Nella presentazione del rapporto “Equity Crowdfunding: una ricerca empirica del mercato italiano” a cura di CFA Society Italy, Laura Oliva rivela che sono le imprese in fase di crescita a raccogliere il maggior quantitativo di capitale (40,2%). Un risultato appena superiore a quello delle imprese in stadio di pre-revenue (38,6%). All’early stage va invece il 21,2% del capitale. Per quanto riguarda i settori, la vittoria del tech è schiacciante, 56,4% contro il 17,7% della seconda classificata, la green economy (seguono investment company sharing economy e poi in maniera residuale viaggi , cibo e bevande). Il report di CFA mostra che per quanto riguarda le campagne di maggior successo il valore mediano di raccolta ammonta a 224.000 euro. Business angel e venture capitalist rappresentano il 60% degli investitori, che sono in media una settantina. Gli investitori in ecf entrano in genere in imprese che presentano un utile netto negativo, con ricavi sui 30.000 euro ma dotate di brevetti depositati (mediamente il 45%).
Oriana Cardani, CFA – equity analyst in Intesa Sanpaolo, sottolinea come le misure di confinamento dell’ultimo anno abbiano costituito terreno fertile per l’equity crowdfunding. L’esplosione del digitale, unitamente alla necessità di nuove fonti di finanziamento, ha fatto scattare la ricerca di nuove fonti di rendimento. Tre le figure di investitori emerse: business angel, venture capitalist, piccoli risparmiatori. Bisogna però fare attenzione ai rischi dell’investimento in ecf. «Il parterre di rischi è molto simile a modalità come l’equity o l’azionario: perdita di capitale, mancanza di dividendi, iniziative illecite, concentrazione, cambio di controllo. Ma soprattutto illiquidità e diluzione». D’altro canto vi sono ottime opportunità che «si possono concretizzare in rendimenti finanziari superiori agli investimenti tradizionali». Non solo: investire in ecf vuol dire essere vicini a nuove tecnologie e modelli di business, partecipare allo sviluppo sociale, interagire con l’emittente e gli altri investitori. La valutazione di questo tipo di investimento deve essere particolarmente accorta e compiere tre passi imprescindibili: analisi qualitativa, quantitativa, della governance.
Per un contenuto così articolato, il ruolo dei portali è fondamentale. «Doorway ha inventato un modello su invito in modo da verificare che tutti gli investitori che vi accedono», rivela Antonella Grassigli, ceo e co-founder Doorway. E non potrebbe essere altrimenti. «Il ticket medio in Doorway è molto più alto della media: 25.000 euro contro i 3.000 del mercato. Del resto mettiamo in campo due diligence rigorose per validare tutti gli aspetti di business, inclusi quelli contabili e fiscali. Diventiamo soci dell’azienda in cui investiamo. Ricordo inoltre la possibilità di collaborazione fra piattaforma ecf e private equity: una grande possibilità di diversificazione, facilitata oggi dai pir alternativi. Tutte le offerte della nostra piattaforma sono pir compliant. Con il nuovo regolamento Ue, la piattaforma diventerà un vero e proprio hub di finanza alternativa».
A tal proposito, Roberta Pierantoni, avvocato e partner dello studio legale e tributario Biscozzi Nobili Piazza di Milano, ricorda che il 2021 sarà un anno di svolta per l’equity crowdfunding, proprio grazie al nuovo Regolamento Ue 2020/1503 (Ecsp – European crowdfunding service provider for business) che entrerà in vigore il prossimo 10/11/2021. «Il regolamento istituisce finalmente un regime giuridico armonizzato per tutti i paesi europei, introducendo un “passaporto europeo” che consente alle piattaforme di poter operare in tutta la Ue».
Stanti le piattaforme efficienti e l’armonizzazione normativa, come funziona la valutazione pre money delle startup? Si tratta di un punto cruciale per il successo di una raccolta e la sua apparente semplicità nasconde una complessità notevole. «A seconda del metodo adoperato, la valutazione di una stessa azienda può variare dai tre ai 15 milioni di euro, per dire», svela Patrizia Saviolo, CFA – Consulente per start up e PMI innovative e co-autrice della ricerca sull’ Equity Crowdfunding di CFA Society Italy. «È importante, soprattutto nel mondo del wealth management, avvalersi di validi consulenti. Con valutazioni basse per esempio è capitato che in un’impresa entrassero molti business angel, rendendola poi immediatamente appetibile a fondi maggiori di Vc».
«Ma la fretta dell’exit non deve guidare la scelta dell’investitore, soprattutto se l’impresa è nella sua fase pre-money. L’approccio chiaramente cambia se si è vicini all’ipo», osserva Pierfrancesco Baviera, business angel. «Nella valutazione è importante rilevare che il percorso di crescita sia organico con gli obiettivi dell’impresa. Comunque, le modalità di exit maggiormente di successo sono state quelle finite in acquisizioni da parte di fondi. E il mercato italiano sta crescendo moltissimo». Barbara Avalle, coo Doorway, aggunge che «nella fase pre revenue bisogna strutturare un processo di valutazione molto stringente, come ha fatto Doorway: non essendoci l’opportunità di un mercato secondario, è importante remunerare opportunamente il rischio. Noi portiamo in piattaforma solo il 3% dei progetti che selezioniamo».
Paolo Ganis, co-founder e ceo di Vitesy, restituisce lo scettro al mercato: «È lui che parla. Nel modello americano si parte da valutazioni elevate, tanto se il progetto deve fallire, fallisce anche se la valutazione era bassa. L’ottica deve essere quella di fidelizzare gli investitori in vista del secondo round. Meglio avere meno investitori, ma con ticket più elevati, tattici. Vogliamo che l’investimento sia divertente: per questo la comunicazione costante con gli investitori è fondamentale».