- Serio (AcomeA Sgr): “C’è chi la utilizza per le previsioni, chi per una maggiore produttività nella reportistica, ma può veramente svilupparsi in tutte le business unit”
- Grassi (Axyon Ai): “Oggi c’è una cultura del dato che prima non c’era. Ma la complessità dei mercati finanziari implica un approccio nell’utilizzo dell’Ai molto più umile”
L’intelligenza artificiale sta cambiando anche la società di wealth e asset management. O, in alcuni casi, potrebbe essere pronta a cambiarle. Secondo una recente indagine condotta da EY, il 98% dei 227 operatori intervistati (tra wealth manager, private banker, asset manager, gestori patrimoniali alternativi e hedge fund) sta già investendo nell’Ai generativa, ha intenzione di farlo o è fortemente interessato ad approfondirla. “C’è chi la utilizza per le previsioni di rendimento, chi per una maggiore produttività nella reportistica, ma può veramente svilupparsi in maniera tentacolare in tutte le business unit”, racconta Matteo Serio, managing partner di AcomeA Sgr intervenuto in occasione dell’evento Quando l’intelligenza artificiale incontra il settore finanziario organizzato a Milano da Axyon Ai.
I vantaggi dell’Ai nella gestione patrimoniale
“Credo che oggi una società operante in questo settore non possa esimersi dal fare una valutazione dei costi-benefici derivanti dall’utilizzo di queste tecnologie”, dice Serio. “Ovviamente i vantaggi riguardano senz’altro un fattore di produttività. Sempre EY stima che i risparmi sui costi si possano aggirare tra il 20 e il 30% all’anno”, spiega Serio. Un tema ripreso anche da Massimo Tosato, chairman of the board di M&G Group e Banca Investis. L’evoluzione cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio, dice Tosato, ha riguardato infatti principalmente tutte le aree in cui l’Ai abilitava un abbattimento delle spese: dalla compliance al risk, dall’audit alle funzioni secondarie di controllo, per poi passare alla commercializzazione e alla relazione con la clientela fino all’area investimenti, migliorando in quest’ultimo caso i suggerimenti al gestore, aumentando la velocità della ricerca e consentendo agli analisti di dedicarsi a funzioni più senior.
“L’Ai offre strumenti molto più potenti in termini di approcci quantitativi”, interviene Daniele Grassi, co-founder e ceo di Axyon Ai. “Oggi c’è una cultura del dato che prima non c’era. Ma la complessità dei mercati finanziari implica un approccio nell’utilizzo dell’Ai molto più umile, agnostico e process driven. I mercati finanziari sono un learning game, nessuna regola identificabile oggi può valere necessariamente domani. In questo scenario, noi stiamo cercando di offrire all’industria uno strumento per liberare risorse”. I player della gestione patrimoniale, spiega Grassi, non possono esimersi dall’implementare l’Ai; ma si trovano davanti a un’implementazione complessa. “Devono innanzitutto capire cos’è l’Ai fino a determinare che strategia adottare, con tutti i costi nel costruire un team interno da zero. Quello che cerchiamo di portare al mondo dell’asset management è una soluzione rapida in termini di implementazione dell’Ai in determinate fette del processo di investimento, tramite una tecnologia verticale”.
Dall’Ai Act all’executive order firmato da Biden
Questo mentre la normativa, da una parte all’altra del mondo, continuava a evolversi: dall’executive order dell’amministrazione Biden dello scorso ottobre in materia di intelligenza artificiale fino alla recente approvazione dell’Artificial intelligence act in Europa. “La mia opinione personale è che la regolamentazione non vada a vantaggio dell’utente finale”, dichiara Serio in riferimento alla direttiva europea. “L’intento del regolatore è chiaro, creare un’omologazione assoluta all’interno del settore, standardizzando il più possibile. Questo rappresenta una sfida non solo per l’asset management ma anche per wealth management e private banking”, osserva Serio. Più positivo Tosato. “Se penso all’essenza del nostro lavoro, noi esistiamo per proteggere e far crescere i risparmi di milioni di persone. Quindi vedo la regolamentazione come una necessità alla quale non possiamo sfuggire”, afferma Tosato. “Possiamo non condividere alcuni aspetti perché creano limiti all’utilizzo e limitazioni geografiche tra giurisdizioni più aperte come gli Usa e più chiuse come l’Europa, ma dobbiamo imparare a conviverci e aiutare il regolatore o la giurisdizione a evolvere le norme verso una forma che sia compatibile con la crescita e lo sviluppo”.