Deglobalizzazione: le implicazioni per economia, investimenti e ambiente

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Cosa comporterà la tendenza di Stati Uniti, Europa e Cina a chiudersi su se stessi? PGIM spiega come deglobalizzazione potrà impattare sulla crescita globale e chi ne uscirà vincitore

Il 2022 è stato un anno da record sotto molti punti di vista, tra cui quello del commercio: la Conferenza sulle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha stimato che nell’anno passato, nonostante le tensioni geopolitiche e l’impennata dell’inflazione, il commercio globale ha raggiunto la cifra record di 32mila miliardi di dollari. Nonostante questo, sembra che l’era della globalizzazione stia andando incontro a un crepuscolo.

“L’accesa concorrenza tra le grandi potenze e i crescenti problemi di sicurezza stanno aumentando i rischi per la crescita economica e i rendimenti degli investimenti. I tre grandi blocchi commerciali del mondo (Stati Uniti, Europa e Cina) si stanno chiudendo in se stessi, nel tentativo di favorire le proprie industrie strategiche”, argomenta PGIM nel fotografare un mondo che sta passando dalla globalizzazione alla regionalizzazione.

Tre blocchi, un’unica via: è ora di protezionismo

Gli Stati Uniti, da parte loro, mirano a riorganizzare la propria economia, limitando il commercio con Cina e Russia. Negli ultimi tre anni sono stati stanziati 2mila miliardi di dollari per rendere la produzione interna più forte, dalla costruzione di nuovi servizi, come ponti e strade, a investimenti nella produzione di semiconduttori, passando per sussidi per la tecnologia verde. E se questo non fosse sufficiente, a fine 2022, Biden ha deciso di mantenere i dazi contro la Cina imposti dall’amministrazione Trump, riducendo così l’accesso ai chip più avanzati per il Paese del Dragone.

Da parte sua la Cina non è disposta a farsi sopraffare: nel giro di pochi anni è riuscita a prendere dalle mani degli Stati Uniti lo scettro del commercio globale e non è disposta a lasciarselo scappare. Già dal 2015 ha introdotto la strategia industriale “Made in China 2025”, con l’obiettivo di rendere il Paese una potenza mondiale a livello produttivo entro il 2049. Come? Attraverso un supporto diretto, offrendo finanziamenti statali, prestiti a basso interesse, agevolazioni fiscali e altri sussidi ai produttori privilegiati nei settori high-tech. E in risposta al blocco delle esportazioni di chip da parte di USA, Giappone e Olanda, il governo di Pechino ha il progetto di lanciare un pacchetto di 143 miliardi di dollari a supporto dell’industria di semiconduttori Made in China, stando ai dati di Reuters.

Il terzo grande blocco economico, l’Europa, si sta invece muovendo a un ritmo diverso, non sentendo la pressione del primato nel commercio. È stato comunque deciso di seguire l’esempio statunitense, introducendo una legge sui semiconduttori, così da semplificare le normative per gli aiuti statali agli impianti di semiconduttori, con l’intenzione di erogare 17 miliardi di euro (15 miliardi di dollari) in investimenti entro il 2030.

Vincitori e vinti della deglobalizzazione

Entrare in una nuova era di deglobalizzazione porterà con sé un rallentamento della crescita, oltre a una significativa diminuzione dei redditi nazionali per tutte le economie, anche per quelle più grandi e diversificate. Gli esperti di PGIM spiegano che questo processo causerà “un livello di inflazione a medio termine moderatamente più elevato rispetto al 2% circa registrato da molte economie nei 10 anni precedenti la pandemia di Covid-19, ciò potrebbe portare alla diminuzione della crescita economica globale”. L’OCSE stima che la trasformazione delle catene di valore potrebbe causare una diminuzione del PIL reale globale di oltre il 5%.

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