Niente di nuovo sul fronte occidentale. Tanto a Washington quanto a Francoforte, le decisioni delle banche centrali del blocco atlantico non dovrebbero riservare sorprese. Sia la Federal Reserve (annuncio tassi il 26 luglio) che la Banca Centrale Europea (27 luglio) intendono continuare con la propria politica monetaria fortemente restrittiva. Il consensus degli analisti indica che entrambe procederanno con ogni probabilità a un rialzo di 25 punti base. Gli investitori guardano soprattutto alle indicazioni che arriveranno circa le prossime mosse.
Sia la Fed che la Bce dovrebbero seguire un percorso simile sui tassi di interesse, aumentandoli una o due volte entro l’autunno e mantenendoli a tali livelli fino a quando l’inflazione non tornerà al 2%.
“Questo è il piano – commenta Kevin Thozet, membro dell’Investment Committee di Carmignac – ma la loro volontà sarà messa alla prova con l’avvicinarsi della fine dell’anno e l’ingresso nel 2024, quando il rallentamento dell’economia si ripercuoterà sul mercato del lavoro, condizione necessaria per il ritorno dell’inflazione al target ufficiale del 2%”.
L’assenza di sorprese non significa però che le due banche centrali si troveranno ad affrontare lo stesso scenario secondo l’esperto della casa di gestione parigina. La principale divergenza tra Washington e Francoforte potrebbe riguardare i rispettivi approcci sui tagli al bilancio. “La Federal Reserve sta facendo del proprio meglio per rendere tale riduzione il più silenziosa possibile, mentre la Banca Centrale Europea potrebbe al contrario accelerare su questo fronte, anticipando la riduzione del bilancio dalla fine del 2024 alla metà dello stesso, con conseguenze dure per gli spread sovrani”.
Fed: oltreoceano si torna a sorridere…
Al di là dell’Atlantico i dati dell’indice dei prezzi al consumo registrati a giugno hanno portato il sorriso sui volti degli operatori con il dato core, quello preferito dalla Fed, che ha finalmente interrotto il trend rialzista. “Le prossime tre rilevazioni sull’inflazione dovrebbero attestarsi allo 0,2% su base mensile – osserva Thozet – in linea con il target annuale del 2% fissato dalla Fed, il che è una buona notizia”.
Il mercato del lavoro continua a mostrarsi resiliente e le richieste di sussidi di disoccupazione sono state minori di quanto inizialmente atteso, con circa 228mila nuove domande, il dato minore degli ultimi due mesi. Allo stesso tempo, i salari mantengono il trend del 6% su base annua. “Entrambi i dati suggeriscono che Jerome Powell dovrebbe adottare un approccio ancora più progressivo alla politica monetaria, che si concretizzerebbe in un rallentamento della traiettoria rialzista dei tassi da parte della Fed, in attesa di indicatori più concreti di un rallentamento del mercato del lavoro, prima di porre fine alla politica monetaria restrittiva”.
Questo contesto apre le porte a un possibile nuovo scenario, con un aumento dei tassi policy dello 0,25% approvato in ogni meeting. “Pertanto, ci aspettiamo che il 26 luglio la banca centrale decida di rialzare i tassi dello 0,25% e restiamo convinti della possibilità di un ulteriore aumento durante il meeting di novembre, a condizione che i dati sull’occupazione di settembre e ottobre confermino un miglioramento in termini occupazionali”, aggiunge l’esperto della casa di gestione parigina.
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…mentre a Francoforte si respira già aria di auterità
Anche al di qua dell’Atlantico non sono attese novità: il rialzo di luglio dal 3,5% al 3,75% sembra cosa certa, e i mercati si attendono una ulteriore stretta al 4% per il prossimo meeting di settembre. Si prevede che l’inflazione core nell’area euro calerà a partire da ottobre e le previsioni economiche indicano un contesto di crescita molto debole. “Il rischio di un eccessivo irrigidimento è maggiore in Europa che negli Stati Uniti, data la diversità economica dei suoi Stati membri. Pertanto, settembre potrebbe rappresentare la fine di questo eccezionale ciclo di rialzi, e i mercati sembrano ben preparati ad affrontare tale sviluppo”, argomenta Thozet.
A tenere sul chi va là gli operatori del mercato del vecchio continente è il braccio di ferro sul bilancio della Bce. Dopo il Targeted Longer-Term Refinancing Operations (TLTRO) e l’APP (Asset Purchase Programme) il prossimo programma di sostegno che potrebbe avere i mesi contati è il Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP), che dovrebbe effettivamente porre fine ai propri reinvestimenti entro la fine del 2024. “C’è però il rischio concreto che la data di chiusura venga anticipata alla metà del prossimo anno: ciò potrebbe controbilanciare la volontà di alcuni membri del comitato esecutivo di mettere in pausa, o addirittura interrompere, il ciclo di rialzi a settembre”, conclude l’esperto di Carmignac.