Con l’arrivo della primavera, tornano le rondini e, più prosaicamente, anche le stime della contabilità nazionale statunitense per i profitti del quarto trimestre 2023, rilasciate dal Bureau of Economic Analysis (BEA). Queste stime richiedono più tempo del solito perché alla fine dell’anno ci sono più bilanci da processare per i ‘contabili nazionali’. Tuttavia, le stime dei profitti societari sono sempre rilevanti, poiché permettono di confrontare la ‘saggezza delle folle’ (che talvolta è, appunto, ‘folle’), rappresentata dalle quotazioni di Borsa, con i sobri calcoli della contabilità nazionale. Le due variabili dovrebbero andare di pari passo, a parte urti di breve periodo, causati da eventi imprevisti (black swans e black sygnets – il sygnet è il pulcino del cigno). Questo confronto viene effettuato periodicamente, ad ogni trimestre, su queste colonne, ed è particolarmente importante oggi, dato che l’effervescenza delle quotazioni azionarie fa pensare a molti che si stia formando una bolla. Un confronto con i freddi numeri (che, come ha detto qualcuno, sono come spille per i palloncini) potrebbe aiutare a capire.
Borse a rischio bolla?
Una prima obiezione a questo confronto riguarda la differenza tra i due universi. L’universo delle quotazioni azionarie non è, ammettiamolo, molto universale, mentre i profitti della contabilità nazionale coprono tutte le società americane, sia quelle quotate che le non-quotate. Il confronto nel grafico utilizza, per le quotazioni, l’indice Wilshire 5000 (che, nel corso della sua storia, ha ridotto il numero di società che lo compongono dalle circa 5000 originarie – nel 1974 – alle 3403 censite al 31 dicembre 2023); tuttavia, anche se non esaustivo, l’indice, data la sua numerosità, si può considerare rappresentativo dell’universo societario.

Una seconda obiezione riguarda il modo di calcolare i profitti, che può essere – e in effetti è – diverso tra quello che è costruito nei bilanci delle società quotate e quello che è ‘cucinato’ nella contabilità nazionale. Quest’ultima corregge i profitti con due aggiustamenti necessari per riportare ammortamenti e variazione di scorte dal costo storico al costo di sostituzione. Tuttavia, i dati del BEA ci forniscono i profitti sia al netto che al lordo di quegli aggiustamenti, e il grafico mostra le due versioni, con la seconda che coincide maggiormente con la contabilità delle aziende. I profitti realizzati all’estero dalle società quotate non sono un problema, perché sono inclusi negli utili della contabilità nazionale (e, per le società quotate, rappresentano una cospicua fetta – circa il 40% – dei profitti di Wall Street).
Queste tre grandezze sono state trasformate in numeri indice che partono dal 1995, anzi, per essere più precisi, dal terzo trimestre del 1995 (un anno prima che Alan Greenspan pronunciasse, il 5 dicembre 1996, il famoso discorso sull’“esuberanza irrazionale” della Borsa americana). Si è scelto un anno base lontano nel tempo perché la relazione tra Borsa e profitti può essere disturbata da molteplici fattori che offuscano il parallelismo nel breve periodo.
Si vede come nel 2021 le quotazioni si fossero allontanate pericolosamente dagli utili, e infatti nei due anni seguenti gli indici azionari sono scesi dai record di fine 2021. I profitti, nelle due versioni, sono aumentati modestamente, ma la differenza con le quotazioni si è ampliata e potrebbe, quando saranno noti (a fine maggio) gli utili della contabilità nazionale del primo trimestre 2024, rivelarsi anche superiore al divario record di fine 2021. L’unica variabile che potrebbe spiegare la divergenza sta nel fatto che i mercati anticipano la discesa dei tassi, che potrebbe ingrandire quegli utili futuri che sono la componente principale dei prezzi delle azioni (i quali, in teoria, dovrebbero corrispondere al valore attualizzato dei profitti netti da oggi al giorno del Giudizio). La conclusione? Caveat emptor… (stia in guardia il compratore).
Articolo tratto dal N di maggio del magazine We Wealth