I rendimenti negativi sono ora una caratteristica del 45% dei titoli corporate europei, con le emittenti di qualità più elevata che hanno rendimenti sotto zero fino a 10 anni
In un mondo affamato di rendimenti, gli investitori devono decidere se rimanere o meno all’interno dell’asset class obbligazionaria
Esistono dei casi scuola che possono indicare agli investitori come comportarsi in caso di bond a rendimenti negativi, senza abbandonare l’asset class
I tassi negativi avvantaggiano le imprese emittenti bond
I rendimenti negativi supportano le emittenti che hanno necessità di rifinanziare il debito o incamerare nuovi finanziamenti. Il che può essere particolarmente utile per le imprese emittenti obbligazioni societarie ad alto rendimento, quelle con più elevato rischio di credito e per cui è più costoso indebitarsi. Per gli emittenti investment grade invece, “i bassi tassi possono stimolare l’attività di fusione e acquisizione e il riacquisto di azioni a scapito degli obbligazionisti”.
E gli investitori? Se il “reddito fisso” diventa “costo fisso”…
In un mondo affamato di rendimenti, gli investitori devono decidere se rimanere o meno all’interno dell’asset class obbligazionaria. Se restano, devono valutare se prolungare la duration o ridurre la qualità del credito per aumentare il rendimento. Un’altra opzione è però quella di approdare ad altri lidi, cercando guadagni oltreoceano.
Bond a rendimenti negativi: il caso giapponese
Nel Sol Levante i rendimenti sono diventati negativi all’inizio del 2016. In Giappone, il mercato domestico delle obbligazioni societarie conta solo per il 2% del totale dei titoli di Stato. Per questo motivo, i mercati internazionali sono diventati l’unica possibile fonte di rendimento positivo con liquidità. Gli investitori giapponesi avevano iniziato a trasferire ammontari significativi di capitali all’estero verso la fine del 2015, proprio in risposta ai rendimenti nulli e poi negativi dei titoli di Stato nipponici. La maggior parte di questi flussi all’estero inizialmente si è diretta verso i titoli del debito sovrano. Allo stesso tempo però sono aumentati anche gli afflussi di capitali verso le obbligazioni non governative: 88 miliardi di dollari dal 2014. Da allora il ritmo del flusso verso i bond societari è aumentato, fino al picco del giugno 2019, il mese con il flusso mensile più alto mai registrato.
Tuffarsi nei bond Usa?
I capitali internazionali hanno scelto con molta convinzione i titoli societari investment grade americani, denominati sia in dollari che in euro. Il che ha stimolato tecnicamente il credito Usa, che quest’anno ha registrato un calo nelle emissioni del 7%.
L’Europa dal canto suo ha beneficiato dell’aspettativa di rilancio del quantitative easing. Uno degli effetti collaterali della riduzione dei rendimenti in Europa è stata però un’ondata di emissioni da parte delle imprese, soprattutto quelle con sede negli Usa e aventi alcune attività in Europa, le quali hanno emesso obbligazioni a tassi molto bassi con l’intenzione di beneficiare del bassissimo costo del debito. Nel solo 2019 e fino ad oggi l’emissione di questi bond societari è stata di oltre un quarto dell’emissione totale corporate: 96 miliardi di euro. Secondo la Rudebeck, i rendimenti dei titoli di Stato sempre più in rosso stanno quindi pilotando la caccia al rendimento verso i bond societari Ig domestici ed esteri.
I flussi potranno invertirsi se i rendimenti con copertura valutaria diventeranno meno attraenti e in particolare se i titoli di Stato inizieranno ad essere più interessanti e ad avere rendimenti positivi. Per ora, i fondamentali di credito rimangono il fattore che determina maggiormente gli spread delle obbligazioni societarie. Ciò che influenza la domanda per l’asset class corporate è la gamma di rendimenti con copertura di cambio disponibili nei mercati globali.