Ed invero, con la precedente pronuncia n. 166/2020, la Corte di Cassazione ha precisato che dal reato di occultamento o distruzione dei documenti contabili può comunque conseguire un profitto di reato in capo all’indagato che, come tale, può essere oggetto di confisca e, prima ancora, di sequestro cautelare.
Ed infatti, la condotta punita dalla disposizione in parola consente al contribuente di ostacolare l’attività di verifica fiscale nei suoi confronti, impedendo di far emergere il reale rapporto tributario; quando si verifichi tale ostacolo all’azione accertativa dell’Amministrazione finanziaria il profitto ottenuto dal contribuente sarà rappresentato dalla mancata emersione dell’evasione d’imposta, con conseguente omesso versamento dei relativi importi. Al contrario, laddove si riesca a individuare l’imposta evasa è possibile applicare la regola generale della confisca del profitto del reato, anche in forma equivalente.
Si è dunque chiarito che nei casi in cui la condotta sia punita ai sensi dell’art. 10, D.Lgs. n. 74/2000 e si riesca a ricostruire, anche solo in parte, il reddito e il volume d’affari, è possibile individuare l’an e il quantum dell’imposta dovuta, che sarà suscettibile di determinare la confisca diretta o per equivalente.
L’iter motivazionale seguito dai Giudici di legittimità è certamente condivisibile e frutto di una corretta applicazione della disciplina di cui all’art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000.