Recentemente avevamo affrontato il tema relativo alla necessità di rendere sempre più dinamiche le posizioni scelte all’interno di una gestione patrimoniale, assumendo quasi il comportamento dei fondi speculativi piuttosto che quello dei fondi direzionali. Ma per realizzare una buona diversificazione e un’adeguata movimentazione diviene fondamentale la valutazione della liquidabilità degli strumenti prescelti. Liquidabilità che è assicurata almeno da due elementi fondamentali: la dimensione dello strumento e il “luogo” preposto all’esecuzione degli ordini di acquisto e di vendita.
La Mifid2 ha introdotto molte novità sui mercati finanziari dell’Ue, tra cui obblighi ancora più stringenti di garanzie, informazione e trasparenza da parte degli intermediari verso i clienti. La nuova direttiva ha in qualche modo eliminato dal vocabolario della finanza il termine “quotato” sostituendolo in maniera ampia col concetto di “negoziabile”. La Mifid2 ha inoltre introdotto il concetto di trading venue, di fatto affiancando al normale listino due altre metodologie di negoziabilità (mercati di crescita per le Pmi e il Sistema organizzato di negoziazione, in inglrdr Organised trading facility o Otf), che colmano una lacuna della Mifid1 che aveva tralasciato di regolamentare i sistemi che si basavano su norme discrezionali, cioè obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati.
L’obiettivo è garantire che la best execution di cui tanto si è parlato non rimanga un semplice slogan, provvedendo alla creazione di luoghi concorrenti tra loro che permettano confronti e scelte qualitative quali prezzo, rapidità, volumi, qualità dell’esecuzione e della rendicontazione, solo per fare alcuni esempi.
Recentemente Borsa Italiana ha presentato ExtraMot Pro³, il nuovo segmento di mercato dedicato prevalentemente alle emissioni obbligazionarie delle Pmi in crescita, che dovrebbe avvantaggiare i processi di selezione, valutazione e scelta. Poi però l’ottimismo iniziale inizia a calare quando, andando a controllare i volumi, lo spessore dei book e le effettive negoziazioni, ci rendiamo conto che quel comparto, come tanti altri, garantisce la negoziabilità come una 500 d’epoca garantisce di raggiungere i 150 all’ora.
Certo è che non si può dare la colpa al comparto, né tantomeno a Borsa Italiana. Il demerito, perché di demerito si tratta, più che di colpa, a mio avviso è da ricercarsi nell’assenza di due elementi. Il primo è la comunicazione, modesta quando non assente, delle caratteristiche delle emissioni e dell’azienda emittente, come gli obiettivi di investimento, la raccolta ecc. Il secondo, per molti aspetti collegato al primo, è costituito dalla dimensione modesta di queste emissioni, dall’assenza di rating e dalle regole di compliance di molti gestori, che escludono dalle loro scelte strumenti di piccole dimensioni o di scarsa “notorietà”. Senza adeguata informazione, e senza comparti gestiti adatti ad accogliere proprio i titoli di piccole imprese, non avremo mai la garanzia della negoziabilità. E senza negoziabilità avremo titoli listati ma mai realmente quotati.