La Sentenza della Corte di Cassazione n. 2559/2024
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2559/2024 del 22 gennaio scorso, è tornata a pronunciarsi con riferimento alla procedura della voluntary disclosure e il reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non corrispondenti al vero, compresa l’indicazione incompleta di questi, chiarendo che sussiste il reato quando l’omissione è rilevante ai fini dell’economia dell’atto.
Se, invece, si tratta di dichiarazioni concernenti valutazioni tecniche, connotate da un certo margine di discrezionalità, il falso ideologico sussiste se il giudizio si fonda su premesse contenenti false attestazioni quando necessarie ai fini della individuazione del regime fiscale applicabile.
In ogni caso, il reato, che resta unico anche in presenza di plurime false dichiarazioni, si consuma e cessa con il compimento dell’ultimo atto penalmente rilevante.
Voluntary disclosure e obblighi dichiarativi e informativi
Com’è noto, l’art. 5 quater, comma 1, lett. a), Dl n. 167/1990 prevede che l’individuo che accede alla procedura di collaborazione volontaria è tenuto a indicare spontaneamente all’amministrazione finanziaria tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo, unitamente ai documenti e alle informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dei contributi previdenziali, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute, non connessi con le attività costituite o detenute all’estero, relativamente a tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione.
Rappresentazione non veritiera e falso ideologico
Da ciò consegue che il reato in parola sussiste ogni volta che il contribuente ponga in essere una rappresentazione non veritiera o imparziale della propria situazione, tacendo dati la cui omissione è rilevante sia ai fini dell’economia dell’atto che quando si tratta di dichiarazioni concernenti valutazioni tecniche connotate da un certo margine di discrezionalità, fermo restando il necessario accertamento del dolo, sul piano oggettivo il falso ideologico è configurabile soltanto quando il giudizio contraddica parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi ovvero si fondi su premesse contenenti le false attestazioni.
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In che modo la rappresentazione non veritiera della situazione del contribuente, unita a dati falsi, può influire sulla successiva attività di calcolo e verifica dell’imposizione da parte dell’Agenzia delle entrate?
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Volutary disclosure: dove ricorre il falso
Dalla prassi, nonché dai giudizi pendenti sul tema, è emerso che molte richieste di procedure di collaborazione volontaria si siano basate su elementi e dati falsi: infatti, assai di frequente, il contribuente ha rappresentato dati falsi, il cui contenuto ha influito in moto determinante sulla successiva attività di calcolo e verifica dell’imposizione da parte dell’Agenzia delle entrate.
Responsabilità del contribuente e consumo del reato
Nel caso valutato dalla Corte di Cassazione, secondo i giudici di legittimità l’imputato non è stato ritenuto penalmente responsabile per aver argomentato in puro diritto, attraverso il suo professionista, la asserita qualità di collezionista piuttosto che di mercante d’arte, ma per aver, da un lato, falsamente rappresentato e, d’altro lato, callidamente taciuto importanti elementi di fatto che costituiscono elementi indiziari indispensabili per attestare lo svolgimento o meno di un’attività professionale suscettibile di generare reddito imponibile, essendo perfettamente consapevole di essere un mercante piuttosto che un collezionista.
Mendacio e ruolo del professionista
Pertanto, seppur il mendacio di cui fa menzione la norma incriminatrice sia contenuto in apposita relazione redatta da un professionista per conto del cliente, è quest’ultimo, quale contribuente interessato alla procedura tributaria, a rispondere del delitto di falso.
Il reato, inoltre, si considera consumato, anche in presenza di plurime dichiarazioni o informazioni false, e cessa con il compimento dell’ultimo atto penalmente rilevante.
Dunque, in caso di contestazioni legate a possibili addebiti penali implicanti dall’adesione alla procedura di collaborazione volontaria, è necessario affrontare la tematica con peculiare attenzione, al fine di evitare ogni conseguenza negativa sul punto.