I servizi dello stato ebraico, in collaborazione con gli americani e l’opposizione clandestina dell’Mko finanziata da Usa e Israele, hanno fatto fuori almeno quattro-cinque scienziati iraniani nell’ultimo decennio. Nel 2010 Usa e Israele hanno attaccato con un virus informatico micidiale, denominato Stuxnet, l’impianto nucleare di Natanz mettendo fuori uso circa 500 turbine. Soltanto nel 2020 Israele ha danneggiato con varie esplosioni la centrale di Parchin, ancora una volta quella di Natanz e pure quella di Isfahan.
Sarebbe utile ricordare che con l’accordo sul nucleare del 2015 voluto da Obama e stracciato da Trump nel 2018, su pressione di Israele e delle monarchie del Golfo, gli impianti iraniani erano sottoposti a regolari ispezioni da parte dell’Aiea. L’Iran ha firmato tra l’altro il Tnp, il trattato di non proliferazione nucleare, mentre Israele che al contrario di Teheran ha l’atomica e un centinaio di testate nucleari, non ha mai aderito a nulla. Lo stato fuorilegge sarebbe quello ebraico, non la repubblica islamica iraniana. Ma come si è detto vige il doppio standard: Israele fa quello che vuole, agli altri vengono imposte le sanzioni. E nessuno osa protestare: c’è una sorta di perenne sudditanza ai governi di Tel Aviv cui tutto è concesso. L’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh è stato un omicidio politico, non rispondeva a un pericolo immediato. La bomba atomica iraniana resta soltanto un ordigno virtuale altrimenti gli israeliani sarebbero già intervenuti, come fecero nell’81 quando con l’operazione Babilonia sferrarono un attacco aereo a sorpresa che distrusse il reattore nucleare iracheno di Osiraq. Lo stesso accadde nel 2007 con la distruzione da parte di una squadriglia di caccia israeliani di un reattore nucleare segreto nell’est della Siria di Bashar Assad.
L’omicidio di Fakhrizadeh aveva il solo scopo di provocare una reazione degli ultraconservatori, mettere spalle al muro i moderati come il presidente Hassan Rohani, in vista anche delle presidenziali del 2021, e tenere alta la tensione quando mancava un mese al primo anniversario dell’uccisione a Baghdad da parte degli americani del generale Soleimani.
Ma soprattutto questa operazione del Mossad è stato il messaggio che il premier Netanyahu d’accordo con Trump ha inviato a Biden, disponibile a riprendere un negoziato con l’Iran. Come sottolineava Thomas Friedman sul New York Times quello che Israele e le monarchie del Golfo temono davvero non è l’inesistente atomica di Teheran ma la precisione dei missili iraniani, forse gli stessi usati dagli Houthi yemeniti per colpire l’Aramco nel 2019. Per questo è nato il Patto di Abramo: Israele, sauditi ed emiratini vogliono evitare che il nuor presidente Joe Biden torni all’accordo sul nucleare con Teheran prima che sia raggiunta anche un’intesa sui missili.
Per questo il Mossad fa la sua guerra e la sua convincente e letale “diplomazia”. Ormai è sempre più complicato distinguere tra un tempo di pace e un tempo di guerra. Siamo di fronte a conflitti che non finiscono mai, come dimostra l’uccisione dell’ultimo scienziato iraniano. Con un’unica costante: solo il Mossad ha licenza di uccidere, gli altri sono “terroristi” o fuorilegge. Ma chi decide la legge?