Nell’ultima giornata del Salone del Risparmio c’è sempre un po’ meno fermento e si iniziano a fare bilanci. Anche se il “futuro ha un grande futuro”, come recita lo slogan di quest’anno, nel presente della manifestazione italiana più prestigiosa del settore il mondo delle cripto-attività resta ancora un corpo estraneo. Non si contano espositori specialisti, neanche i nomi notati altrove, come al Fee Only Summit della consulenza indipendente. Fra il fallimento dell’exchange cripto Ftx e la condanna del suo fondatore Sam Bankman-Fried il Bitcoin sembra passato dall’inverno a una nuova primavera – raggiungendo nuovi livelli record. La controversia attorno all’universo cripto, forse, impone ancora prudenza. Ma lascia delusi i più entusiasti, come Ferdinando Ametrano, fondatore e ceo di CheckSig, un custode di criptovalute, ma anche docente di blockchain presso l’università Bicocca di Milano. L’abbiamo incontrato durante la sua visita, da esterno, all’SdR.
Professor Ametrano, ci troviamo al Salone del Risparmio 2024, ma non sembra che l’entrata di BlackRock e molti altri gestori nell’arena degli Etf spot su Bitcoin negli Usa abbia sdoganato il mondo cripto anche nel risparmio gestito italiano. Da imprenditore del mondo cripto, che risposta si è dato?
Qui si parla di risparmio, ma non si parla dell’asset class più performante del 2024, del 2023, dell’ultimo triennio e dell’ultimo decennio. Evidentemente questa è una forma di miopia dovuta anche al provincialismo di una certa parte del risparmio gestito italiano, che finge di non vedere il fenomeno più rilevante. E ad averlo sposato in pieno è l’asset manager numero uno (BlackRock). Quindi sulla legittimità dell’argomento Bitcoin all’interno del Salone risparmio direi che non c’è nessun dibattito, ci può essere solo la costatazione di una miopia molto provinciale.
Per il mondo del risparmio, non quello del trading, il Bitcoin non appare troppo giovane e rischioso per essere inserito nella gestione patrimoniale a lungo termine? Cosa risponde a chi dice che è troppo presto?
Verso chi lo afferma vorrei tentare di essere empatico, ma faccio molta fatica. Siamo a 15 anni dalla nascita del fenomeno Bitcoin anche facendo la tara ai primi 5 anni pioneristici, sono 10 anni che ne parlo in ambito finanziario, in ambito istituzionale. Ma proviamo a guardare al futuro; il quadro regolamentare rappresentato dalla Micar arriva adesso, nel 2024, con 10 anni di ritardo. Ormai abbiamo un inquadramento fiscale chiaro in Italia e in tutti i principali Paesi europei. Da questo punto di vista ormai non c’è proprio nessuna possibilità di dire che è troppo presto, se non per giustificare la propria inerzia.
Resta il fatto che il Bitcoin è molto volatile, quindi chiaramente implica un rischio superiore alla media, poi alcune criptovalute implodono. A frenare le istituzioni finanziarie non è forse il fatto che la domanda speculativa muove ancora questo mercato?
Bitcoin e Ether rappresentano il 95% del mondo cripto e ricordiamo che al Chicago Mercantile Exchange sono quotati futures di opzioni su Bitcoin e Ether. Queste due cripto da sole fanno più del 90% dei volumi scambiati ogni giorno – volumi che sono estremamente significativi, dell’ordine di 30-40 volte i volumi scambiati dall’azione Apple. La volatilità di Bitcoin e Ether è sicuramente elevata, ma comparabile a quella di Nvidia, di Tesla, di Amazon, di Netflix, di Apple (azioni fra le top performer del decennio). Ma quello che rende Bitcoin letteralmente un’asset class a sé è il fatto di avere correlazioni nulle con le altre classi di attivo, quindi diversifica i rischi nel portafoglio. L’inserimento di una piccola percentuale dei propri investimenti in Bitcoin abbassa il rischio a parità di rendimento atteso o alza il rendimento atteso a parità di rischio sopportato. Non inserirlo in un portafoglio di investimento è semplicemente irrazionale.
Se il Bitcoin non è di casa al Salone del risparmio sarà anche perché, in fondo, è nato in opposizione al sistema tradizionale che in questo momento riempie gli spazi del MiCo?
Ddiciamo che ci sono due atteggiamenti opposti ma equivalentemente immaturi. Da un lato un anarco-capitalismo d’accatto, antagonista di sistema, da parte di alcuni sostenitori di Bitcoin. Dall’altro l’ostilità di un certo mondo finanziario established, costituito. Perché dico che sono entrambi atteggiamenti sbagliati? Perché è vero che Bitcoin nasce fortemente sull’idea di poter essere gestito senza intermediari e questo è un punto estremamente qualificante. Il Bitcoin è l’equivalente digitale dell’oro. Se gli ebrei scappavano da Hitler nascondendo la gioielleria nella biancheria intima, oggi si può scappare da Maduro, dalla Corea del Nord o dalla Cina con una password nella testa e attraversare le frontiere. Ma al tempo stesso il fatto che un bene sia decentralizzato con una governance distribuita e resiliente può essere apprezzata anche nei Paesi sviluppati.
Sotto il Bitcoin, però, non c’è un’azienda o altri beni tangibili, per cui in teoria può anche andare a zero…
Questa obiezione ricorda molto quella della mia mamma che mi chiedeva di stampare le foto dei miei figli, almeno finché non le ho regalato un tablet. Il fatto che dietro il digitale non ci sia nulla mi sembra una sciocchezza assoluta. Sulla piattaforma Ethereum si può addirittura stimare un price earning per lo staking, cioè per la ricompensa che si può ottenere dall’usare le criptovalute nel lavoro di validazione. Per il Bitcoin è un po’ più complesso il salto logico, ma non impossibile. Bitcoin è per la prima volta in ambito digitale un bene trasferibile ma non duplicabile. Quindi intrinsecamente scarso. E la scarsità in ambito digitale richiama la scarsità in ambito naturale dell’oro fisico.
Tornando al Salone, quanti sarebbero qui dentro gli istituti potenzialmente curiosi, che forse avrebbero gradito una rappresentanza anche per il mondo delle cripto-attività?
Non vorrei risultare troppo provocatorio, ma la verità è che dietro le quinte, non c’è istituto bancario italiano o asset manager che non abbia preso in considerazione di entrare in questo mercato.