Emergenti avanti nella lotta all’inflazione, ecco i bond a cui guardare

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Mentre gli investitori cercano di capire come Stati Uniti ed Europa supereranno un’inflazione più persistente del previsto, c’è il rischio di perdere le opportunità che arrivano dai Paesi emergenti, più abituati ad avere a che fare con l’inflazione

La battaglia contro l’inflazione è ancora ben lontana dalla fine, con Stati Uniti e Europa che riescono a conquistare solo pochi metri di libertà ogni mese. Infatti, se è vero che l’inflazione sta diminuendo, il problema è il ritmo con cui lo fa: quella statunitense a giugno è arrivata al 4%, mentre quella europea al 6,1%, entrambe ancora ben sopra il target del 2%. Durante l’ultima riunione la Federal Reserve ha deciso di prendere una pausa, mantenendo i tassi di interesse invariati, ma ha lasciato intendere che altri rialzi arriveranno entro la fine dell’anno. La Banca centrale europea invece ha aumentato i tassi di altri 25 punti base e la scorsa settimane Christine Lagarde, presidente della Bce, ha fatto intendere che un nuovo rialzo arriverà questo mese.

Ma non tutto il mondo si sta muovendo nella stessa direzione. Le economie in via di sviluppo, che avevano iniziato ad alzare i tassi di interesse ben prima di Stati Uniti ed Europa, a che punto si trovano adesso?

Paesi emergenti avanti nella lotta all’inflazione

Nei mercati emergenti l’idea di dover affrontare un’alta inflazione non è una novità, proprio per questo sono stati pronti fin da subito ad alzare i tassi di interesse. Ed è stato così che la guerra contro l’inflazione era partita quasi un anno prima al fine di debellare l’inflazione il più velocemente possibile. Adesso in questi paesi i tassi sono decisamente alti: in Brasile al 13,75%, in Messico e Cile all’11,25% e in Ungheria al 13%.

Denise Simon, Managing Director di Lazard Asset Management, è per questo molto ottimista per il futuro: “A differenza degli Stati Uniti, l’inflazione core nei mercati emergenti è scesa rapidamente. Ad esempio, mentre l’IPC core statunitense è sceso lentamente di poco più di un punto percentuale rispetto al picco del 6,6%, l’inflazione core è crollata dal picco del 10,7% al 6% in Brasile e dal 14,7% all’8,5% nella Repubblica Ceca”.

Se da un lato è vero che i rapidi rialzi dei tassi l’anno scorso hanno rallentato in qualche modo le economie emergenti, il picco è già stato raggiunto e si prevede che le banche centrali di questi Paesi potranno ridurre i tassi prima della fine del 2023. Un esempio? A giugno, per il nono mese consecutivo, l’Ungheria ha mantenuto i tassi di interesse al 13%, ma ci si può aspettare un taglio entro la fine dell’anno, taglio già avvenuto se si guarda ai tassi garantiti a una settimana he sono ora arrivati al 18,50%, dopo un taglio di 100 punti base a giugno, di altri 100 punti base a maggio e 450 ad aprile.

Ma la reattività dei Paesi emergenti sul fronte tassi che impatto ha avuto sugli investitori? In realtà ci sono stati due movimenti distinti. Performance di tutto rilievo quest’anno sono emerse nel debito sovrano locale e Lazard si mostra ottimista anche per il futuro. I Paesi da tenere principalmente sott’occhio, a detta di Lazard AM, sono quelli ad alto rendimento, come Sudafrica, Messico, Brasile e Colombia.

Di contro, è importante sottolineare che non tutti i Paesi emergenti si trovano ora sulla stessa strada: il debito sovrano dei mercati emergenti denominato in dollari sta dimostrando sintomi di stress, soprattutto se si guarda al comparto high yield. Di conseguenza gli spread medi degli indici obbligazionari sono stati trascinati in alto: le obbligazioni BB+ scambiano a circa 450 bps, al di sopra del loro range tipico di 300-400 bps, mentre le obbligazioni con rating B sono balzate a 675 bps. Invece, se dal comparto high yield ci si sposta a quello investment grade, la situazione sembra molto più positiva, con gli spread che viaggiano appena 30 punti base sopra ai minimi storici, un livello che suggerisce una relativa stabilità.


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