Come portare l’intelligenza artificiale nelle micro imprese?
Come portare l’intelligenza artificiale nelle micro imprese?
In Italia si parla di un mercato da 200 milioni di euro, investiti per il 33% in data processing e per il 28% in natural language processing, chatbot e virtual assistant
I principali elementi critici che impedirebbero una crescita delle imprese in termini di intelligenza artificiale sono la reperibilità di competenze interne e di figure professionali sul mercato
Roberto Viola: “Non si può chiedere a una micro impresa familiare di acquistare un calcolatore, ma occorrono grandi punti di accumulazione in cui le aziende possano essere accompagnate nell’accesso all’intelligenza artificiale”
L’Italia, differentemente dagli Stati Uniti e dalla Cina, possiede un terreno imprenditoriale composto soprattutto da piccole, medie e micro aziende. Come far arrivare l’intelligenza artificiale anche a questi operatori?
Il tessuto imprenditoriale italiano, alla stregua di quello europeo, è caratterizzato da piccole, medie e micro aziende. Un contesto in cui l’intelligenza artificiale fatica a far affondare le proprie radici. Ma secondo Pietro Poccianti, presidente dell’Associazione italiana per l’intelligenza artificiale intervenuto nell’ambito dell’Ai forum, non tutto è perduto.
Stando alla terza edizione dell’Osservatorio del Politecnico di Milano sull’intelligenza artificiale, che ha coinvolto 205 aziende sul territorio nazionale, il 90% ha una chiara consapevolezza di cosa sia. Si parla di un mercato da 200 milioni di euro, investiti per il 33% in data processing, per il 28% in natural language processing, chatbot e virtual assistant, per il 18% in recommendation system, per l’11% in robotic process automation e per il 10% in computer vision. In termini di settori, invece, l’utilizzo di soluzioni di intelligenza artificiale si concentra in buona parte nella finanza e nei servizi bancari (25%), nel manifatturiero (13%), nelle utility (13%) e nell’assicurativo (12%).
Eppure, i numeri dimostrano che mancano professionisti con “skill e competenze da poter spendere” su questo fronte, spiega Nicola Gatti, direttore dell’osservatorio e docente del Politecnico di Milano. I principali elementi critici che impedirebbero una crescita delle imprese in termini di intelligenza artificiale, infatti, sono la reperibilità di figure professionali sul mercato (45%), la security&privacy (42%) e la presenza di competenze interne (65%). Un trend, continua Gatti, “condiviso sia con l’Europa che con il mondo in generale, dove continua a crescere il gap tra la richiesta delle aziende di figure professionali specializzate e la forza lavoro a disposizione”.
“Abbiamo un terreno economico particolare, non confrontabile con quello degli Stati Uniti e della Cina, composto soprattutto da micro imprese”, aggiunge Poccianti. “Quello che possiamo fare è sia portare soluzioni di intelligenza artificiale anche agli artigiani sia semplificare le cose, creando documenti in grado di far colloquiare i sistemi informativi delle aziende tra loro, un vocabolario comune che consenta di tradurre dati e comunicare”.
“Non si può chiedere a una micro impresa familiare di acquistare un calcolatore – continua Roberto Viola, direttore generale di Dg Connect della Commissione europea – ma occorrono grandi punti di accumulazione in cui le imprese possano godere di spazi di co-working ed essere accompagnate nell’accesso all’intelligenza artificiale. Sul fronte dell’Unione europea, inoltre, stiamo finanziando la messa sul cloud di tutto l’apparato dei dati, affinché possano raggiungere qualsiasi piccola impresa”. E il Recovery fund? “Il 10% sarà dedicato allo sviluppo digitale e sicuramente l’intelligenza artificiale dovrebbe essere al centro di questo progetto”, spiega Viola. Poi conclude: “Mi auguro che si definisca un percorso chiaro, che guardi all’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’industria, senza dimenticare le piccolissime imprese”.
