- Gli analisti osservano il settore del lusso con cautela, attendendosi una domanda mondiale più debole e una crescita economica inferiore al post-covid
- Mariotti (Banor): “All’interno del settore del lusso non tutte le società sono uguali; riteniamo sia necessario essere selettivi e rigorosi nell’analisi”
I brand del lusso stanno vivendo un momento di incertezza. Dopo aver registrato tassi di vendita record e a doppia cifra tra il 2018 e il 2023, negli ultimi trimestri la normalizzazione dei consumi post-covid ha innescato un rallentamento delle transazioni. “Gli analisti guardano in questo momento con maggiore cautela al settore, considerando la prospettiva di una domanda globale più debole, di una crescita economica inferiore rispetto al periodo successivo alla pandemia e un contesto geopolitico in forte deterioramento”, spiega Tomaso Mariotti, head of portfolio management value di Banor. Un contesto condizionato anche da un’economia cinese che cresce meno delle attese e un cambiamento nelle abitudini dei consumatori che cercano “maggiormente l’esperienza del lusso piuttosto che il prodotto esclusivo”, dice l’esperto. Ma ci sono alcuni marchi che non conoscono crisi (neanche in Borsa).
Aziende del lusso più resilienti (anche all’inflazione)
Innanzitutto, osserva Mariotti, le aziende del lusso hanno storicamente dimostrato una maggiore resilienza rispetto alle altre, complice la forza dei loro marchi e il focus sui top di gamma. “Se dunque per i prossimi mesi le sfide non mancheranno – a cominciare da un confronto difficile tra i dati del primo semestre del 2024 con quelli relativi al primo semestre 2023 – riteniamo che per gli investitori di medio e lungo termine vi siano delle opportunità interessanti da cogliere”, afferma l’esperto. A sostenere il settore sono innanzitutto alcuni driver strutturali, secondo Mariotti: l’aumento della ricchezza globale, la crescita della classe media nei paesi emergenti, la corsa dell’e-commerce e infine l’attitudine di millennial (nati tra l’inizio degli anni ’80 e la metà degli anni ’90) e della cosiddetta generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) che mostrano una maggiore tendenza alla spesa rispetto alle generazioni che le hanno precedute.
“Un’ulteriore caratteristica distintiva delle aziende del lusso è rappresentata dal fatto che i marchi iconici godono di un potere di determinazione dei prezzi generalmente in grado di battere l’inflazione, in modo da proteggere anche i loro margini di profitto”, dichiara Mariotti. “Tutti gli elementi sopra analizzati contribuiscono a spiegare le performance straordinarie dei fondamentali di alcune società che operano nel settore, che si sono poi riflesse in eccellenti ritorni in Borsa per gli investitori negli ultimi 10 anni, sia in termini assoluti che relativi rispetto al mercato azionario di riferimento”. Basti pensare a Ferrari, il cui prezzo è decuplicato dallo sbarco sui mercati, mentre la performance da inizio anno sfiora il +24%.
Come investire sui titoli del lusso adesso
Come anticipato in apertura, ci sono infatti alcuni titoli del lusso che non conoscono crisi. “Nell’attuale fase di normalizzazione il segmento più alto di gamma si mostra preferibile, dal momento che si rivolge a consumatori con le più elevate capacità di spesa, fisiologicamente più resilienti al rallentamento economico rispetto ai consumatori cosiddetti aspirazionali”, suggerisce Mariotti. Ma anche i brand con modelli di business unici sono da monitorare, aggiunge. Un esempio sono Hermès e Ferrari, che puntano sull’esclusività e unicità del brand per mantenere i prezzi elevati (basti pensare alle lunghe liste d’attesa per portarsi a casa alcuni modelli nello specifico). La performance year to date del colosso francese sfiora l’11%. Altro caso quello di Lvmh, il cui titolo viaggia tuttavia intorno al -1% da inizio anno. “Bernard Arnault è stato in grado di creare un colosso difficilmente replicabile, grazie a una strategia lungimirante e scelte di allocazione del capitale ottimali”, afferma Mariotti. A caratterizzare il gruppo è un portafoglio di marchi ampio e diversificato anche per categorie di prodotto (tra cui Louis Vuitton, Dior, Loro Piana, Bulgari, Tiffany, Dom Pérignon, Sephora), una scala distributiva capillare e globale e una capacità di investimento definita da Mariotti senza uguali.
“Tuttavia, non tutte le società del lusso stanno attraversando periodi particolarmente brillanti”, avverte l’esperto, citando a titolo esemplificativo Burberry (-29% da inizio anno in Borsa) o Gucci (-23%) che vivono una fase di ristrutturazione. C’è poi Tod’s, il cui delisting da Piazza Affari è scattato a inizio giugno. E infine Capri Holding, il gruppo a cui fanno capo i marchi Versace, Jimmy Choo e Michael Kors. “Per ognuna di queste società il problema principale risiede proprio nella crescente difficoltà di prevedere le abitudini di spesa dei consumatori più aspirazionali”, dice Mariotti. Poi conclude: “Al netto dei rischi che il settore presenta nell’attuale fase di mercato, le opportunità per gli investitori e per le aziende stesse non mancano. In questo scenario, avrà successo chi manterrà un approccio mirato e flessibile, bilanciando creatività ed heritage, con l’obiettivo finale di coltivare una base clienti affezionata e ampliarne la portata”.