Sul copyright e i cloni dell’originale (Prologo)
Se siete proprietari di un’opera d’arte avete il diritto di fotografarla e pubblicarne l’immagine su un libro? Potete liberamente commerciare il libro contenente quell’immagine? Oppure dovete chiedere permesso all’artista ovvero ai suoi eredi, ovvero alla società di gestione collettiva dei diritti d’autore (Siae)? La risposta a queste domande interessa non solo il mercato dell’arte (collezionisti ed intermediari), ma anche musei, editori e librerie. E anche operatori del mercato digitale, quali gli editori online e piattaforme di e-commerce. Si tratta di un tema di grande importanza perché il diritto d’autore non si esaurisce nel pagamento di una royalty all’avente diritto, ma prevede altresì il potere di quest’ultimo di autorizzare ovvero vietare la riproduzione e, se questa è avvenuta senza il suo permesso, di inibirne la diffusione fino al punto di ottenere la distruzione delle riproduzioni illecitamente realizzate ovvero la rimozione delle stesse dal mercato.
Ed allora si pone una domanda: la sacrosanta tutela del diritto d’autore, con riferimento alla riproduzione fotografica di opere d’arte può ostacolare lo studio e la diffusione della conoscenza di un’artista? Una recente ordinanza del Tribunale di Cagliari ha deciso a favore dell’erede dell’artista Maria Lai che una fondazione costituita con il contributo e la dotazione di numerose opere da parte dell’artista, non avesse il diritto di riprodurre liberamente tali opere di sua proprietà su volumi realizzati e posti in commercio dedicati all’artista.
Il diritto di riproduzione
La legge sul diritto d’autore attribuisce all’artista il diritto esclusivo di riprodurre l’opera attraverso la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte, in qualunque modo o forma, come la fotografia o altro procedimento di riproduzione. L’attuale legge compirà in aprile 80 anni, nel corso dei quali la tecnica di riproduzione e di diffusione delle opere si è enormemente evoluta: si pensi alle riproduzioni digitali o in 3D ed alla diffusione sulle piattaforme che non conoscono confini fisici. Il diritto d’autore è rimasto tuttavia fedele a sé stesso in tutti questi anni: la regola è che per qualsiasi riproduzione è necessaria una licenza da parte dell’avente diritto. Sono previste alcune limitate eccezioni alla regola: è libera la riproduzione di una parte dell’opera se effettuata per uso di critica o discussione ovvero a fini di insegnamento o di ricerca scientifica.
E’ anche libera la pubblicazione tramite internet gratuitamente di immagini a bassa risoluzione per uso didattico o scientifico, purché tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Se la regola è che la cessione dell’opera (corpus mechanicum) non comporti la cessione di diritti di proprietà intellettuale (corpus mysticum), salvo patto contrario, nel mondo delle incisioni e della scultura vige un principio opposto: la cessione dello stampo, di un rame inciso o di altro simile mezzo usato per riprodurre un’opera d’arte, comprende, salvo patto contrario, la facoltà di riprodurre l’opera stessa, sempre che questa facoltà spetti al cedente. Quindi, se uno scultore cede ad un fonditore il modello in gesso o in terracotta per realizzare una fusione, il fonditore (e dopo di lui i suoi eredi) potranno continuare a fare fusioni, anche dopo la morte dell’artista avendo acquisito i diritti di utilizzazione economica a seguito della cessione del modello. Una questione delicatissima è se queste fusioni postume possano o meno essere definite originali e vendute come tali.
La legge italiana non fornisce una risposta univoca: l’articolo 145 della legge sul diritto d’autore, con esclusivo riferimento al diritto di seguito (ossia, la royalty pagata all’artista ed ai suoi discendenti per 70 anni dopo la sua morte in relazione ad ogni vendita intermediata da un professionista successiva alla prima) considera come “originali” le copie delle arti figurative prodotte in numero limitato (senza precisarne l’ammontare) dall’autore o sotto la sua autorità, purché numerate, firmate o altrimenti autorizzate dall’artista. Ma da un punto di vista storico-artistico, cosa è originale e cosa è copia (anche se autorizzata)?
Il copyright non impedisce i cloni dell’originale, ma…
Alcune delle domande più ampie che si possono e si devono porre su una riproduzione sono: chi ne ha il diritto, in che modo è accettabile, e per quale scopo? Qualunque siano le nostre risposte, potrebbero condurci a questioni etiche e storico-artistiche che vanno al di là di quelle legali. Al giorno d’oggi, quando si riproduce un’opera d’arte per una pubblicazione, è fondamentale chiedere il permesso alla fondazione, al fotografo, all’artista o agli eredi quando l’opera è ancora sotto copyright. Tuttavia, molto prima che esistessero la macchina fotografica, Instagram e le leggi sul copyright, non era richiesto alcun permesso per copiare. Anzi, spesso era incoraggiato come metodo per imparare da un modello.
Prendiamo il caso dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, che è stata copiata all’infinito su tela, pannello, carta, scultura e mosaico, e che ha dato origine a tantissime interpretazioni creative fino ad oggi. La copia di Marco d’Oggiono è oggi esposta con orgoglio a Brera, così come la copia anonima che si trova a Magdalene College di Oxford, e la copia di Andrea Bianchi, detto “Il Vespino”, commissionata dal cardinale Federico Borromeo e appesa nella Pinacoteca Ambrosiana. Altrettanto importanti sono la copia in miniatura del 1769 commissionata ad André Dutertre da Luigi XVI, la copia ottocentesca di Giuseppe Bossi commissionata dal viceré di Milano, Eugenio de Beauharnais, e la copia a mosaico di Giacomo Raffaelli per la Minoriten Kirche di Vienna.
Nel XX secolo, sono emerse elaborazioni creative dell’opera in altre culture. Una è l’opera Pop monumentale di Andy Warhol, Sixty Last Suppers (1987), l’ultima creazione dell’artista prima della sua morte. Un’altra, forse meno conosciuta oggi, è l’iconica opera femminista Some Living American Women Artists / Last Supper (1972) di Mary Beth Edelson.
L’artista sostituisce Cristo e gli apostoli con le teste di artiste americane, tra cui Lynda Benglis, Louise Bourgeois, Elaine de Kooning, Helen Frankenthaler, Nancy Graves, Lee Krasner, Georgia O’Keefe, Louise Nevelson, Yoko Ono, e molte altre inserite intorno ai bordi del quadro, proiettando un forte senso di inclusione femminile in un mondo artistico dominato dagli uomini.
La scultura di Marisol al Metropolitan Museum, Self-Portrait Looking at the Last Supper (1982-84), utilizza una pietra di recupero trovata a New York per la figura del Cristo mentre le altre figure sono scolpite in legno, incluso un’immagine dell’artista stessa che guarda la scena.
Pure le versioni comiche dell’Ultima Cena, da Mel Brooks ai Simpson, mostrano il rilascio dell’opera leonardesca alla vita stessa e alle creazioni in corso. Alla fine, il diritto di riprodurre cade nel dominio pubblico: le riproduzioni possono prendere ispirazione dal passato e portare la loro influenza nel presente, allo stesso tempo ricordandoci che l’originale è riconosciuto e rispettato, appartenendovi, come scrisse Petrarca, come un figlio al padre.