Alberto Garutti, artista d’una raffinata e intensa poesia
Poetico sperimentatore di materiali e di suggestioni, Alberto Garutti (Galbiate, 1948 – Milano, 2023) fu un artista di raffinata e intensa poesia, in grado di ripensare e modellare spazi, materiali e concetti, come un unico flusso di idee tra soggettività, etica e luogo pubblico.
Grazie a un nonno disegnatore, ai libri d’arte di un papà insegnante di lettere e a uno zio pittore che gli lasciò in eredità una scatola di colori a olio, il giovane Garutti non ebbe mai esitazioni su cosa fare da grande.
“Decisi di fare architettura perché volevo fare l’artista.” Nato a Galbiate (Lecco) nel 1948, Alberto Garutti si laurea al Politecnico di Milano nel 1971 con la convinzione che la facoltà di architettura aprisse, meglio di altre, al sociale e a una dialettica più vivace e interessante. Anno del suo esordio è il 1975, quando presenta alcune sequenze di immagini fotografiche dalla forte carica autobiografica e comincia a collaborare con gallerie di rilievo come Banco a Brescia, ora Massimo Minini, e Paul Maenz Galerie a Colonia.
Quest’opera è dedicata a chi passando di qui penserà alle voci e ai suoni della città, 2012. 23 tubi in metallo cristallo dimensioni variabili
Una lunga carriera internazionale
Nel corso della sua lunga carriera ha partecipato a importanti manifestazioni nazionali e internazionali, come le Biennali d’Arte di Venezia (1990, 2010, 2014), la Biennale dell’Avana (2000), la Biennale di Istanbul (2001), Arte all’Arte di Pisa e Siena (2000, 2005) e, infine, la Memory Marathon presso la Serpentine Gallery di Londra (2012). Le sue opere sono state esposte nei musei di tutto il mondo: dallo S.M.A.K. di Gent in Belgio, al Kanazawa in Giappone (2002), da Herford in Germania per il MARTa Museum (2003), fino a Mosca per il Moscow Museum of Modern Art. Tantissimi i progetti di arte pubblica che possiamo trovare a Milano, Firenze, Lugano, Londra, solo per citarne alcuni, tutti accomunati dalla volontà di creare ogni volta una relazione specifica e significante con il contesto circostante.
Per natura aperto al dialogo, specialmente con i più giovani, Garutti è professore amato e riconosciuto per molte generazioni di studenti. Fu (tra le altre) docente alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dello IUAV di Venezia e titolare della Cattedra di Pittura all’Accademia di Bologna dal 1990 al 1993 e all’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1993 al 2013, dove fu una delle voci storiche. “Prediligeva una modalità pedagogica aperta – ricorda Roberto Casti, allievo e assistente dell’artista – non segnata, quindi, dall’imposizione di direzioni certe o idee fisse su come fare o non fare l’artista ma dal suggerimento, dalla riflessione e dalla messa in discussione dell’opera”.
Paesaggio e i suoi abitanti, relazioni e incontri, invisibile e silenzioso, didascalie e dediche. È ciò che interessa a Garutti e il cuore della sua poetica e indagine artistica.
“Ogni mio lavoro pensato per abitare lo spazio pubblico muove nell’intenzione di costruire un sistema di relazioni […]. L’opera esiste solo nell’incontro con lo spettatore […] nella citta? e nel paesaggio e? parte della mia strategia operativa scendere dal piedistallo retorico che la società dell’arte concede all’autore, per ‘andare verso’ lo spettatore, il cittadino, il paesaggio, e concepire l’opera stessa come una sofisticata macchina di connessioni, sguardi e reciproche vicinanze, incontri e racconti”. Un dialogo dichiarato, dunque, con il paesaggio che si realizza attraverso i legami espressi dalle persone che lo abitano. Paesaggio inteso non nella sua fisicità quanto, piuttosto, nella rete invisibile di relazioni.
Garutti carica di struggente sentimento i ricchi paesaggi italiani e non, colmi di vita e frenesia. Lo fa a suo modo, lasciando spazio all’immaginazione percettiva di chi osserva, coinvolgendo lo spettatore occasionale con interventi di arte pubblica silenziosi ma in grado di suscitare emozione, speranza e aggregazione. Installazioni semplici, la cui forza si cela nella potente e complessa rete di relazioni che catturano i passanti di turno facendoli entrare a far parte dell’opera, generando una grande performance collettiva di urbanistica narrativa che assume di volta in volta forme e significati diversi e irripetibili.
Le sue opere si prestano a più letture. La più immediata rimanda a valori universali ma il significato vero è quello che rende l’opera d’arte immateriale, ossia l’interazione delle persone presenti. Si tratta di un sorriso, di un gesto, di un commento o l’attesa di una rivelazione che scaturisce dall’incontro inconsapevole con i suoi lavori, situati nelle vie e nelle piazze delle città (ma non solo), che modificano inconsapevolmente il contesto urbano e ci pongono delle riflessioni. In che modo? Elemento imprescindibile per Garutti è, infatti, la didascalia, intesa come dispositivo attivatore dell’opera ma anche strumento critico e politico. Non spiega l’opera ma come questa funziona in quel preciso momento e luogo, e lo fa al di là della classe sociale o della provenienza, del bagaglio culturale o delle preferenze artistiche. Mentre la dedica, inserita in didascalia, è per l’artista un “motore perpetuo” dei suoi interventi.
Scoperto l’arcano, grazie ai testi disseminati nelle vicinanze, si entra a far parte dell’opera generando molteplici immagini eterogenee delle quali l’artista non ha il controllo ma che cerca di suscitare attraverso una sorta di regia che egli stesso definisce “machiavellica”.
Garutti nelle sue opere si concentra su aspetti a lui cari come l’attenzione verso l’altro. Scende, quindi, dal piedistallo retorico sul quale è posto dal sistema dell’arte e si mette al servizio della città, tentando di scardinare quella logica obsoleta secondo la quale l’opera pubblica atterra nello spazio urbano come un oggetto estraneo e alieno, senza relazioni con il contesto sociale e urbanistico nel quale si innesta. Sono le parole delle persone, gli sguardi e i loro movimenti a dare vita ai suoi interventi e a far sì che questi, come grandi strumenti musicali, possano caricare di nuovo senso luoghi di vita quotidiana in un lavoro corale.
Alberto Garutti, le sue opere d’arte
Le Opere. Una volta compresa la metodologia e l’approccio di Garutti, resta la curiosità di scoprirne i meccanismi che sottendono ciascun progetto. Ed ecco che in piazza Gae Aulenti a Milano – disegnata dall’architetto argentino Cesar Pelli insieme al paesaggista italiano Land – si corre per cercare l’altro lato di quelle trombe d’ottone che sin dalla cima ne collegano ogni piano. “Egg” (2011), situata ai piedi di uno degli edifici più alti d’Italia, è un’installazione composta da 23 tubi in metallo cromato ottone, sviluppati in verticale su quattro livelli. Dai piani del parcheggio a quelli superiori, attraverso ogni tubo è possibile, appoggiando l’orecchio sulla sua apertura, ascoltare le voci e i suoni provenienti dall’altro capo dello stesso posizionato in un altro punto dell’edificio. L’idea? Ascoltare i rumori urbani. L’intervento dialoga con l’architettura che lo accoglie e a essa intreccia le sue forme per creare un nuovo spazio di relazioni per la città e i cittadini. Ai piedi, come anticipato sopra, campeggia la frase: “Questi tubi collegano tra loro vari luoghi e spazi dell’edificio, quest’opera è dedicata a chi, passando da qui penserà alle voci e ai suoni della città“.
Alberto Garutti, la sua prima committenza pubblica
Ma qual è stata la prima committenza pubblica di Garutti? Risale a diciassette anni prima (1994-1997) e si trova a Peccioli, un borgo in provincia di Pisa noto oggi come “la piccola capitale italiana dell’arte contemporanea”. Un museo a cielo aperto dove tradizione toscana e contemporaneo convivono in perfetta armonia.
“Non cercavo una piazza o una strada nel centro storico che potesse dare una grande visibilità al mio lavoro, piuttosto il pensiero che mi accompagnava era quello di fare un’opera che non venisse contestata, con costi di produzione bassi e impatto ambientale minimo, che fosse “utile” ai cittadini e capace di toccare la loro sensibilità.” Riuscire a entrare in sintonia con le persone del luogo è per Garutti un aspetto cruciale e, dunque, per mesi si dedicò a una serie di riunioni in un bar del paese dove conobbe le persone, le storie e i desideri locali. Da questi incontri emerse il ricordo di un piccolo teatro, allora in disuso, costruito negli anni ’30 dagli stessi cittadini e punto di incontro, per questo, molto caro alla comunità. Si concentrò qui la sua attenzione, dando vita a una “ristrutturazione filologica” del Teatro di Fabbrica, come lui stesso la definì. L’intervento – progettuale ma soprattutto relazionale e seminale del metodo che connoterà tutte le opere pubbliche a venire – si realizza con un restauro della facciata che durò quattro anni e con una lastra di pietra, installata all’ingresso dell’edificio, dove è incisa la frase: “Dedicato ai ragazzi e alle ragazze che in questo piccolo teatro si innamorarono”.
Alberto Garutti, Quest’opera è dedicata alle ragazze e ai ragazzi che in questo piccolo teatro s’innamorarono, 1994-1997. Courtesy Comune di Peccioli
Dai monoliti silenti ed elitari dei monumenti ai caduti agli anti-monumenti alla vita. Garutti ci sorprende e commuove ancora una volta, intervenendo sui lampioni di una strada, di una piazza o di un ponte in un determinato luogo della città e producendo una sorta di urbanistica narrativa. “Ai nati oggi” (1998-2019) è un’alterazione momentanea della luce che interrompe per un attimo il flusso ordinario e frenetico di Bergamo, Roma e Gallipoli (ma anche Gent, Istanbul, Mosca e Plovdiv, in Bulgaria), per rendere omaggio all’unicità e al prodigio della vita. 30 secondi di pulsazioni ogni qualvolta nasce un bambino, attivato tramite un pulsante premuto dal personale nel reparto nascite degli ospedali cittadini. Anche in questo caso, in prossimità dei lampioni, nella pavimentazione, è posta una lastra di pietra in cui è riportata la didascalia: “I lampioni di questo luogo sono collegati con il reparto di maternità dell’ospedale … Ogni volta che la luce lentamente pulserà, vorrà dire che è nato un bambino. L’opera è dedicata a lui e ai nati oggi in questa città.”
Alberto Garutti, Ai Nati Oggi, 2001, vista dell’installazione sul ponte Bosforo, Istanbul. Courtesy VII Biennale di Istanbul
Ritorna anche qui la riflessione sul rapporto tra opera d’arte e spazio pubblico. Un tema comune a tutti i popoli e un mezzo di comunicazione, la luce dei lampioni, immediato e riconoscibile da chiunque, silenzioso, invisibile e non invasivo, perché già inserito nel contesto densamente stratificato. L’artista-registra, e non artefice, di un’operazione lasciata – volutamente – anonima che intende instaurare un dialogo diretto con la città e i suoi abitanti, nel tentativo di riavvicinare l’arte alla realtà della vita.
“Tutti i passi che ho fatto nella mia vita”
Altro intervento iconico è “Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora” (2004). “Quest’opera – afferma l’artista – esplora la fitta rete di relazioni che ogni persona attiva con la propria esistenza, svelando all’improvviso allo spettatore stesso la complessità del proprio vissuto. Il lavoro sottolinea il valore dell’energia cinetica e potenziale racchiusa nella vita di ciascuno di noi.” Così se ci troviamo a Milano Malpensa o alla Stazione di Cadorna o, ancora, in piazza Santa Maria Novella a Firenze potremmo inavvertitamente inciampare su una targa di pietra che riporta proprio il titolo di quest’opera. La sua presenza fisica è, come sempre, minima, quasi inesistente e il riferimento, in questo caso, è alla rete di relazioni umane occasionali che si creano in un grande luogo di ritrovo, come un aeroporto o una stazione ferroviaria.
Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora, 2004
Site-specificity e ubiquità, scala micro e macro. “Le mie opere sono progettate per essere destinate a un luogo preciso e al tempo stesso cercano la massima dispersione. […] Urbanistica e dettaglio hanno una radice comune, e credo di poter dire che una dimensione scaturisca dall’altra e viceversa; si tratta di due differenti approcci allo spazio, che si scambiano i ruoli durante il progetto dell’opera.” È qui evidente come per Garutti i luoghi non si definiscano per la loro fisicità ma per le relazioni umane che li attivano. Il paesaggio con cui l’artista dialoga continuamente è un paesaggio vissuto, al centro del quale si pone idealmente l’artista abitandolo.
L’approccio osservato finora nelle opere pubbliche si ripete anche nei lavori privati e domestici. Ad esempio, la serie “Orizzonte”, iniziata nel 1987, è composta da lastre di vetro di diversi formati e dimensioni, dipinte sul retro per metà con pittura bianca e per metà nera. Lavori asciutti e semplici davanti ma ricchi di scritte e impronte digitali sul retro. Ciascuna opera esiste in virtù della relazione con un committente/collezionista (il cui nome è riportato nel titolo), intesa come una unione ipotetica e futura di tutte le lastre, un asse simbolico di tutti i legami professionali e affettivi della propria carriera. “Quando realizzo un nuovo ‘Orizzonte’ – afferma – immagino sempre che quella linea retta possa uscire dal mio studio, entrare nelle case dei collezionisti e congiungersi alle altre, a costituire l’orizzonte ‘ideale’ della mia vita, l’unione di tutti coloro che amano e sostengono il mio lavoro”.
Alberto Garutti, Orizzonte, 1997. Courtesy Studio d’Arte Martini 2021
Il critico, etico e poetico Alberto Garutti scompare a Milano, il 24 giugno 2023, all’età di 75 anni, lasciando un grande vuoto nel mondo dell’arte ma anche il ricordo di essere stato uno tra i più grandi e influenti maestri contemporanei italiani al mondo, dotato di uno sguardo e una sensibilità unica e convinto che l’arte contenesse il senso mistico della natura.