La terza via della Fed, un bene o un male per i mercati?

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Nell’ultima riunione la Fed ha deciso di interrompere il ciclo di rialzi dei tassi di interesse, ma gli analisti ritengono si tratti solo di una pausa. Janus Henderson Investors analizza quali sarebbero gli effetti di una ulteriore risalita del costo del denaro

Negli ultimi mesi, con la convinzione sempre più diffusa sui mercati che si stesse avvicinando la fine del ciclo di rialzo dei tassi, si pensava ci fossero solo due strade percorribili per la Federal Reserve: uno stop o una svolta. La Fed ha invece optato nel meeting di giugno per una terza via. Se infatti i tassi sono rimasti fermi al 5-5,25%, questa è una pausa ‘aggressiva’ con i dot plot aggiornati che segnalano ulteriori inasprimenti all’orizzonte, con costo del denaro a fine anno in area 5,6%, ossia 50 punti base più in alto rispetto alle proiezioni di marzo. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha sottolineato che il calo lento dell’inflazione di fondo finora quest’anno è stato il motivo principale degli ulteriori aumenti ora attesi.

Gli esperti di Janus Henderson Investors (JHI) ritengono che questi rialzi non siano incisi nella pietra, ma piuttosto offrano alla banca centrale statunitense una certa flessibilità. Anche gli investitori sembrano aver capito la natura temporanea di questa pausa, vedendo allontanarsi nel tempo la possibilità di un taglio effettivo dei tassi.

Nuove proiezioni economiche, tra ottimismo…

Nonostante l’instabilità che ha attraversato il mercato nell’ultimo anno, il mercato del lavoro statunitense si è mantenuto ben solido. Il braccio operativo della Fed ha deciso di conseguenza di rivedere le previsioni sul tasso di disoccupazione nel 2023, portandolo dal 4,5% al 4,1%, questo perché i datori di lavoro non vogliono ridurre la capacità produttiva nel caso in cui l’economia dovrebbe sorprendere al rialzo. In tal senso Jim Cielinski, Global Head of fixed Income, e Jason England, Portfolio manager di JHI, ritengono che un atterraggio morbido non è ancora da escludere.

… e preoccupazione

Accanto alle novità positive, però, rimane innegabile la forza dell’inflazione che si sta abbassando più lentamente rispetto al ritmo sperato. Durante l’ultima riunione della Fed è stato rivisto al rialzo il dato sull’inflazione di fondo per il 2023, dal 3,6% al 3,9%, infatti a maggio questa si è attestata al 4% (con l’inflazione core invece ancora al 5,3%). Se il livello dei prezzi rimarrà ancora a lungo intorno a questa quota, la Fed sarà costretta a rialzare nuovamente i tassi di interesse, ma che impatto avrebbe questo sul mercato?
Gli esperti sottolineano che gran parte dell’inflazione è già stata superata: i prezzi dei beni sono diminuiti grazie all’allentamento delle dislocazioni dell’offerta e agli stimoli che sono arrivati dall’era pandemica, i prezzi dei servizi sono scesi. “Vista la tendenza al ribasso, uno o due aumenti dei tassi alla fine dell’anno potrebbero aggiungere forze disinflazionistiche, ma lo farebbero spegnendo la domanda, fattore che inevitabilmente peserebbe sull’economia e sul settore delle imprese”.

Non bisogna neppure tralasciare il sistema del credito statunitense. Se è vero che il sistema bancario americano sembra solido, nonostante i tumulti di qualche mese fa, un’ulteriore contrazione del credito potrebbe determinare un atterraggio ben più duro di quello che la Fed auspica. È anche importante ricordare che gli effetti dell’innalzamento degli standard di credito tendono a essere percepiti con un ritardo di circa un anno, quindi l’impatto dell’esitazione di questa primavera potrebbe non essere chiaro fino al 2024.

Gli effetti sugli asset rischiosi

“Avremmo interpretato una vera pausa e anche un ‘higher for longer’ come una scelta non necessariamente negativa per gli asset rischiosi, poiché la conferma di una tendenza disinflazionistica sarebbe un sospiro di sollievo per l’economia in generale”, spiegano Cielinski e England.

La decisione della Fed di una pausa ‘da falco’ rappresenta invece una scelta più pericolosa per gli asset più rischiosi. La combinazione tra un’inflazione in discesa, la possibilità di un ulteriore rialzo de tassi e l’inasprimento delle condizioni di credito aumentano le possibilità di un errore politico, aumentando così le probabilità di un atterraggio ben più duro del previsto. Secondo gli esperti di Janus Henderson, per avere una risposta al quesito se l’azione della Fed si sia spinta troppo oltre sarà necessario aspettare ancora. Il danno alla crescita economica diventerà evidente solo quando gli indicatori ritardatari rifletteranno pienamente ciò che è accaduto negli ultimi 18 mesi. Se questo fosse il caso, i responsabili politici dovranno veramente scendere in campo e cercare di scongiurare danni economici ben più gravi del previsto.

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