- Il 32% dei contenuti postati dai finfluencer includono raccomandazioni di investimento. Di questi, solo il 20% offre informazioni sull’autore del post
- Palumbo: “Un consulente aiuta l’investitore a costruire una pianificazione a lungo termine che esula dal trend del momento, diversamente dal finfluencer”
YouTube, TikTok, Instagram. Sempre più influencer finanziari (anche noti come “finfluencer”) utilizzano le piattaforme di social media per fornire raccomandazioni di investimento. Tra le autorità di vigilanza cresce l’apprensione ma, al momento, la loro attività non risulta disciplinata. Un rischio soprattutto per i giovanissimi della Generazione Z, che trovano nei finfluencer uno stile di comunicazione più affine al loro, diversamente dai canali tradizionali della finanza.
Secondo una recente analisi condotta da Cfa Institute sui contenuti diffusi dai finfluencer tra Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Paesi Bassi, il 45% offre una guida agli investimenti, ovvero informazioni generali senza una specifica linea d’azione. Il 36% include invece promozioni sugli investimenti e il 32% delle vere e proprie raccomandazioni di investimento, ma solo il 20% dei contenuti offre informazioni sullo status professionale dell’autore del post o su eventuali compensi ricevuti. “Il finfluencing non è consulenza”, spiega a We Wealth Giuliano Palumbo, presidente di Cfa society Italy. “Esiste però un confine molto labile, tra l’influencer che fa divulgazione di argomenti finanziari (che a mio avviso non va demonizzato) e chi offre una raccomandazione di investimento”.
Finfluencer: quali sono i rischi
A cascarci, dice Palumbo, sono soprattutto i nati tra il 1997 e il 2012. “Questo perché i giovani sono troppo lontani dal canale di comunicazione tradizionale della finanza, la banca, l’assicurazione ma anche la stampa. Perché non parlano il loro linguaggio”, osserva Palumbo. “Nel parlare di un prodotto, secondo un giovane, un istituto finanziario nasconde sempre un fine commerciale. Se lo fa un finfluencer, no. È lì l’errore”. Il retropensiero, insomma, è che l’influencer finanziario sia disinteressato e trasparente, ma è proprio in questa convinzione che si celano i rischi.
“I rischi sono principalmente due”, dice Palumbo. “Il primo è che l’influencer non sia appunto disinteressato, ma abbia un fine commerciale, ovvero un accordo con una banca o una società di gestione del risparmio che offre quel tipo di prodotto. Il secondo è che non sia formato abbastanza per poter fornire tutti quei suggerimenti o, addirittura, delle raccomandazioni di investimento”, spiega l’esperto. Tra l’altro, il finfluencer non si rivolge a uno specifico investitore, ma a un pubblico. “Tra i suoi follower può esserci un risparmiatore formato come può esserci uno studente o una studentessa o anche un papà di famiglia con due bambini piccoli, che rischiano di rovinare la loro pianificazione finanziaria”, avverte Palumbo.
Perché rivolgersi a un consulente
“Credo che sia un mantra generale, ma preferisco ribadirlo: è importante affidarsi a un consulente finanziario. Perché il consulente aiuta l’investitore a costruire una pianificazione a lungo termine, che esula dal trend del momento, mentre il finfluencer – per definizione – guarda proprio ai trend del momento. La finanza non è un gioco”, dichiara l’esperto. Per distinguere un consulente che fa informazione online da un finfluencer, bisogna partire proprio da questo concetto. “Un consulente non fornirà mai una consulenza personalizzata sui social, farà solo divulgazione”, dice Palumbo.
Come viene disciplinata l’attività dei finfluencer
Ad oggi, come anticipato in apertura, non esiste una normativa dedicata ai finfluencer. “Il sistema normativo europeo si sta muovendo in tale direzione, revisionando norme attualmente vigenti e organizzando tavole di lavoro”, precisa tuttavia Palumbo. “Noi come Cfa society Italy partecipiamo a un tavolo di lavoro dell’Esma proprio su queste tematiche. Ma manca attualmente un quadro comune di riferimento. È un work in progress. C’è qualcosa a livello di singolo paese, ma la difficoltà sta proprio nell’uniformare; il che non è semplice se si pensa che ogni Stato ha enti certificatori propri, regole proprie e criteri di eligibilità propri”. Secondo Palumbo, in definitiva, tutte le parti sociali devono attrezzarsi. “Va fatto uno sforzo congiunto, pubblico-privato, partendo dalla formazione finanziaria nelle scuole. I consulenti finanziari, invece, possono approfittare dei social media per fare divulgazione, magari con webinar gratuiti di formazione. Mentre le società di gestione del risparmio devono innanzitutto assicurarsi che i propri professionisti facciano consulenza in modo adeguato, professionale ed etico; rispettando non solo i regolamenti a livello di compliance, ma anche di pubblicità”.